Come chiudere un corso… del Progetto ALFA

Come chiudere un corso… del Progetto ALFA

In queste pagine ho raccontato già diverse volte le nostre “avventure” e passeggiate insieme alle amiche del Progetto ALFA.
Come Comunità Fratelli di Melilla siamo tutti coinvolti (siamo in 5, compreso il sempre giovane Eulalio, con le sue 87 primavere…) in questo progetto di alfabetizzazione e di accompagnamento di un bel gruppo di cittadine di Melilla.

Da ormai quasi 20 anni il progetto si incarica di aiutare le tante donne che vivono situazioni complicate e dopo il Covid la situazione è diventata ancora più difficile per la chiusura delle frontiere.

Nell’attesa che le grandi soluzioni politiche facciano il loro corso, il volontariato e la passione di tante persone, in particolare tutti gli operatori del Progetto ALFA cercano di affrontare quotidianamente questa situazione e dare un piccolo aiuto.

Durante tutto l’anno scolastico, al termine delle normali lezioni degli 800 alunni del Collegio La Salle, nelle aule entrano proprio queste donne, che con coraggio si rimettono sui banchi e si impegnano in questa sfida per imparare a leggere, scrivere, parlare… in una lingua, lo spagnolo, che è necessaria ma spesso straniera. Perchè la maggioranza parla arabo o tamazight, due lingue ben diverse (il tamazight è lingua ufficiale del Marocco solo dal 2011!). Ogni tanto proviamo anche noi “prof” ad imparare da loro qualche espressione, qualche parola, così ci rendiamo conto delle difficoltà che provano le nostre alunne. Ma nel confronto noi siamo decisamente più imbranati e in difficoltà…

Questa settimana è stata l’ultima di “scuola” regolare, con luglio iniziano le attività estive, meno formali e più rilassanti. Così lo staff organizzatore ha pensato ad una bella scampagnata sotto i pini del parco di Rostrogordo, il nostro avamposto per le uscite “plein air”.

Le “alunne” non vedevano l’ora di prendere l’autobus e uscire dal solito tran tran. Salire con loro mi ricordava le tante gite fatte con gli alunni delle mie classi, sempre curiosi e frizzanti, si respirava la stessa aria di festa!

Un tragitto davvero breve (ma la salita e il caldo rendevano molto saggio l’idea dell’autobus) e poi la sistemazione sotto i pini di Rostrogordo, il polmone verde che sovrasta Melilla. Noi eravamo presenti con tutta la comunità e i nostri 2 amici di Jaen e Cordoba, Ana e Manolo, che hanno condiviso una settimana insieme a noi. Sembrava proprio la classica gita di fine anno.

Appena arrivati sono subito iniziati i preparativi per la merenda… Apriti cielo! I tavolini pieghevoli portati per l’occasione si sono riempiti subito di una quantità impressionante di cibo: jeringos (sono parenti prossimi delle crêpes ma senza uovo, solo farina), dolci al miele, dolci alle mandorle, ai datteri, empanadas, biscotti artigianali, pizze, patatine… thermos di thè moruno (quello con la deliziosa erba buena in infusione, insomma, la nostra menta), bevande, cubetti di ghiaccio (qui è una tradizione onnipresente). Farida, la leader indiscussa di tutto il gruppo, girava tra i tavoli, le sedie, i gruppi, invitando a provare le varie delizie, infilando cubetti di ghiaccio nei bicchieri, stimolando i canti berberi, la sezione ritmica (tamburi, tamburelli e djembè)…

Così ci siamo uniti anche noi ai festeggiamenti, azzardando persino qualche canto in italiano (indovina quale, uno che riscuote oggi grande seguito è proprio Bella Ciao! e quindi via con le strofe…), una sevillana suonata da Ventura e ballata da Ana… a dare man forte al coro anche Loli, Alba… insomma, aria di festa.

Abbiamo condiviso così questa serata semplice e sbarazzina, con le donne a vociare, cantare, battere il ritmo con le mani, ripetere i tipici gorgheggi berberi, assaggiare prodotti diversi a più non posso. Per loro è un’occasione preziosa per stare insieme, senza la presenza spesso invadente e vigilante dei mariti e degli uomini di famiglia…

Abbiamo limitato un po’ le foto, perchè non tutte gradiscono che vengano diffuse in internet e comprendiamo benissimo questa inclinazione alla riservatezza, ma già dai gruppi si nota l’allegria e la voglia di stare insieme. Anche questo è il contributo prezioso del Progetto ALFA.

