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Categoria: religion

Alla ricerca della felicità

Alla ricerca della felicità

Mi faccio un regalo, oggi (a dire il vero riesco a farlo più spesso e non solo come tributo per un compleanno ;-). Un buon libro è sempre un investimento prezioso. Di tempo e di senso…

Il testo “Non perfetti, ma felici” si presenta con quell’esotico nome d’autore che a prima vista sembra rimandare ad un qualche antico monaco straniero. Invece fratel MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino che vive presso il convento de la Visitation a Rhêmes-Notre-Dame, in Val d’Aosta, è un nostrano pugliese trapiantato tra le valli alpine. Scrive da anni e interviene spesso su quella che è la sua dimensione di vita personale come consacrato in tempi difficili ma entusiasmanti, perché questi tempi che viviamo sono veramente un’occasione di vita e di crescita unici.

Il testo si rivolge ovviamente a chi della vita consacrata vuol capire qualcosa di più e a chi già la vive e vuole confrontarsi con una riflessione più ampia, precisa e stimolante su questa insolita modalità di essere persone del nostro tempo.

Il legame con il nostro tempo è infatti il percorso necessario per fare di questa scelta di vita un qualcosa che non sia il restauro di un reperto di archeologia o la raccolta di begli oggetti di antiquariato. Nel dipanarsi dei capitoli si avverte l’attenzione a dire cose sensate con un vestito adatto su temi che semplici non sono. La vita religiosa oggi soffre sicuramente di una sorta di accantonamento; non è così evidente come un tempo, spesso sembra occupare spazi man mano erosi dalla presenza dei laici ed è onesto chiedersi se la sua dimensione vitale abbia ancora un senso e una sua spendibilità come testimonianza. Il modello ancora diffuso ricalca quasi sempre lo stile classico e antico. Il salto di qualità che servirebbe non è facile intravederlo o metterlo in pratica.

Eppure, il senso di questo cammino potrebbe quasi sfruttare gli attuali tempi di crisi per una sorta di riscatto. Non si sceglie uno stile di vita in base alle rinunce che comporta, ma alle ricchezze e opportunità che offre. In un tempo di livellamento dei valori (a volte camuffata come tolleranza a 360 gradi) difficile affrontare uno stile di vita che comporta anche scelte impegnative e controcorrente.

Nel testo l’autore afferma con vigore che è necessario un maggior sforzo per “demonasticizzare” la vita religiosa, ancora troppo incollata a modelli clericali, spesso condizionati da desideri di potere e di pubblico riconoscimento. Non sempre abbiamo preso dimestichezza con la grande libertà che si può vivere in questa dimensione, osando cose nuove e scrollando vecchie abitudini. Ma è una strada da percorrere.

Il modello finale che viene presentato come grande esempio di libertà è quello di Charles de Foucald e non manca quindi un richiamo ad una sorta di doveroso confronto con l’Islam.

Insomma, un testo liberante, audace e ricco di suggestioni che possono essere esplorate nella vita di tutti i giorni. Anche da chi vive in dimensioni esistenziali differenti.

Sono del mio amato

Sono del mio amato

Ogni tanto mi capita di divagare e di lasciarmi guidare dagli eventi, più che da scelte calcolate. Ci può stare. Mi è capito questo libro e le info di massima andavano in rotta di collisione con qualcuna delle mie curiosità del momento.
Così ho iniziato a leggere.

Si tratta del secondo libro di Annick Emdin. Il nome suona molto straniero, ma poi curiosando e leggendo in rete scopri che si tratta di una giovane scrittrice italiana, in quel di Pisa, con la passione del teatro…

Il libro si lascia leggere molto bene, è scorrevole e soprattutto nella prima parte la scelta strutturale (o stilistica?) di alternare un episodio del presente con uno del recente passato è stimolante. Capitoli brevi ed episodi molto concreti, non si coglie quasi la fine dell’artificio nella parte finale, dove ormai la narrazione diventa unica.

