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Riepilogo degli spostamenti

Riepilogo degli spostamenti

Devolution, slow-process, calma zen… ma poi in concreto siamo sempre in frenetico movimento.
Nei primi giorni di gennaio mi è arrivato un msg da Google con il Riepilogo degli spostamenti effettuati nel 2023. La mappa è abbastanza precisa e riassume senza tanti problemi le varie tappe dello scorso anno.

Ho dovuto aggiungere “a mano” alcune località: Genova, Sanremo, Entracque, Carmagnola… E poco importa se i calcoli sono comunque approssimativi per difetto, per tanti motivi (quasi un mese senza cellullare e quindi senza registrazione degli spostamenti, disattivazioni varie, cambio di app, problemi tecnici… ma fa sempre un certo effetto vedere che, grosso modo, questo è il totale:

Nel 2023 hai viaggiato per una distanza totale di 5.524 km (pari al 14% del giro del mondo)

Anche per quanto riguarda le località mi sembrano un po’ tanto sparpagliate e un po’ sbrigative come sintesi; si mette poco in evidenza che in almeno 2 di queste ho vissuto per tanti mesi (8 a Siracusa e ormai più di 4 a Melilla. Ma d’altra parte si tratta del registro degli “spostamenti”.

A mettere insieme questi dati insieme agli eventi che uno sistema e si segna nel calendario, si farà presto a redigere una biografia essenziale con i dati principali di una persona. Un diario un po’ asettico viene così redatto in quattro e quattr’otto, un modo rapido per togliere lavoro ai vari Eginardo (Carlo Magno), Paolo Diacono, ma anche Walter Isaacson (da Steve Jobs a Leonardo da Vinci…) che hanno fatto della scrittura di biografie un valido mestiere.

Un dato che sarebbe interessante valutare e che richiederebbe un po’ di calcoli, è quello del “consumo” più o meno sostenibile. Oggi ci spostiamo senza tanti patemi d’animo e la principale motivazione del viaggio, spesso, è il suo costo talvolta davvero esiguo, e così sorvoliamo rapidamente sulle conseguenze della nostra impronta più o meno ecologica per quanto riguarda i consumi…

Gran parte dei viaggi compiuti lo scorso anno sono stati fatti in aereo, mi consola solo il fatto che il ricordo di questi viaggi era di un velivolo sempre quasi completamente pieno.

Homo viator, ci ricordava Gabriel Marcel, mettendo in evidenza il nostro essere perennemente in movimento, alla ricerca di un fine, non di un parcheggio…

A zonzo per Madrid

A zonzo per Madrid

Ho avuto l’occasione e la fortuna di poter dedicare un paio di giorni alla visita di Madrid. Senza impegni particolari, senza mete, senza fretta… Erano i giorni a cavallo del ponte del 25 aprile e in vista del primo maggio; dovevo partecipare ad un incontro con altri fratelli maristi spagnoli e nell’incastro di questi impegni, si sono liberati momenti davvero interessanti.

Non avevo fretta o tappe particolari, così me la sono presa comoda; una città si gusta bene anche senza dover organizzare tutto o stabilire a tavolino le cose da fare e vedere. Il museo senza mura e orari che la città stessa rappresenta vale la pena comunque di essere vissuta e assaporata.

All’inizio avevo davvero pensato di pianificare mete e itinerari; ma poi mi sono dedicato semplicemente a soddisfare alcune piccole curiosità, senza troppe pretese. Avevo sbirciato alcuni siti, fin troppo commerciali e infarciti di pubblicità, dato un’occhiata alle mappe della metro e dei treni della Renfe (Cercanias, un po’ come i treni della Nord a Milano, ma… molto meglio come possibilità di visita all’interno della città); ho poi trovato un sito molto interessante e simpatico, abbastanza aggiornato e in linea con il gusto tipico di noi italiani curiosi di vedere le cose principali. Si tratta di https://viaggioamadrid.it/ realizzato da Andrea Cuminatto, un blogger appassionato della Spagna. Le molte informazioni del suo sito sono state davvero preziose…

Avevo già visto Madrid in altre occasioni, ma ormai gli anni si sono depositati sui ricordi e può essere interessante osservare l’evoluzione di una città così cosmopolita e multiculturale. Se pensi che i famosi grattacieli chiamati le 4 torri li ho visti praticamente nascere e costruire, nel 2004 e adesso sono… 5, si può cogliereil cambiamento e la rapida mutazione dello skyline della città.