24/6/25 – Ecco la rassegna di foto di questa serata di festa con il Progetto Alfa

24-J Per non dimenticare

24-J Per non dimenticare

Siamo assediati dalle sigle, ma alcune si rivelano più efficaci di altre. Da quando mi trovo in Spagna ho messo nell’elenco delle sigle necessarie l’11-M, la serie di attentati terroristici che sfociarono in particolare nella tragedia della stazione di Atocha.
Da quando sono a Melilla tocca invece confrontarsi con questa nuova sigla: 24-J, corrisponde alla data e al mese (l’anno era il 2022) in cui si verificó il tragico assalto alla recinzione di Melilla e il conseguente massacro, da parte militare, di un numero ancora oggi non ben precisato. 77 sono le vittime di cui non si sa ancora nulla… A questo assalto parteciparono in massa, si parla di 500, 1000 o piú migranti, che si erano preparati a lungo, rintanandosi sulle pendici del vicino monte Gurugù.

Per un chiarimento di quanto successo rimando alle pagine di Wikipedia, visto che questa vicenda è ancora una ferita molto viva e non conclusa della nostra storia.

Insieme ad alcuni amci venuti proprio in questi giorni a Melilla per conoscere meglio la realtà locale e darci una graditissima mano nello svolgere alcune delle attività che portiamo avanti sul fronte della solidarietà, avevamo rivisto il film “El Salto” diretto da B. Zambrano, che avevo avuto la fortuna di ascoltare dal vivo quando, lo scorso anno, aveva presenziato e parlato in occasione della prima proiezione della pellicola. Non racconta direttamente questo evento, ma in sintesi ricorda molto da vicino l’ambiente, i fatti, il clima in cui tutto ciò è successo.

Lo scorso anno non si erano svolte iniziative particolari, ma quest’anno gli amici delle ONG Mec de la Rue e di Geum Dodou si sono attivati con particolare attenzione, organizzando 2 momenti speciali. Il primo di “raccolta” sul luogo dove si svolsero i fatti e, in serata, un “circolo del silenzio” per ricordare insieme.

Ho potuto partecipare all’incontro della mattinata, alle 12, sotto un sole davvero africano e impetuoso. Non troppo numerosi i partecipanti, eravamo un gruppo di 20-30 persone, in proporzione giornalisti e media erano quasi più in evidenza. In questi casi aiuta!

Insolito: a questo evento eravamo presenti ben 3 italiani, una ragazza in visita per alcuni giorni e l’immancabile Lorenzo, rappresentante di UNHCR. Piccolo dettaglio: ad agosto la sede locale di UNHCR chiude, inesorabilmente. I tagli di Trump (con la chiusura di USAID) producono ricadute molto concrete e rapide sugli equilibri delle ong e della solidarietà…

Ci siamo radunati davanti a quello che era il passo di frontiera del Barrio Chino; a pochi metri di distanza, in territorio marocchino, la vita continuava imperterrita il suo corso, nessuna memoria evidente dell’evento (sul notiziario web di Nador ho rintracciato solo questo articolo, scritto un anno dopo l’evento), traffico normale, vociare dalle case vicine, la vita che scorre…

Abbiamo atteso che arrivassero anche alcuni ospiti del CETI, un gruppo di ragazzi del Mali che si trovano a Melilla da alcuni mesi, in attesa delle procedure per l’asilo internazionale; ma si tratta di persone che sono giunte qui seguendo le vie ufficiali, traghetto o aereo, per iniziare le pratiche. Oggi nessuno prova nemmeno a pensare di passare dalla Valla, questa recinzione ormai impenetrabile, palizzate in metallo alte 6 metri, filo spinato, barriere multiple, controlli via telecamere, presenza costante e cospicua di militari marocchini sul proprio versante.

Nella mia piccola esperienza di questi ultimi due anni, ho toccato con mano che gli unici ingressi irregolari sono stati quelli di alcuni ragazzi arrivati qui a nuoto, durante la bella stagione, eludendo i controlli, ma si tratta di piccoli numeri, 20-30 in un anno. Alcuni di questi ragazzi li incontriamo spesso, a qualcuno offriamo persino momenti di svago e di alfabetizzazione… ma non ne parlano molto di questo “passaggio di frontiera”.