La storia si svolge all’interno e all’intorno del gruppo ebreo ultraortodosso della comunità dei charedi. Ma la parte antica della narrazione riguarda un personaggio ebreo che vive durante il secondo conflitto mondiale. Si inizia con la storia di un matrimonio incompiuto, la fuga dal rastrellamento nazista, le peripezie di 3 fuggiaschi, l’accoglienza in una casa di contadine, poi nuova fuga e il confinamento in campi di concentramento. La guerra finisce e inizia il nuovo vagare alla ricerca di una destinazione. Il primo viaggio si conclude in terra di Palestina, con il sogno di una ricostruzione e l’approdo in un kibbutz.

La seconda è storia dei giorni nostri, una famiglia ultraortodossa, con i suoi riti e le sue strane consuetudini, che vengono tratteggiate (forse senza tante spiegazioni che a volte servirebbero per non confinare tutto nel regno dell’assurdo). Un giovane ragazzo rimane coinvolto in un attentato su un bus; una giovane soldatessa lo scaraventa in un luogo sicuro e lo salva. Una soldatessa ebrea ovviamente. Da qui parte la ricerca di questa salvatrice che finirà per cambiare la vita a questo giovane.

Vengono messi a confronto 2 mondi distanti anni luce, eppure presenti e vivi nella realtà ebraica di oggi. Sono di quest’anno le notizie di alcuni incidenti capitati durante festeggiamenti di ricorrenze speciali o al funerale di un rabbino particolarmente venerato. Tutti abbiamo visto le tribune traballare e poi collassare, oppure le folle incredibili (assembramenti assurdi) di persone senza mascherine e dal tipico vestito ebraico. Risulta difficile capire come queste due anime ebraiche possa convivere sotto lo stesso tetto, o almeno in quartieri adiacenti: Gerusalemme e Tel Aviv, il diavolo e l’acqua santa…

Naturalmente scatta il meccanismo dell’innamoramento, che trascina con sè tutta una serie di scelte di vita, radicali e forse un po’ affrettate. E in trasparenza si ripercorrono anche le vicende del nonno della famiglia, il vero perno della storia, come si capirà nel finale.

Trovo un po’ frettolosi alcuni passaggi e alcune decisioni dei protagonisti; cambiare una vita nel giro di pochi giorni dopo una esistenza scandita dai riti religiosi così particolari e dalle abitudini kosher mi sembra quasi un ridurre il peso di questa tradizione e questa fede a qualcosa di barattabile in tempi rapidi, in fin dei conti di poco valore. Qualche caduta di stile nel linguaggio, che richiederebbe una attenzione più mirata (un giovane charedi ci metterà del tempo ad usare un gergo giovanilistico da bar toscano, comprensibile per molti ma poco adatto al contesto). Infine mi sembra che l’autrice sorvoli troppo velocemente sulle tematiche religiose che sono alla radice della scelta dei vari gruppi ortodossi, che prosperano in Israele ma non solo. Avverto la mancanza di qualche approfondimento e di qualche riflessione più centrata sulla pregnanza dell’esperienza religiosa e sul messaggio biblico che non si limita a qualche citazione o terminologia ebraica. Anzi, spesso l’uso della lingua originale risulta un po’ d’inciampo nella lettura (e non tutti i termini/frasi sono tradotti).

Risulta invece abbastanza realistica la descrizione della vita di questa famiglia charedi, con le sue idiosincrasie e i suoi personaggi originali, dipinti con rapide pennellate, in modo vivace e realistico.

Immagino che l’autrice conosca dall’interno queste dinamiche e queste situazioni, il contrasto tra una modernità in rapida evoluzione e una tradizione antichissima che pretende di non aver nulla da spartire col mondo moderno. Una realtà ancora molto presente, oggi, in Israele. Basterebbe questo per stuzzicare la curiosità di chi desidera conoscere ed approfondire questo mondo.

