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Tag: archeologia

Passeggiando tra i ruderi di Megara Hyblaea

Passeggiando tra i ruderi di Megara Hyblaea

Megara Hyblaea, con la sua storia millenaria, è una delle più antiche colonie greche della Sicilia, nata intorno al 728 a.C. si è sviluppata gradualmente per circa due secoli, fino a quando la vicina Siracusa non la conquistò, distruggendone le mura, com’era allegra abitudine di quei tempi; entrò nella sfera siracusana fino alle guerre puniche e subì una nuova distruzione da parte del console Marcello (proprio quello che poi riuscirà a conquistare Siracusa e togliere di mezzo il grande Archimede). Poi la città vivacchiò senza grandi pretese e lentamente si spense, lasciandosi sommergere dall’incuria, dalla vegetazione e dall’oblio. Quando venne realizzata la ferrovia Catania-Siracusa, nel 1867, vennero alla luce la necropoli e poco alla volta, grazie a studi di archeologi francesi, l’impianto della città, abbandonato da secoli. Si parlò di una “Pompei” siciliana. Questa è stata un po’ la sua fortuna, visto che non c’erano state altre stratificazioni o costruzioni dopo il V-VI sec. d.C, insomma, osservare Megara permette di ricostruire in modo abbastanza fedele l’impianto di una città antica, greca e poi romana, senza tante modifiche urbanistiche. Una macchina del tempo da vedere e toccare. Per quanto possibile.

In questo territorio siracusano le memorie dei tempi antichi davvero si sprecano. Si possono trovare necropoli di 2500 anni fa nei parcheggi dei supermercati o le puoi ammirare, con il consueto contorno di cartacce lattine e bottiglie, come spartitraffico cittadino (trovi tutto nei pressi del Lidl di s. Panagia). Tombe e cavità antiche sono un po’ ovunque, zone archeologiche, spesso chiuse da anni, fanno bella mostra di sè in mezzo alla città o nelle immediate periferie. Abbiamo veramente troppi resti e troppi luoghi della memoria. Anzi, questa overdose rischia quasi di offuscarla, questa memoria.

la dea madre – Kuorotrophos

Ed è proprio un peccato che lo splendido luogo in cui sorga Megara sia oggi letteralmente circondato a tenaglia da fabbriche (Buzzi Unicem, a sud) e impianti energetici (centrale termoelettrica Enel di Augusta, a nord) che aggiungono ben poco splendore a questo luogo, anzi, sembrano quasi pronte a fagocitarlo definitivamente, visto che ormai è rimasta solo una piccola isola verde contesa dai capannoni, piazzali, infrastrutture e, cosa non da poco, un rumore continuo e persistente di sottofondo. Si salvano pochi ettari verdi, una necropoli solcata dalla ferrovia e vari edifici in rovina sparsi in questo territorio. I reperti migliori sono conservati e visibili presso il museo siracusano del Paolo Orsi e ha fatto notizia l’incredibile e selvaggia storia della statua dell’antica dea madre, la Kuorotrophos che allatta due gemelli, ritrovata ma subito distrutta con un martello pneumatico dagli operai, per evitare il blocco dei lavori; era stata frantumata in 936 pezzi, poi pazientemente ricostruiti! Si rimane senza parole ragionando sul fatto che questa vera e propria Pompei della Sicilia potrebbe diventare uno dei gioielli degli itinerari turistici. Per non parlare poi dell’importanza culturale di uno dei più famosi personaggi di questa città, quell’Epicarmo che a detta di molti è un po’ il padre della commedia greca (anche se delle sue opere rimangono solo frammenti). Ma tra il dire e il fare sembra che ci siano distese sterminate di altri verbi, tutti al condizionale.