Il punto di partenza che volevo comunque visitare era presso la stazione ferroviaria di Atocha. Nel 2004 c’è stato il terribile attentato, il mercoledì 11. Ero all’Escorial quel mercoledì, M-11, e la notizia ha paralizzato il paese. Il giorno dopo mi sono recato presso la stazione, con degli amici, per partecipare al dolore di quei momenti. Una folla indescrivibile, un mare di candele accese. Da quella data ogni volta che sono passato a Madrid andavo a vedere questo luogo, per ricordare. Poco alla volta la distesa di lumini si è ridotta, concentrata, modificata…

Ed è questa la prima cosa che ho cercato, ma…. piccola delusione, ora esiste una sala della memoria, per ricordare questo tragico evento, sono passati quasi 20 anni; la sala ha il suo orario, vetrate trasparente da cui si coglie solo uno spazio vuoto. Sono arrivato che era chiusa e l’orario (10-16) non era certo il massimo. Ma le cose ora stanno così; nel paese dei ricordi è comunque diverso.
Un’altra piccola delusione mi ha preso guardando il grande giardino interno (quasi una serra) della stazione Atocha, un immenso spazio dove ricordavo piante lussureggianti, diffusori di umidità, tartarughe che si affacciavano dalle pozze d’acqua. In questi giorni (spero solo momentaneamente), sembra un po’ abbandonato, foglie piene di polvere ed effetto straniante. Niente di irreparabile, ma mi veniva voglia di cercare una gomma per innaffiare questo scrigno prezioso di piante…

Le altre tappe interessanti che ho potuto osservare in questi giorni sono:

Il parco del Retiro – quasi nel centro di Madrid si trova questo grande parco, circa 200 ettari di prati, alberi, spazi verdi, laghetti, scorci suggestivi… In origine era come al solito una residenza nobiliare, poi a fine 1800 è stato aperto al pubblico e ora è considerato uno dei principali polmoni verdi della città. Viene da pensare a Villa Ada, Villa Borghese a Roma, ma anche Villa Torlonia. Però in grande e con diversi palazzi interessanti sparsi su questo gradevolissimo manto verde. In particolare spiccano

  • il palazzo di Cristallo: una meraviglia in ferro battuto pitturato in bianco, con un effetto visivo davvero speciale. Entrando all’interno di questo grande spazio espositivo, in questi giorni perfettamente vuoto, ci si sente un po’ farfalle alla ricerca di fiori, uccellini al riparo, freddolosi al sicuro (perché il tepore si moltiplica davvero in fretta e in modo intenso!). Niente di più di una grande struttura di vetro e metallo, ma sembra un ricamo prezioso in mezzo al bosco.
  • il Palazzo Velasquez: questa invece è una struttura in mattoni, all’esterno molto ben curata, con numerosi spazi decorati a ceramiche artistiche, all’interno ospita spesso esposizioni e mostre, come quella di quadri astratti (non chiedetemi il nome dell’artista!) presente in questa primavera ’23.
  • C’è poi un grande laghetto, dove è possibile noleggiare canoe e barchette per un momento di relax e distensione fisica. Per tutto il parco è normale incontrare singoli e gruppetti impegnati in running, attività fisica di vario tipo, gruppi di yoga o di risveglio dolce; ma anche solo una passeggiata in questo ambiente è sufficiente per rimettersi in sintonia con la natura e con il proprio corpo.

Ecco una carrellata di foto di questo angolo verde di Madrid: il Parque del Retiro