E mi ricordo ancora di quello che mi era successo un giorno di tanti anni fa, proprio passeggiando nelle stradine della Gerusalemme ebraica, era sabato: ogni tanto uno slargo o un cortile, con frotte di ragazzine allegre a giocare (le donne non sono tenue al rispetto di tutte le norme dello shabbath), vedo un bambino, di pochi anni, coi suoi bei riccioli allungati e azzardo una fotografia. La sua mano inequivocabile scattò subito nel segno del divieto. Non è consentito fare una fotografia in giorno di sabato…

Un’amicizia tra sponde apparentemente lontane

Un’amicizia tra sponde apparentemente lontane

Martiri dell’amicizia, vengono definiti senza giri di parole. E questa definizione non rispecchia molto i canoni classici del martirio, dove la fede, la testimonianza della verità e la coerenza religiosa sono gli elementi dominanti.

Ma da tempo ci si è avviati lungo un percorso che ha saputo accogliere altri valori, squisitamente umani, che sono una testimonianza della Vita in maniera altrettanto luminosa.

Perché la fede sa rivestire con la sua presenza molti valori che le persone condividono.

La storia narrata in questo agile volumetto è molto semplice. Racconta alcuni passaggi della vita del vescovo cattolico Pierre Claverie, nato in Algeria, poi cresciuto e formatosi come domenicano in Francia e quindi ritornato in terra di Algeria, come vescovo di Orano.

Per lui è stata una riscoperta perché nei suoi primi anni giovanili la presenza dei musulmani era praticamente oscurata dal sistema sociale che la Francia e tutti i cittadini francesi vivevano senza particolare preoccupazione. Separati in casa, senza contatti e senza interazioni.

Ma nel suo nuovo impegno pastorale le cose cambiano decisamente. E per prima cosa cerca un autista, la scelta cade su Mohamed Bouchikhi, un giovane ragazzo musulmano.

Potrebbe essere una scelta azzardata e rischiosa, perché siamo agli inizi di quegli anni ’90 che vedono il rigurgito del fanatismo islamico, ad opera dei Fratelli Musulmani e le tensioni iniziano una rapida escalation di violenza che prenderanno una tragica piega con l’uccisione di fr. Henri Vergès e sr. Paul-Hélène Saint-Raymond, primi martiri di questa turbolenta fase della guerra civile algerina.

Il clima di tensione non ferma però l’attività di Pierre e, di conseguenza, i suoi viaggi insieme all’autista, che diventa interlocutore speciale e amico del vescovo.

Il libro ricorda alcuni episodi e alcuni eventi di questa amicizia, dello scambio di opinioni, del dialogo cordiale tra i due, sempre volto ad approfondire la reciproca fede senza mai imporre qualcosa all’altro.

La violenza pone fine alla vita di entrambi, con una bomba messa proprio nelle vicinanze della residenza del vescovo; entrambi restano uccisi dall’esplosione. E’ il 1996 e lo scontro ideologico segna un tragico bilancio: sono ormai 19 le vittime cristiane uccise per interrompere quel percorso di dialogo e di conoscenza tra il mondo cristiano e l’Islam.

Anche dagli appunti del giovane autista, semplici e brevi annotazioni, emerge traccia di questo cammino coerente e luminoso, che la violenza non potrà fermare.

Dal testo, scritto dal domenicano Candiard (vive al Cairo, docente presso l’Istituto Domenicano di Studi Orientali, dove si occupa di Islam) è stato tratto un musical, che in Francia ha avuto centinaia di repliche e ha riscosso una grande attenzione.

Completano il testo altri brani preziosi: una introduzione di Thimoty Radcliff, per lunghi anni superiore generale dei Domenicani e mente particolarmente aperta al dialogo; alcune note biografiche sul vescovo Pierre per comprenderne meglio la parabola storica e il contesto culturale; una riflessione dell’attuale vescovo di Orano che testimonia la continuità del percorso che la Chiesa continua ad offrire al popolo musulmano.