E così veniamo a luogo. Era da tempo che volevo andarlo a visitare. Scartata l’ipotesi bicicletta (da Siracusa dista oltre 25 km, non eccessivi, ma bisogna avere del tempo a disposizione, vedremo prossimamente…); la soluzione più semplice è l’autostrada Siracusa Catania, in meno di mezz’ora si arriva. Seguendo GMaps una volta usciti dallo svincolo indicato (il cartello è ben visibile), ci sono un paio di alternative, dopo aver provato penso sia meglio seguire le indicazioni proposte, perché andando a naso, quella che forse è la strada più rapida (anch’essa indicata con i cartelli), è piuttosto massacrata e in cattive condizioni, quasi una strada bianca con buche a iosa e sprazzi di asfalto. Si arriva quasi in vista del sito, che è molto pianeggiante, si supera uno stretto ponticello che sovrasta la ferrovia e si arriva al dunque. Un grande piazzale segnala la possibilità di lasciare la macchina per raggiungere, dopo poche decine di metri, una prima costruzione che dovrebbe essere la biglietteria. Scrivo queste righe alla fine di di febbraio 2022, tutti i cancelli che ho trovato erano rigorosamente chiusi, con tracce evidenti di semi-abbandono, o come minimo di poca frequenza. Nessuno in giro, deserto assoluto. Cartelli, numeri di telefono a cui rivolgersi, indicazioni recenti: nulla.

So che non è il massimo della saggezza, ma il recinto vicino ai cancelli è in parte divelto e la tentazione è troppo forte. Con la consueta attenzione a non combinare nulla che possa alterare le cose, entro tranquillamente, sfidando i cardi selvatici che non aspettano altro che accarezzarti pelle e vestiti.

Entrato nel sito giungo rapidamente alla zona dove iniziano gli scavi, ad una quota leggermente inferiore alla pianura circostante; il primo cartello indicatore non esiste nemmeno più, si è salvata solo la struttura metallica; troverò invece molti altri cartelli informativi in discreto stato lungo il percorso. Questo era un giro di prima conoscenza, non avevo idea della grandezza del sito e della ricchezza dei ritrovamenti. Così gironzolo per una mezz’oretta lungo gli assi principali, ammirando dettagli di colonne, trabeazioni decorate, giunture quasi perfette di massi notevoli, segni di opere idrauliche e resti di fortificazioni.

Vi sono numerose scalette in metallo per poter osservare meglio e raggiungere alcune zone, ma alcune di queste hanno dei pericolosi gradini rotti e semistaccati, occorre quindi fare un po’ di attenzione. Giungo così nella zona delle antiche terme greche e poi romane; ci sono ancora tracce di pavimenti in cocciopesto e qualche resto di decorazione geometrica a mosaico, il tutto a cielo aperto, ma in discreto stato di conservazione. Passeggiando tra i resti si avverte la compattezza dell’impianto urbano, ben raccolto intorno all’agorà; penso al parco archeologico di Naxos, sicuramente più vasto, ma anche più scarno. Qui le case, le stanze, il reticolato urbano è molto più evidente e conservato.

Siamo a febbraio, l’erba non dà fastidio, è ancora facile aggirarsi senza problemi; mi immagino però che con la primavera il rigoglio vegetale potrebbe presto riprendere il sopravvento.

Giunto fino alla porta occidentale, con i suoi bastioni di mura ben squadrate contemplo un po’ la città; essendo tutto al medesimo livello si fatica a cogliere l’ampiezza del sito. Allora mi addentro per un po’ lungo alcuni assi laterali. Pareti in pietra, in calcare, inserti di mattoni, sicuramente posteriori, pietre laviche lavorate. Cammino con la curiosità del quotidiano ma non possiedo la perizia dello storico esperto, comunque passeggiare in questo luogo ha il suo fascino. Se poi ci metti la solitudine, i voli rumorosi di tanti uccelli di grossa taglia, e se tenti anche di cancellare il rumore delle fabbriche vicine che si fa sentire a intervalli regolari, con notevole fastidio e prepotenza… lo scenario ha dell’incredibile.

Concludo il giro e getto uno sguardo anche agli edifici che dovrebbero essere il deposito di alcune delle opere più significative. Da quanto avevo letto le stanze sono chiuse da tempo; tutto sembra in buon ordine, ma il giardino e le pertinenze non danno certo una buona impressione, che potrebbe essere invece molto gradevole e interessante. Si può osservare anche la spiaggia sottostante, certamente utilizzata come porto di approdo della città antica, ma i moli commerciali e industriali che si intravvedono non sono certo una cornice gradevole al pur gradevole profilo roccioso della spiaggia.