L’incontro è stato veloce, anche per il caldo intenso che invitava a sveltire il tutto. Maite ha rivolto brevi parole, poi ha passato il microfono ad un parroco di Madrid giunto per l’occasione, infine alcuni ragazzi del Mali hanno letto i nomi delle vittime. Poi abbiamo infilato alcuni fiori nella recinzione.

Chiaro il messaggio: non possiamo cambiare il corso del passato, ma dimenticare sarebbe come considerare normale, anzi, inevitabile quanto successo. Cerchiamo insomma di realizzare un mondo dove questo genere di cose non possa più avere luogo.

Per questo bisogna conoscere, sapere e ricordare.

Ampia la rassegna stampa che ha segnalato questa manifestazione, compresa quella della sera, più centrale ed evidente anche per i cittadini di Melilla (ecco gli articoli disponibili su Il Faro di Melilla – e quelli su Melilla Oggi).

Aggiungo solo alcune foto per un reportage fotografico su questo momento significativo

Quanto è profondo l’Oceano

Quanto è profondo l’Oceano

Se mio nonno fosse un pesce e si chiamasse Marmolada, qualche domanda me la farei…

Spesso mi capita di cercare e prendere libri che al momento non penso proprio di leggere, poi vengono i momenti in cui la lettura reclama il suo tributo… mi è capitato così per Oceano, di Francesco Vidotto. Motivo? Chissà, spesso su Instagram mi capitava di vedere qualcuno dei suoi interventi, di solito skippo veloce, ma nel suo caso mi sembrava di avvertire qualche consonanza, quello che leggevo mi sembrava logico, sensato e “normale”. Il che non è poco. Così mi sono persino avventurato a chiedere consigli e siccome ultimamente sto esplorando anche un po’ i vari bot di IA, ne ho confrontati alcuni… poi alla fine mi sono lasciato guidare dalle immagini e forse dalla reminiscenza con il romanzo di Baricco, Oceano mare. Che ovviamente non c’entra nulla.

Perchè questo Oceano protagonista del libro è un semplice uomo, un montanaro, una persona anziana sul crinale della vita che racconta allo scrittore la sua storia.

L’escamotage, che regge bene per l’intero racconto, è quello di un vecchio signore che si rivolge a Vidotto stesso per chiedergli di scrivere la storia che lui, poco alla volta, intende raccontargli. E così inizia il racconto.

La vita di Oceano, che spiegherà ben presto il motivo di questo insolito nome, per un montanaro che vivrà praticamente in mezzo alle malghe e ai boschi, si spalma lungo quasi tutto il secolo del 900. Gli agganci con la cronaca (o la storia) si incontrano con le storie di migrazioni degli inizi, con l’avvento del fascismo, la sfortunata spedizione in Russia a cui il protagonista partecipa drammaticamente, i complicati tempi presenti, con lo sgretolarsi delle famiglie, delle coppie, il pesante lascito della droga… insomma, molta concretezza.

Il racconto prende il via e diventa più intenso quando la storia d’amore che si avverte in filigrana per tutto il libro, riesce finalmente a decollare; apparentemente sembra un’impresa sconsigliabile, il piccolo Oceano era stato accolto come orfano da una famiglia del paese senza figli, ma poi nasce una bambina, la piccola Italia. Non essendo veri fratelli ma avendo vissuto a lungo in questa dimensione, è facile intuire le difficoltà, le remore, gli stigmi sociali quando il loro affetto si trasforma in amore evidente e manifesto.

Un amore che però sarà sempre una storia in salita, nella pausa della guerra per una violenza subita la giovane diventa madre, mentre Oceano viene dato per disperso in Russia. Fortunosamente riesce a tornare e si trova di fronte ad una nuova e lacerante verità. Ma anche in questo caso la vita prende il sopravvento e al rancore o alla delusione subentra una capacità di accogliere la vita davvero profonda e duratura.

Nel finale si scopre il motivo che spinge questa persona, ormai anziana e spesso vittima di lacune di memoria e intoppi vari di salute a mettere la sua vita nero su bianco e consegnare, come un’eredità, il suo percorso ad ostacoli, caparbiamente affrontati.