  • il museo Navale: lungo il viale del Prado si concentrano diversi musei oltre a quello che dà il nome alla strada; forse il più piccolo è proprio questo dedicato alla storia navale della Spagna. Certo, a Madrid il mare non arriva, ma l’intreccio storico e sociale che i viaggi di esplorazione e tutto ciò che riguarda i viaggi via mare hanno lasciato in eredità alla capitale spagnola è davvero imponente. Nel museo ci sono diverse chicche ed è facile ritrovare quadri o documenti che hanno popolato il nostro immaginario e i nostri libri di storia, come l’iconico dipinto che ritrae Colombo nell’atto di sbarcare sul nuovo mondo. E’ presente anche la prima cartina che riporta le tracce dei primi viaggi di esplorazione fino al 1500, quando il resto dell’America era ancora fuori dal panorama…
  • l’altro grande museo presente nei dintorni è il Thyssen, lascito di un magnate dell’acciaio (questo nome lo troviamo spesso su ascensori ed altri manufatti attuali) che ha dato una dimora definitiva alla collezione raccolta a partire dagli anni 1950 in poi. Ci sono anche quadri più antichi (un Antonello da Messina, un Caravaggio, forse un inedito di Raffaello), ma il grosso della collezione è prettamente moderno, coprendo in pratica la miglior produzione degli ultimi due secoli. Sale molto spaziose e disposizione logica; a volte mette i brividi poter leggere anche solo le firme degli autori, ma l’effetto di perdersi in questo mare di colori e forme è suggestivo. Viene anche da pensare, comunque, che la vera casa delle opere d’arte non deve essere necessariamente un museo, come se fosse la loro unica collocazione… ma la nostra attuale narrazione sembra aver condensato in questi luoghi gli itinerari del bello e della fantasia.

Album fotografico sul museo Navale e il Thyssen

  • la cattedrale dell’Almudena (c’era troppa coda per visitare il Palazzo Reale), in effetti mi sarebbe piaciuto visitare il Palazzo ma arrivato nella piazza che si trova tra la cattedrale e l’ingresso, la coda era già chilometrica, comportava sicuramente un paio di ore di attesa, visto il deflusso lentissimo. Ok, puntiamo direttamente sulla cattedrale, che ha comunque il suo fascino. L’avevo già vista quando non erano ancora state completate le opere pittoriche di Kiko Arguello, è sicuramente interessante vedere che la capacità pittorica del fondatore del movimento dei neocatecumentali è davvero eloquente. L’uso del colore è stimolante e luminoso, rende le superfici della chiesa, fin troppo austere, più vicine e gradevoli. Peccato che i soffitti e le pareti siano veramente lontani, date le dimensioni considerevoli della cattedrale. Girando tra le cappelle si incontra anche quella di Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus. Insomma, oltre alla piccola statuetta mariana dell’Almudena, qui si trovano condensate due dei principali apporti che la Spagna ha dato alla chiesa nell’ultimo mezzo secolo.
  • il tempio egizio di Debod… (insomma, dopo aver visto il tempietto egizio nel museo di Torino, ci stava bene), avevo letto sul blog che stavo consultando che anche a Madrid era presente un piccolo pezzo di Egitto. La spiegazione è identica a quella relativa al tempio presente nel museo di Torino: siccome anche la Spagna aveva ampiamente contribuito ai lavori per la diga di Assuan, era stata ricompensata con questo intero tempio che altrimenti sarebbe stato sommerso dalle acque.
    Il suo trasferimento integrale, pietra per pietra, in questo caso è anche più scenografico, perché è tutto visibile. E’ stato posizionato in un parco molto vicino al Palazzo Reale (5 minuti a piedi, proseguendo dopo il Palazzo e dopo i Giardini Sabatini); ma anche in questo caso la coda era consistente. Tra una cosa e l’altra c’è voluto più di un’ora per entrare (l’ingresso è possibile solo a piccoli gruppetti di 6-10 persone al massimo, perché gli spazi interni sono davvero angusti); in compenso una volta entrati il fascino e l’effetto straniante sono assicurati, sembra proprio di avere addosso i panni di Indiana Jones e di entrare in un luogo totalmente altro. Luoghi piccoli, pareti con alcuni geroglifici, discreti pannelli esplicativi, di solito in 10-15 minuti si può vedere e comprendere veramente tutto (ecco quindi spiegata la coda!). Se poi ci metti che l’ingresso è completamente gratuito, la cosa si spiega. Una volta usciti si viene accolti dal fresco giardino e in questi giorni di inizio maggio un po’ di ombra è veramente preziosa.
  • Prima di rientrare in Italia ho avuto ancora una mattinata, così ho tentato la visita al Monastero delle Carmelitane. Ero tra i primi in coda, proprio alle 9, ma che delusione quando mi dicono che non si può pagare con la card/telefono (io di solito giro quasi sempre senza nemmeno uno spicciolo, utilizzando sempre e solo il cellulare come portafoglio elettronico, ormai da diversi anni); sono andato subito a cercare un ATM, ma …. era il giorno della festa di Madrid e per chissà quale congiura astrale, quelli che avrebbero potuto accettare una card straniera (come la nostra PostePay) erano fuori servizio. Ne avrò girati 4 o 5, chiesto ai vari desk di Cambio, ma nessuno consente di pagare con il cellulare e ricevere contanti in cambio ;-( Morale della favola ho dovuto rinunciare, così mi sono nuovamente diretto verso il Palazzo Reale sperando ci fosse meno. In questo caso mi è andata bene, ma data la festività e a causa di un pranzo ufficiale per il giorno dopo, si potevano visitare solo i saloni dell’Armeria e la Cucina. Tutto sommato proprio quello che avrei voluto vedere, anche perché dopo il palazzo di Torino, la Reggia di Caserta, vedere un altro esempio di architettura realizzato da italiani… mi sembrava meno urgente. Così mi sono avviato verso l’Armeria, dove si conservano numerosi reperti originali di Carlo V, Filippo II e III e numerosi altri pezzi davvero pregevoli, comprese alcune armature giapponesi (che fanno tanto manga!). Fa davvero uno strano effetto contemplare l’ingegno umano asservito a strumenti, tutto sommato, di morte e distruzione, oltre che difesa. Immaginarsi quei cavalieri (e cavalli), bardati con corazze dal peso impressionante (decine di chili!) muoversi per i teatri di guerra… non lascia indifferenti. E che livello artistico nel cesellare i fucili, strumenti rivoluzionari da poco inventati (a partire dal 1500), insomma, ti sparo ma con il dovuto tributo al bello e all’epico. Poco comprensibile in questi ambienti il divieto di fare fotografie ed effettivamente i custodi erano molto attenti a queste cose, con richiami frequenti e minacce di cancellare le foto scattate. In pratica un incentivo a sgamarli e tentare comunque qualche ripresa…
    Per concludere, abbiamo dato uno sguardo alle cucine (qui invece le foto si potevano fare, ma senza inquadrare le guide!), grandi ambienti con ancora la strumentazione operativa fino agli anni 1950. Curioso confrontare certe modalità operative quando il frigorifero non esisteva, il frullatore era di là da venire, le piastre a gas erano ancora un miraggio. Eppure i menu esibiti non erano certo modesti o privi di fantasia. Spesso si ottiene diplomaticamente di più esibendo un menu che una flotta…