Non so se sono previste aperture del sito nella bella stagione (ma qui nel Siracusano, la bella stagione è già iniziata, oggi è un giorno davvero gradevole, 20 gradi, poca brezza, cielo quasi sereno e pittoresco…) ma vedere questo luogo semiabbandonato non è certo un bel biglietto da visita, ne’ per i locali ne’ tantomeno per i potenziali turisti. Le notizie reperite in rete ricordano che gli uffici e i locali vicini agli scavi sono chiusi da tempo e non è dato sapere quando e se riapriranno. Da nessun cartello o avviso si riesce a rintracciare un telefono o una mail di riferimento. Sul sito di Italia nostra è presente una scheda molto dettagliata, che avrebbe bisogno di aggiornamento, visto che riporta la notizia che il sito è visitabile (a pagamento) durante tutta la settimana ma da varie recensioni sembra di capire che le ultime visite risalgono all’epoca pre-covid (2019).

Nonostante lo stato di semiabbandono (e la necessità di superare qualche recinzione per poterlo vedere), il luogo rimane un testimone prezioso del passato. Sarebbe bello potergli garantire anche un futuro altrettanto importante.

Una carrellata di immagini del sito di Megara Hyblaea – febbraio 2022

Quando Siracusa flirtava con gli inglesi…

Quando Siracusa flirtava con gli inglesi…

Pomeriggio di relax e di giri in bici non lontano dal centro. Siamo ancora in inverno e di luce non ce n’è ancora molta. Quindi bici e via verso la zona di Tremilia, verso sud, poco sotto la balza di Epipoli. Verso quello che qualcuno chiama Castello Bonanno, oppure villa Tremmilia, o anche villa Schinkel.

Mi ero dedicato a ricercare qualche info supplementare sul famoso acquedotto greco, un manufatto di …2500 anni fa che funziona ancora oggi, nella distratta superficialità dei nostri tempi. Persino i romani hanno tentato di boicottarlo e lo hanno danneggiato, verso il 200 a.C., fino al suo recupero dopo il 1500, per alimentare i mulini che gravitavano intorno al Teatro Greco (uno svettta ancora oggi, sopra la cavea).

Avevo rintracciato foto, segnali, indicazioni (o meglio, più che altro indizi). Ed ero già stato da quelle parti un paio di volte. Ma sempre frenato dal fatto che vicino alla villa Bonanno, ormai poco più che un rudere, c’è una sorta di officina ancora in funzione, due anni fa avevo chiesto se era possibile visitare o fare qualche foto alla casa, ma il diniego categorico lasciava poco spazio alle trattative. Sul web si leggeva che nemmeno le richieste di visitare le rovine dell’antica chiesa benedettina (e parliamo di resti del 4/5 sec. d.C) venivano esaudite, in quanto lo spazio occupato dalla chiesa era stato trasformato in stalla…

Le info che avevo raccolto erano abbastanza variegate, si iniziava dall’immancabile e prezioso sito di Antonio Randazzo: un vero must per chi si trova a Siracusa, per passare alle noticine del FAI, che non deve aver convinto molte persone, visto che ha raggranellato una ventina di voti qualche anno fa e non mi sembra che sia stato riproposto…

L’oggetto nemmeno tanto oscuro del desiderio, era proprio questo acquedotto, il Galermi, ma non era facile capire dove fosse esattamente questo sentiero e quale fosse il suo tracciato. Un articolo, piuttosto battagliero, su Siracusa Live, ne parlava come di una clamorosa occasione mancata per realizzare un itinerario ciclabile di grande respiro (e temo che la cosa sia abbastanza realistica). Insomma, lasciata la bicicletta mi ero messo di buzzo buono per cercare questo tracciato. E questa è la recensione su Google che ho buttato giù appena rientrato a casa, meravigliandomi, dopo poche ore, del fatto che fosse stata subito pubblicata.