Positivo, sensato e godibilissimo, si legge davvero in poco tempo, la storia ti prende e ti conquista. La montagna, che è sempre presente, fa da cornice assoluta e necessaria ad una storia rude ma vitale.

E che le montagne abbiano un fascino davvero speciale… si vede qui

Dalle parti del Mar Chica

Dalle parti del Mar Chica

Dalla cartina già si coglie il grosso della giornata: era da tempo che aspettavo l’occasione e questa pausa del primo maggio giunge davvero a proposito… Volevo provare un’escursione in bici lungo la sottile strisca di terra che separa il Mediterraneo dalla laguna chiamata Mar Chica, che si trova proprio davanti a Nador. Persino l’amico Chico del Collegio La Salle mi aveva punzecchiato a provarci, con l’aggiunta di foto spumeggianti di fenicotteri…

L’ostacolo che mi consigliava invece di rimandare era uno solo: l’incognita della frontiera. Ormai è risaputo, il casello spagnolo è rapido ed efficiente ma quello marocchino sembra fare di tutto per dissuadere, rallentare e quasi scoraggiare il passaggio. Tempi lunghi, spesso incomprensibili, attese su attese.

Però oggi avevo un po’ di tempo dalla mia. Contavo di arrivare prima alla frontiera, ma il relax del mattino diventa comprensibile, così mi sono ritrovato in bici alla frontiera verso le 9 di questo venerd’i 2 maggio. Poche macchine in coda, meno di un centinaio, ma … tutte rigorosamente ferme. Dopo venti minuti di attesa, passati a chiacchierare con un altro ciclista che si stava recando anche lui dalla parte marocchina di Melilla, ero quasi sul punto di rinunciare, quando finalmente la mano dell’addetto mi ha invitato ad avvicinarmi al gabbiotto per il controllo documenti. Ormai ero in ballo e quindi… avanti.

Il controllo spagnolo del passaporto è poco più che una formalità, rapido e sbrigativo. Ma ci si ritrova subito nella coda successiva, quella marocchina, che prevede ben 2 controlli. E questa volta il tempo si dilata. Tra una cosa e l’altra, compreso il controllo dello zainetto (per la bici non c’era certo molto altro da mostrare!), alla fine sono riuscito a completare i controlli in poco più di mezz’ora. Morale, per il primo passaggio un’ora completa. E sono le 10, ma tutto sommato non è pòi così tardi. Avanti.

Avevo scaricato la mappa da Google per evitare di dover usare il cellulare (a volte anche solo i messaggi che arrivano di conferma e avviso contribuiscono a prosciugare il credito, quindi è buona prassi mettere subito il cellulare in modalità aerea) ma avendo pianificato un po’ in anticipo il percorso, non mi sembrava particolarmente difficile, un paio di deviazioni e poi tutto diritto. Interessante notare che le recensione su questa zona in GMaps sono ancora molto poche… ci sono alcuni cenni sulle varie spiagge, sui pochi servizi e sui rischi (mare agitato, presenza di numerosi rifiuti…), la vocazione turistica di questa località è ancora in crescita e si nota subito che in piena estate il panorama e il numero di vacanzieri cambia notevolmente! Al momento ho provato ad aggiungere un “Route Boukana” per vedere se me l’accettano 😉 visto che sono segnalate solo spiagge e qualche (raro) servizio o negozio.

Da sempre le lagune sono zone a forte vocazione naturalistica, in questo caso provo a spingere un po’ in questa direzione, il luogo si presta, la flora mi sembra abbastanza varia, la fauna promette bene. Favorire l’attenzione è sempre meglio di niente.

La zona del porto di Beni Ansar è il primo passaggio, ma ben poco animato, sembra di muoversi in spazi quasi abbandonati. Poi arrivo all’ingresso della strada che si sviluppa per tutta la striscia di terra che forma la laguna; all’ingresso c`è un piccolo posto di controllo, senza tante pretese, un gesto di saluto e si procede. La strada, dopo alcuni metri di lastricato tenuto davvero pulito (c’erano ben due addetti a spazzare) si trasforma in un largo stradone in terra battuto, comodo e abbastanza ben tenuto.

Questa striscia ha una larghezza variabile, nei punti più stretti è comunque di circa 200 mt. Spesso si sente il mare e la risacca sul lato del mediterraneo. Tutto in pianura, senza quindi nessun problema particolare o sforzo eccessivo. Devo solo far attenzione ad evitare qualche sasso fastidioso, non vorrei proprio forare da queste parti e dovermela fare… a piedi fino al rientro! Ma questa volta sono davvero fortunato, complice anche la velocità di crociera che rimane tranquilla. Niente fretta, oggi.