Ecco le ultime foto di questo
giro a Madrid: Almudena, 4 Torres, Palacio Real, palacio Debod

Davvero grande, questo amore

Davvero grande, questo amore

Tra un po’ dovrò riprenderlo, il suo famoso “Va dove ti porta il cuore”, perché dal tempo della prima lettura (in pieno secolo scorso), di vocali ne sono passate a scorribanda tra le consonanti …
Ma intanto resto gradevolmente sorpreso dai testi che puntualmente, ad ogni giro di boa importante, la Tamaro produce, senza strepito, con calma e decisione.

Così mi è capitato tra le mani questo suo ultimo romanzo (Una grande storia d’amore è del 2020, persino la pandemia vi fa capolino); dopo aver letto anche altri suoi testi, come quello dedicato al mondo della scuola, nel quale rivendica con fermezza alcuni suoi punti insindacabili (e opinabili, a parer mio) per avviare un recupero culturale serio, mi sembrava giunto il tempo di riprendere il filone narrativo. E non ne sono rimasto deluso.

La storia questa volta si basa su una sorta di inversione dei ruoli. E’ una storia d’amore tra due persone, ma l’autrice si cala fortemente nei panni dell’uomo, il “capitano”, in questo caso. E certe simbologie rivelano chiaramente alcune convinzioni. La trama si dipana lungo i nostri anni, partendo dai lontani (e forse non così mitici) anni 70-80. Per chi quegli anni li ha vissuti e li conosce sono tanti i rimandi, discreti e in filigrana, che ne definiscono i contorni, dai vestiti agli slogan, dal cibo alle abitudini, tutti elementi ben dosati e mai didascalici. La relazione che nasce tra i due protagonisti, la giovane Edith e Andrea, è marcata da numerose tappe, viaggi, traghetti, università, oriente… le prime delle quali sembrano fatte apposta per rendere difficile e poco scontata questa storia.