Si tratta di una zona piuttosto impervia e di accesso non molto facile; la Villa in questione è definitivamente andata persa con l’incendio del 2014 (https://www.srlive.it/il-fuoco-divora-la-chiesa-paleocristiana-di-tremmilia/); in macchina è complicato arrivarci vicino perché la strada di accesso da alcuni mesi (da inizio autunno 2021) risulta “semi chiusa” da un palo in legno, come se fosse un luogo privato, ma si tratta invece di un luogo pubblico, persino visibile con Google Street; in bici è facile comunque passare. Superato il bivio che porta alla villa e all’adiacente costruzione che ospita macchinari e una sorta di autofficina (avevo chiesto mesi fa se era possibile dare un’occhiata alla villa ma mi è stato riferito che era un luogo privato, quindi niente da fare), ci si può inoltrar sulla destra, prima della serie di villette che si trovano dopo la villa. La strada è abbastanza rovinata e abbandonata, si può comunque accedere al sentiero che si dirige verso l’alto, in direzione della Via Epipoli. Si incontrano subito tracce di mura greche, di percorsi carrai ben evidenti; costeggiando il bordo superiore, nella zona che aggetta sul rudere della villa, si giunge facilmente ai resti della chiesetta del IV sec. d.C., la un tempo sede di un convento benedettino e ridotta ultimamente a stalla per gli animali (!). Il panorama verso il porto grande è suggestivo, l’ambiente campestre è abbastanza naturale e poco deturpato, molti cespugli, pini che hanno resistito all’incendio, mandorli contorti e ovunque tanti bossoli e cartucce in plastica, segno di una discreta presenza di cacciatori.
Proseguendo verso l’alto si giunge fino alla strada di Epipoli, nella zona del centro commerciale Fiera del sud (altra cattedrale nel deserto praticamente inutilizzata).
Costeggiando la strada in direzione Siracusa si giunge ad una strada asfaltata senza sbocco, che purtroppo è diventata una pericolosa discarica a cielo aperto, veramente sgradevole.
Cercavo le tracce dell’acquedotto greco; probabilmente vicino ai resti del convento si può ancora vedere un pozzo di aerazione discretamente profondo, con presenza di acqua, ma penso si tratti di opera non collegata all’opera idraulica, visto che il tracciato del sentiero Galermi, relativo all’antico acquedotto greco dovrebbe trovarsi più vicino alla strada di Epipoli..

E quante sorprese nell’approfondire anche un semplice itinerario, davvero Siracusa ne nasconde molte, sotto l’incuria un po’ generale che la sostiene. Non sapevo proprio che questa città, ex-aequo con Costantinopoli, è stata a lungo capitale dell’Impero Romano d’Oriente, e che in epoca Napoleonica ha rischiato di passare non solo simbolicamente sotto il controllo della Gran Bretagna, complice il buon Oratio Nelson che da queste parti aveva messo stabili radici.

Per non parlare degli artisti, letterati e architetti che si sono avvicendati proprio in quella zona, dove sorgeva una delle ville più iconiche della Sicilia. E guardando la riproduzione della villa disegnata dal tedesco Schinkel, si fa presto a sognare… E pensare che oggi passeggiavo proprio sulla cornice superiore, che guarda dall’alto questa costruzione. Non stupisce più di tanto se vi ha passato momenti indimenticabili anche il grande Coleridge ed è stata un centro di riferimento per gli inglesi (e persino gli americani) che giungevano da queste parti, vuoi per emulare il mito del grand tour o semplicemente per occasioni commerciali.

Mi consola il fatto che, pur non essendo entrato nella villa, su Internet, tramite il Sito dei Beni Culturali, si riesce anche a curiosare all’interno di questo edificio, ormai pericolante e costantemente chiuso; con tanto di mappe e dettagli in alta risoluzione!

La prossima tappa sarà sicuramente dalle parti di questo sentiero dell’acquedotto…

Intanto, con lo sguardo, ancora qualche immagine di questi posti

Più che una villa… uno zoo!

Più che una villa… uno zoo!

Dal diario di Lucius: Morgantina, anno domini 432 d.C.

Ieri sono andato con mio zio, Flaccus Aurelius, per aiutarlo in una faccenda piuttosto strana. Mi aveva chiesto una mano per consegnare alcuni animali esotici al ricco padrone della villa che sta nella vallata. Tutti ne parlano di questa villa come di qualcosa di misterioso e meraviglioso. Dicono che sia la più bella di tutta la Sicilia, la prima provincia romana!