Supero alcune zone carine, abbastanza suggestive, anche se di fenicotteri neanche la silhouette, ma poco importa. Si fanno notare invece altri volatili bianchi (fors l’airone guardabuoi?), per oggi ci si accontenta. Tra poco incontrerò persino un piccolo gregge di pecore e mi domando cosa riescano a brucare su questa superficie così poco produttiva, salata, con davvero poche piantine a disposizione.

Incontro anche un piccolo gruppetto di case, con altre piccole costruzioni più semplici, baracche adibite a magazzino, luoghi di raccolta di qualche animale… Vedo persino un piccolo campo di calcio, con porte sbilenche piantate nel terreno umido e le onde dell’acqua che se lo stanno poco alla volta divorando. E appena mi fermo per fare due foto ecco comparire, quasi subito, un paio di bambini in ciabatte ma con il loro pallone, forse per rivendicare il loro diritto a giocare su questo terreno.

Pedala pedala, arrivo fino alla fine della strada, chiusa da una costruzione militare che controlla il canale che consente al Mar Chica di collegarsi con l’esterno, il mediterraneo. Abbondano i cartelli che ricordano che è proibito il transito, ma vedo diversi motorini e qualcuno che si avvia comunque verso il molo, sicuramente per pescare.

Dopo un’ora sono arrivato praticamente al capolinea, non posso certo continuare verso l’altra parte della striscia, il canale è largo più di 300 m. L’architettura della costruzione e dei grandi blocchi frangiflutti richiama contaminazioni cubiste…. Così riprendo la via del ritorno.

Mi fermo per dare un’occhiata alla lunghissima spiaggia. Tutto il terreno sembra ricoperto di conchiglie, appena la strada battuta lascia spazio al resto le conchiglie si affollano e sulla spiaggia sono ancora più evidenti. Una distesa che sembra una decorazione voluta e artificiale. Il mare oggi è agitato, le onde si fanno sentire; nessuno su questa sterminata distesa di sabbia, non so se in piena estate le cose cambiano di molto; il luogo è accessibile, la strada abbastanza buona. Non ci sono servizi o ristoranti (ho visto vicino al gruppo di case solo un negozietto che, come al solito, vende di tutto). Ho persino intravisto un paio di piccole tende nascoste in un boschetto lungo la strada… Il luogo si presta.

Oggi non è giorno di mare e l’idea non mi attira più di molto; riprendo a pedalare per il rientro, perchè il timore della frontiera non è certo un dettaglio da poco. E infatti verso le 12 sono di nuovo in coda per il controllo documenti. I tempi si prospettano nuovamete lunghi, alla fine risparmio forse una decina di minuti e poco prima dell’una ho varcato tutti i controlli. Eccomi di nuovo a Melilla.

Tutto sommato una bella escursione, in tutto sono quasi 30 km di percorso; peccato per le 2 ore spese in fila alla frontiera… ma a Melilla questa è la norma.

Ecco alcune immagini di questo tour – Beni Ensar – Mar Chica

Dalla parte delle donne…

Dalla parte delle donne…

Curiose le circostanze che ogni tanto si presentano. Qualche anno fa, a Siracusa, ero in contatto con un’amica iraniana, molto attiva e curiosa; peccato che gli iraniani siano sparsi con tanta parsimonia nelle nostre città.

Avevamo avviato qualche lezione per approfondire l’italiano (ero ancora inserito nelle attività del Ciao), visto che lei contava di restare in pianta stabile in Italia; lezioni informali, chiacchierate, per lo più, sfiorando numerosi temi, ad ampio raggio. Molto informali e flessibili, persino qualche passeggiata lungo gli scorci più belli di Siracusa, per lei appassionata di mare e di nuotate (e che fatica seguirla!, nelle acque cristalline vicino alla tonnara di s. Panagia!). Sulla via del ritorno incontriamo casualmente una persona e subito, dopo un saluto, scopriamo che è iraniano anche lui… quasi in automatico scatta il mood formale, mi sarei immaginato un scambio di convenevoli, dove vivi, cosa fai adesso, perchè sei qui… invece nulla, praticamente silenzio.
Dopo, rimasti nuovamente da soli, mi conferma che …non si sa mai cosa può scaturire da simili dialoghi con altri compatrioti: informative? delazioni? segnalazioni?… meglio evitare.