Il carattere dei personaggi sembra così antitetico e basato su presupposti quasi agli antipodi l’uno dell’altra che proprio solo il caso (nel finale del libro però farà capolino una speranza, anzi, una provvidenza che la dice lunga su chi tesse la trama dei giorni) sembra giustificarne la possibilità.

E’ una storia che inizialmente si basa sulle attese, sui tempi lunghi, sulle pause di riflessione e sui tentativi di imbastire la propria vita su altre basi, ma poi, lentamente, il percorso converge e i nostri due finiscono per riunirsi. Ma dopo questa sistole ecco prendere fiato la diastole delle persone, gli incidenti, le mancanze imprevedibili, le assenze. Sarà la morte di una nonna, colta dall’infarto su un bus giunto a fine corsa a minare l’equilibrio che la coppia aveva raggiunto, nonostante la presenza di una figlia proveniente da un altro percorso.

E dopo la vicenda di una nuova nascita, che purtroppo verrà segnata dalla tragedia di una fine prematura dopo pochi mesi, l’equilibrio raggiunto si sgretola. Da questo punto le piste divergono nuovamente, la coppia si rinsalda, ma la figlia si perde, letteralmente ed emotivamente. Il resto del libro si muove in vista di un possibile ritorno nel porto familiare, impresa difficile che infatti si compirà solo a frammenti.

Non è un giallo, ma i colpi di scena, le invenzioni, pacate ma illuminanti, sono di casa e mostrano la capacità dell’autrice nel prendere per mano il lettore e accompagnarlo nella riflessione su tanti temi che apparentemente sembrano un coacervo di elementi poco unitari. Ben dosato anche l’altro grande amore della Tamaro, le lettere; nel corpo del testo ne compaiono alcune, scritte dalla protagonista e necessarie nell’economia del testo per chiarire e completare il quadro. Dall’altalena alla cura delle api, dalla cultura cinese alle esperienze giovanili, dal ’68 maoista al recupero della fede attraverso itinerari anche semplicemente di sentiero. Il racconto si dipana ampiamente toccando temi e situazioni che fanno parte del nostro oggi, senza enfasi e con molta serenità. Ma anche fermezza: le idee che traspaiono sulla nostra modernità sono riprese spesso in modo apertamente critico, dalla inarrestabile avanzata dei cellulari al mondo della rete, dal dramma delle droghe sintetiche alla maternità desiderata e spesso difficile, in tutte le situazioni affiora poi la difficoltà delle relazioni tra genitori e figli, elemento quasi assiomatico nei testi della Tamaro.

Iniziato un po’ per curiosità e terminato quanto prima, per la scorrevolezza del testo, la semplicità letteraria (mai banale) e per l’aderenza a questa nostra vita, non sempre facile. E giunto all’ultima pagina veniva quasi voglia di sfogliare ancora il tablet per vedere cosa sarebbe successo dopo…perché il finale sembra solo un gradino verso un nuovo inizio.

Il guardiano del Faro

Il guardiano del Faro

Nei ricordi un po’ sbiaditi dei miei tempi, rimane vivace la memoria di una trasmissione televisiva che io sbrigativamente chiamavo “il guardiano del Faro“, forse per via delle musiche che ebbero un discreto successo alcuni anni dopo, composte da un omonimo musicista, uno dei primi ad utilizzare il moog come strumento all-in-one per i suoi brani.

E poi, avendo vissuto sulla costa ligure per tanti anni, di fari ne vedevo spesso, da quello a metà strada tra Arma e Sanremo, agli altri disseminati lungo l’Aurelia. Un edificio ricco di fascino e suggestione. Probabilmente destinato a scomparire, come le case cantoniere, sotto le bordate del GPS e dei nuovi strumenti di navigazione satellitare.

Ancora pochi mesi fa, insieme a Nina e Rosa, visitando Capri, ci siamo imbattuti nel grande faro di Punta Carena che accoglie i traghetti, il secondo più grande d’Italia (dopo la Lanterna di Genova, che una volta ho tentato inutilmente di raggiungere in bici dallo Champagnat, perdendomi in viuzze e vincoli stradali vari…).