Enorme, piena di stanze e di corridoi, e soprattutto con degli incredibili pavimenti. Dicono che i migliori artisti della Sicilia vi abbiano rappresentato tutti gli animali che si possono incontrare nell’Impero; hanno usato una tecnica particolare, delle piccole pietre (le chiamano tessere) colorate per ricreare la forma e il colore degli animali, li chiamano mosaici e dovrebbero sfidare i secoli, altro che le pitture!

Dicono inoltre che proprio in questa villa ci sia una concentrazione incredibile di questi animali, e che il padrone di tutto questo abbia guadagnato una fortuna con il commercio di animali per le feste del Colosseo, a Roma. Ma quando sono entrato non credevo davvero ai miei occhi. Se penso alla mia casetta, con il suo pavimento in terra battuta, le mura di semplici pietre, qualche trave di legno per il tetto… sono rimasto a bocca aperta, guardando quelle colonne, i capitelli, le vasche di acqua. Ma soprattutto i mosaici. Ogni stanza ne aveva uno diverso. Il più maestoso era quello del corridoio centrale. In pratica la via obbligata per tutti gli ospiti che entrano in questa casa, e di ospiti ce n’erano davvero tanti: commercianti, soldati, gente importante… Mai vista una roba del genere. Ho visto i disegni (anzi, i mosaici, sono i primi che ho visto in vita mia!) di animali che secondo me non esistono nemmeno. Li chiamano elefanti, rinoceronti, ma mi sembrano davvero esagerati.

Troppo grandi per essere veri, anche se alcuni miei amici che sono andati a scuola mi raccontavano delle leggende di un certo Annibale che era giunto in Italia proprio con questi animali. Chissà… Poi mio zio è entrato nell’ufficio del padrone per discutere di affari e io ho cercato di sbirciare un po’ in giro. Ho visto il mosaico di Polifemo (e come mi diceva un magister, non è che quel gigante avesse un occhio solo, nient’affatto, ne aveva 3, perché il terzo occhio è proprio quello che usano tutti i fabbri dei dintorni, come segno di riconoscimento del proprio mestiere); ho visto anche dei mosaici con le gare delle bighe, ma che strano, chi guidava i carri erano dei bambini (forse i figli o i nipoti del padrone?);

e ho visto anche una cosa piuttosto strana, una stanza per i giochi delle femmine, con disegnate delle donne con pochissimi vestiti addosso… ma mi hanno subito detto di uscire da lì, che non era roba adatta per ragazzini; poi è tornato lo zio e ce ne siamo andati. Chissà cosa diventerà questa villa così affascinante e incredibilmente ricca… speriamo di poterla rivedere almeno un’altra volta!

Bene, sarebbe interessante potersi calare veramente nei panni di una persona di 1600 anni fa e poter rivivere l’emozione di una giornata presso la Villa del Casale, di Piazza Armerina, nello splendore della sua epoca d’oro. Sono riuscito a visitare questo luogo incredibile qualche giorno fa, a fine giugno (con un caldo notevole e il frigidarium della villa, purtroppo, non era disponibile 🙂 insieme a tutta la nostra comunità e Pepe, un altro appassionato di cose belle della storia. Abbiamo dedicato tutta la mattinata ad esplorare le stanze, ammirare i mosaici, comprendere l’effetto che poteva fare una cosa del genere nel contesto della sua epoca. Veramente qualcosa di incredibile e interessante.

Qualche altra immagine, ovviamente, l’ho messa in questo album sulla Villa del Casale di Piazza Armerina.

Le due colonne…

Le due colonne…

Ormai sono a Siracusa da quasi due anni; spesso sono andato a curiosare nei pressi del tempio di Giove, un po’ fuori città, oltre le foci dell’Anapo e del Ciane; una zona isolata e un po’ elevata (e in bici si avverte tutta, soprattutto l’ultima salitella per giungere al bivio!).

Lungo la strada alcune villette, immerse in piantagioni di limoni (tanto per ricordarci che siamo nella zona giusta…) poi un cancello. Sempre e implacabilmente chiuso. Non l’ho mai visto aperto, nemmeno chiedendo, sperando che per la giornata delle guide si replicasse una qualche visita. Invece niente. Chiuso e basta. Stanno scolorendo persino le scritte della targa, il secolo ormai non risulta più visibile.