Testo interessante per comprendere l’importanza del dialogo e del contatto semplice e fraterno con le persone, unica chiave possibile per disinnescare la violenza e il fanatismo religioso.

Personalmente condivido la necessità di instaurare questo genere di contatti “dal basso”, senza pretese istituzionali o senza la presunzione di fare passi avanti semplicemente interpellando le “autorità”. Anche perché nel nostro territorio (mi riferisco a Siracusa), trovare delle autorità nel campo dell’Islam è davvero difficile, nemmeno le persone che si dichiarano musulmane sanno darti qualche indicazione. La moschea del quartiere sembra un magazzino di detersivi in attesa di apertura e i punti di contatto sono davvero labili. Sto maturando la convinzione che gran parte dei nostri ragazzi che si dichiarano musulmani hanno una conoscenza dell’Islam davvero ridotta e spesso superficiale; un terreno che può diventare facile preda di fanatismi e idee fuorvianti. Sarebbe quasi da chiedersi se non sia saggio “formare” meglio i musulmani del territorio, perché approfondiscano in modo più coerente la propria fede, per non accontentarsi di una infarinatura episodica, qualche rito da conservare, l’APP che suona regolarmente per ricordare le 5 preghiere quotidiane e poco più. Un islam più maturo e consapevole sarebbe sicuramente un compagno di viaggio più valido.

Ma chiedendo a tanti, dagli amici alla Curia, sul territorio di Siracusa si trova ben poco; qualcosa di più ci sarebbe a Catania, che non è proprio dietro l’angolo…

Ciao Mary (per sempre?)

Ciao Mary (per sempre?)

Confesso che dopo aver letto qualche riga sul libro, il nome dell’autrice mi ha un po’ lasciato perplesso. Ma per un semplice pregiudizio. Non conoscevo granché della Murgia, se non qualche sprazzo di presenze in TV, qualche suo commento, qualche flash sui vari media… una conoscenza molto superficiale e l’avevo taggata con un’etichetta tra l’influencer e la tuttologa mediatica.

Trovare un suo libro dedicato, almeno apparentemente, a Maria, la donna del vangelo, la madre di Gesù, mi sembrava per lo meno strano. E qui scatta la curiosità. Uno spulcia qualche pagina, legge qualche riga. E poi mi piacciono le posizioni un po’ alternative e sentire direttamente una voce femminile che riflettesse e parlasse di Maria, un tema più impegnativo di quanto si possa credere, mi intrigava particolarmente. E allora scatta la voglia di leggere.

Ho incontrato diverse sorprese piacevoli nel leggere il testo. Intanto la Murgia non è una persona semplicemente informata dei fatti. La sua prospettiva mi è sembrata molto chiara e ben dichiarata. Scrive da credente, con una lunga frequentazione ecclesiale, gli studi di Scienze Religiose, l’esperienza di catechista, insomma, scrive da “dentro” la prospettiva cattolica. Ma proprio per questo sembra invitare il lettore a recuperare uno sguardo critico più profondo, meno legato alla sola tradizione o alle consuetudini.

Lo confessa fin dall’inizio, non si tratta tanto di un libro “su” Maria o sul femminile nell’universo delle religioni, in particolare quella cattolica. Il titolo è quasi un pretesto per affrontare tanti argomenti legati agli stereotipi culturali e tradizionali che si sono sedimentati sulla figura e sul ruolo di Maria. Ci pensa il sottotitolo a ricordare il fine principale, che è quello di riflettere su come la Chiesa ha creato il suo modello di donna.

Ci sono alcune pagine chiaramente dedicate a sviscerare in modo organico la figura di Maria, ma il grosso del testo affronta tematiche più ampie; dal ruolo della donna, al maschilismo che si manifesta in tanti, troppi, aspetti della vita quotidiana, spesso criptati e tacitamente considerati come la “norma” necessaria da seguire, senza possibilità di un contenzioso.