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E proprio alcuni giorni fa ricevo da lei alcune righe, giusto per aggiornare i contatti e constatare come cambiano spesso le coordinate geografiche; ora non si trova più ad Ortigia, ma sempre nel sud Italia e c’è sempre di mezzo il mare come denominatore comune; la sento contenta di continuare nel suo percorso.

Sarà per questo che mi sono preso la briga di leggere questo rapido volumetto, Nelle strade di Teheran, che avevo messo da parte proprio pensando a lei. L’autrice scrive utilizzando lo pseudonimo di Nila, per proteggersi, in quanto è ancora residente nella capitale dell’Iran.

Tutti ricordiamo i tragici fatti legati alla fine di Masha Amina, e le proteste che ne sono scaturite immediatamente. Poi, per l’inesorabile legge dei media, quando le cose sfumano in lontananza, il tempo passa, il ricordo si affievolisce e l’attenzione cerca nuovi stimoli. Ogni tanto diventa importante andare un po’ controtendenza e dare spazio alle cose che dovrebbero essere sempre in prima linea. Per non dimenticare.

Il libro si muove quasi in parallelo, tra il riesumare la storia di una famosa dissidente donna del secolo XIX, Taehereh, definita come la prima voce libera dell’Iran e l’attuale situazione, soprattutto femminile, nell’Iran attuale, ancora in fermento per questa rivolta più o meno silenziosa.

Per noi, abituati al tranquillo contesto europeo ed occidentale, ascoltare la testimonianza di come portare o non portare un velo o un foulard possa cambiare la vita o causare persino la morte, suona davvero strano, il nostro punto di vista sembra così autorevole ed assoluto che la persistenza di questo genere di cose ci risulta quasi impensabile. E spesso lo accantoniamo, come fosse insignificante.

Nel libro si alternano così le riflessioni di una donna iraniana di oggi, dilaniata da una situazione palesemente assurda e costretta da una coercizione politica paludata da concetti religiosi. Si narrano vari episodi, si cerca di ricostruire il quotidiano segnato dalla volontà di continuare questo movimento di protesta (che ben presto assume il nome dello slogan “donna, vita, libertà”) numerose le giovani che si indignano e partecipano alla protesta, accompagnate coralmente da numerose altre persone. Il libro si chiude con una cronologia degli eventi, e con un capitolo dedicato ai “numeri” che quantificano meglio la realtà dei fatti. Non solo emozioni o riflessioni dettate dagli eventi e dal fermento popolare.

Temi presenti nel libro, che invitano alla riflessione, sono i concetti di testimonianza e di martirio, intesi in senso laico, anche il tema religioso viene affrontato in chiave molto critica, sullo sfondo si coglie che persino la lingua persiana, il farsi, può diventare uno strumento di affermazione della propria dignità e storia.

Penso al contesto in cui vivo oggi, qui a Melilla, una cittadina spagnola ma a larga maggioranza musulmana, dove per le strade è facilissimo incontrare mamme col niqab che accompagnano i bambini al parco o a fare la spesa, dove anche nel doposcuola con il quale collaboro di pomeriggio, ci sono bambine che hanno da poco superato i 12 anni già col velo; se poi penso alle classi di persone con le quali quotidianamente svolgo un po’ di lezioni, la stragrande maggioranza è formata proprio da donne con il velo; mesi fa abbiamo anche noi accolto una giovane donna che indossava il niqab, poi le abbiamo chiesto cortseemente di non utilizzarlo, almeno in classe… richiesta accolta senza nessun problema.

Nella nostra città puoi incontrare decisamente di tutto, donne in spiaggia vestite dai capelli fino alla caviglia e ragazze in topless che prendono il sole; ciascuno liberamente sceglie. Ma fino a quando si può scegliere le cose non creano difficoltà o contrasti evidenti, assuefatti come siamo dal mantra della tolleranza verso tutti e tutte. Noi difficilmente possiamo provare l’altra faccia del velo, quando invece diventa la norma imposta a tutti quanti.

Utile, ogni tanto, ricordare che siamo e viviamo nella parte fortunata di questa piccola terra.