Eppure questo dovrebbe essere uno dei luoghi simbolo della città, il punto di riferimento dei marinai antichi, la zona in cui gli eserciti si accampavano e si decidevano le sorti e il futuro della città. Ne è rimasto ben poco. E quel poco persino difficile da visitare.

Devo ammetterlo, quando ho visto che il passaggio a fianco del cancello era ormai sfilacciato e aperto, mi sono detto che un’occhiatina si poteva dare, con la dovuta attenzione. Non ho resistito e sono entrato. E quando poi all’interno ho incontrato persino una famigliola con bambini al seguito, mi sono detto che, nonostante tutto, il piacere di vedere e visitare questi luoghi non è una curiosità così remota o malsana.

Su Wikipedia si trovano le informazioni necessarie per inquadrare questo tempio antichissimo, ci sono poi le testimonianze dei vari viaggiatori impegnati nei Grand Tour del ‘7-800. Si ricorda persino un articolo di Siracusa Oggi che parla dell’ultima visita e probabilmente dell’ultima apertura del sito: correva (o forse stava già immobile) il 2017.

Il sito è molto raccolto e piccolo, contiene in pratica solo lo spazio in cui si erigeva il tempio, di cui rimane solo il perimetro e 2 colonne. Le due colonne appunto che si sono salvate dall’incuria e dalla noncuranza di questo tesoro storico. Sono veramente colonne e pietre grezze, sembra di rivedere quelle della Cattedrale di Siracusa, con solchi appena delineati, ruvide e pietrose. Dietro il recinto si intravedono scavi o buche che fanno pensare ad altri reperti. C’era persino il gabbiotto del custode, o del centro visite. Questo decisamente deturpato e rovinato, va ancora bene che non è stato dato alle fiamme… un luogo incustodito sembra che attiri fatalmente questo genere di degrado.

Eppure passeggiare con calma tra questi resti, segnarne con i passi il perimetro, misurarlo con gli occhi e con il cuore, fa pensare a chi queste colonne le ha volute, pensate ed erette. Il gusto innato di puntare verso l’alto, il desiderio di lasciare una traccia, di segnare confini e presenze.

Quando poi sono uscito ho perso dieci minuti a staccare le piccole reste delle spighe di non so bene qualche pianta infestante che abbonda in questa zona. Piccole e fastidiose. E sulla stradina che porta al sito le piante stanno già riprendendo il loro dominio, crepando l’asfalto e conquistando i bordi.

Ecco qualche immagine delle 2 colonne del tempio di Giove

Verso la necropoli di Cassibile #1

Verso la necropoli di Cassibile #1

Ci stavo pensando già da un po’ di tempo, ma durante la settimana diventa sempre difficile muoversi . Così ho approfittato della pausa pasquale per tentare un’escursione verso la necropoli di Cassibile.

Come al solito ho cercato di documentarmi prima del viaggio, ma di indicazioni molto precise su questa località non se ne trovano facilmente. Alla fine capisco anche il perché.

Questo luogo, archeologicamente molto interessante e ancora adesso piuttosto selvaggio, non ha ricevuto grandi attenzioni, vuoi per la posizione vuoi per l’estensione. Dopo quella di Pantalica è una delle necropoli più vaste della Sicilia. La stessa pagina di Wikipedia la presenta con una foto dalla didascalia molto esplicita: “la necropoli vista da lontano”. Perché questo “lontano” sarà un po’ il leitmotiv della giornata.

Decido di partire a fine mattinata, in bici, sperando in un traffico meno pesante. Ma non avevo calcolato il vento. Pazienza, non avendo fretta si può dosare meglio il tempo.

Dopo aver attraversato Cassibile prendo la prima strada che a destra oltrepassa l’autostrada e si avvia verso i rilievi. La direzione è per Canicattini, ma alla prima deviazione a sinistra trovo subito il cartello che indica la direzione per la necropoli. Sarà anche l’ultima indicazione ufficiale, dopo di che bisognerà affidarsi un po’ all’intuito.