Molti i fatti e le notizie analizzate, per rivelare come la nostra cultura ragiona più a colpi di stereotipi (patriarcali) che per chiara conoscenza e consapevolezza critica. Interessante l’analisi culturale di come viene proposta Maria nel corso dei secoli, quale evoluzione abbia subito anche semplicemente nell’iconografia cristiana, per capire come certe idee vengano veicolate più con il contorno che con il soggetto centrale.

Emblematica al proposito è la “scomparsa” del bambino nelle rappresentazioni mariane degli ultimi due secoli, via via sempre più evidente (da Lourdes a Fatima, per non parlare di Medjugorje). Non si tratta certo di un dettaglio, visto che nel Vangelo Maria è sempre in stretta relazione col figlio, anzi, quasi non esiste al di fuori di questa dialettica.

Anche il tono dell’autrice mi sembra moderato e dialogante, senza arrampicate su steccati dal sapore vetero-femminista e senza nemmeno lasciarsi andare a facili critiche di superficie.

Insomma, una lettura stimolante, per ascoltare, una volta tanto (mi riferisco alla platea dei maschietti, ovviamente) una riflessione al femminile su una tematica che quasi sempre ci viene spiegata e commentata a partire da modelli che da sempre hanno relegato la donna a ruoli subalterni.

L’ultima ragazza

L’ultima ragazza

Ho letto questo libro ormai tempo fa, saranno mesi. Mi era rimasto impresso per l’attualità della vicenda, l’insostenibile assurdità di quanto possa succedere ancora oggi, in questo mondo apparentemente globalizzato e ricoperto da una patina occidentale progressista. Si fatica a credere che non lontano da noi possano ancora verificarsi questi atteggiamenti e che valori ormai considerati acquisiti possano invece essere strumentalizzati e asfaltati senza pietà.

Persino il mondo religioso degli Yazidi, che mi era totalmente sconosciuto, mi fa toccare con mano che veramente con le briciole che conosciamo a volte costruiamo cattedrali traballanti e, sovente, incomplete. Perchè la vita è così grande e ricca che una esperienza sola, una fede sola e una sola cultura faticano a trasmettere. Ben venga il confronto e la reciproca conoscenza.

Poi ho trovato giorni fa (prima decina di marzo) queste parole del Papa, mentre tornava dal suo ultimo viaggio in Iraq e che ricordava ai giornalisti come era nata la decisione di fare un simile viaggio.

La decisione su questo viaggio viene da prima: il primo invito dall’ambasciatrice precedente, medico pediatra che era ambasciatrice dell’Iraq: brava, brava, ha insistito. Poi è venuta l’ambasciatrice in Italia, che è una donna di lotta. Poi è venuto il nuovo ambasciatore in Vaticano, che ha lottato. Prima, era venuto il presidente. Tutte queste cose sono rimaste dentro. Ma c’è una cosa in precedenza, che vorrei menzionare: una di voi [giornaliste] mi ha regalato l’edizione spagnola de “L’ultima ragazza” [di Nadia Murad]. Io l’ho letto in italiano. […] C’è la storia degli yazidi. E Nadia Murad lì racconta quella cosa terrificante, terrificante… Vi consiglio di leggerlo. In alcuni punti, siccome è biografico, potrà sembrare un po’ pesante, ma per me questo è il “telone” [il motivo] di fondo della mia decisione. Quel libro lavorava dentro, dentro… E anche quando ho ascoltato Nadia, che è venuta qui a raccontarmi le cose… Terribile! Poi, con il libro, tutte queste cose insieme hanno fatto la decisione, pensandole tutte, tutte le problematiche, tante… Ma alla fine è venuta la decisione e l’ho presa. (da 7cielo)

Così come è stato per l’enciclica “Fratelli tutti”, preparata dall’incontro di Abu Dhabi del 2019, probabilmente serviranno ancora anni per far maturare questo gesto inedito di papa Francesco, perché possa produrre frutti condivisi, da cristiani e musulmani.