(la traccia del percorso, o quel che l’è, la puoi vedere qui)

La necropoli si adagia con evidenza sulle balze dei primi rilievi. Un tempo questa era tutta zona del Marchese di Cassibile. Una tacita convinzione dice che per attraversarla non servano permessi particolari, basta rispettare il luogo. L’unica macchina che incontro sul sentiero, ormai strada sterrata, mi conferma la cosa, posso proseguire in bici. Arrivo fino a quella che dovrebbe essere l’antica residenza del marchese. Grandi cancellate in ferro che impediscono di scorgere qualunque dettaglio dell’interno. Curioso invece il cartello, che invita il postino a non desistere, perché prima o poi qualcuno arriverà, ancor più sbarazzino l’uso della lingua, che sancisce un “porticedda” che stento a classificare come diminutivo… In compenso non ci sono dubbi su chi adesso abiti nella dimora, visto che la buca delle lettere è molto esplicita (ma l’ultimo marchese era un personaggio interessante!).

Sulla cima di una delle colline che fanno da orizzonte nord, si stagliano i resti di quella che doveva essere una dimora speciale del marchese (la villa a Cugno Mola, sorta probabilmente su ruderi antichissimi, Tucidide ne sa qualcosa!) ma per questa volta mi accontenterò di vederla da lontano.

Ora sono in marcia, un po’ in bici e un po’ a piedi, troppe pietre aguzze e non vorrei rischiare sorprese, visto che qualche settimana fa per una brutta buca mi sono sorbettato 3 km di passeggiata con bici al fianco per tornare a casa con la gomma bucata! A sinistra si stendono distese ampie di mandorleti, con frutti ormai ben visibili e gonfi, sulla destra schiere di olivi, almeno centenari, a volte bordati di semina a grano. Nessuno in vista, fin dove lo sguardo arriva. Guardando verso la collina si cominciano a distinguere facilmente i fori, le grotte, gli anfratti che formano la necropoli. E’ stata usata dall’anno 1000 fin verso l’800 a.C, quando cioé iniziano ad essere più intensi i rapporti con le colonie greche, poi con le città come Siracusa. In epoca bizantina alcuni di questi loculi sono stati poi adibiti a magazzini, depositi agricoli e modificati di conseguenza, con l’aggiunta di mensole e arcosoli; ma di queste grotte così ampie non riuscirò a vederne nessuna.

Dopo aver superato i ruderi di un ponte, mi decido infine a lasciare la strada e dirigermi verso la collina, per arrivare almeno vicino a qualcuno di questi loculi.

Uso il muro di cinta come sentiero, giungo ad una sorta di canale in pietra, ormai ostruito dal tempo, dalle radici e dalle piante, lo supero e arrivo abbastanza facilmente alle prime tombe; molto semplici, un cubicolo piccolo, per sepolture singole, immagino. Ce ne sono diversi ma la zona si fa subito impervia. Grandi macigni, alcuni appena appoggiati l’uno all’altro. Vegetazione folta e fastidiosa da superare. Mi afferro ogni tanto a qualche ligustro e altre piante. Nugoli di polline (speriamo bene di non essere allergici, qui ci sono dosi per contaminare legioni!) nell’aria calda del pomeriggio. Così mi decido, semplicemente, di fermarmi per contemplare il posto. In fin dei conti era questo l’obiettivo, non certo una esplorazione estensiva.

Guardo il mare sullo sfondo, la campagna fertile, dal verde intenso; il bianco delle rocce come sostegno e riparo. Comprensibile aver offerto come ultimo panorama questo scorcio di bellezza. Sono fermo, parte di questo respiro naturale. Più che sufficiente.

Sulla via del ritorno una gradita presenza, quasi pasquale. Un gregge di pecore che bruca tranquillo sotto i mandorli. Solo il pastore, un africano distratto che nemmeno si accorge della mia presenza alle sue spalle, a ricordarmi che siamo a Cassibile e che qui i migranti hanno una lunga e difficile storia con il territorio.

Questa volta l’album di foto c’è, mi ero portato l’altra fotocamera 🙂
Ecco alcuni ricordi della Necropoli di Cassibile.

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