Ma se non fosse stato per l’abilità narrativa di Rumiz mi sarei accontentato di questi ricordi d’infanzia, di qualche foto estiva. Invece sono rimasto particolarmente affascinato dal suo libro, Ciclope. Un testo per molti aspetti inusuale. Conoscendo già l’autore avevo pensato: intanto lo prendo, poi, magari gli do un’occhiata. E invece in pochi giorni, complice quest’ultimo periodo di quasi chiusura delle attività, mi ci sono immerso e felicemente inabissato.

Non è un romanzo, un resoconto di viaggi (Rumiz è praticamente fermo e isolato su quest’isola misteriosa per tutto il testo, pur spaziando praticamente ovunque…), un saggio sociologico sulla distanza e lentezza che aiutano nella riflessione, o una dissertazione sull’invadenza di Internet, visto che nel finale si sente quasi miracolato per aver goduto di 3 settimane di completo distacco dalla rete, che spesso ci vincola più di quanto ci liberi. Non è nemmeno un libro poetico, anche se le descrizioni, le riflessioni e le conclusioni a cui giunge sfiorano in molti passi un afflato che non è semplicemente prosa. La trama è semplice, quasi inesistente. L’autore si reca per un breve periodo su quest’isola piuttosto lontana e remota del mediterraneo (fornisce qualche indizio, ma non ne rivelerà mai il nome, per consentirci una personale caccia al tesoro), per un periodo di stacco completo, quasi un ritiro totale, ospitato nel faro che è l’unico edificio dell’isola, abitato da un paio di custodi e, nel finale, da una piccola famigliola. Pochissime le relazioni con le persone, di civilissima ed elegante convivenza, con poche interazioni, qualche brindisi, una cena o un pescato alla brace da condividere, pochi e semplici gesti. L’autore è armato di quaderni e taccuini, sui quali fissa dettagli, impressioni, ricordi, assonanze, emozioni sui pochi fatti che avvengono sull’isola, almeno in apparenza, perché da spunti quotidiani si passa facilmente a divagazioni cosmiche….

Le giornate sembrano susseguirsi senza sbalzi, apparentemente monotone, ma in profondità ricche di appigli per rileggere episodi della propria vita, della storia, delle consuetudini umane, in un’ottica di profondo distacco e pacatissima quiete. Tanti i rimandi ad altri luoghi, soprattutto collegati per la presenza di altri fari di particolare impatto e significato per l’autore. Veniamo così accompagnati in numerose zone del mediterraneo, dell’Europa del Nord, delle coste nordamericane, fino al Cile, qualche sprazzo di Africa, un itinerario di luci sul mare che a volte suggerisce la domanda: “Ma quanto avrà girato in vita sua Rumiz?“.

Numerose riflessioni sono intrecciate al tema del mediterraneo, agli eventi che su queste sponde la storia ci ha regalato e da cui siamo comunque segnati. Si avverte una fascinazione quasi religiosa nel riflettere su come la vita cambi di prospettiva se la guardiamo da un osservatorio così speciale come può essere un faro, che obbliga a fare i conti con se stessi, le proprie radici e le proprie vicissitudini. Riflessioni sempre lucide, e mai sbrigative, spesso grondanti di richiami letterari, che spaziano dalla mitologia ai contemporanei, Walkott ed Hemingway tra i tanti…

E leggendo ti immagini ovviamente cosa proveresti tu a passare dei giorni in situazione simile… a tu per tu con l’immensità del mare, con le incognite del viaggio, del tempo che cambia senza chiederti permesso (e nel mare le previsioni meteo sono davvero bizzarre e improponibili). Un viaggio letterario denso. Da provare.

Qualche post fa ero titubante su una delle mie ultime recensioni (riguardava il libro La Mennulara), pensavo fosse poco “equilibrata” per i criteri di AMZN, visto che già diverse volte mi avevano rifiutato delle recensioni un po’ troppo ‘spensierate’… e invece…. 🙂 Ma la cosa che mi ha stupito di più è che poco fa ho inserito anche la parte centrale di questo post come recensione al libro di Rumiz, sempre su AMZN, e dopo nemmeno mezz’ora era già online (ho appena ricevuto la mail di conferma). Avranno assoldato nuovi scrutatori o istruito qualche nuovo bot di IA per verificare la coerenza con i criteri di Bezos? Chissà…

A questo punto ecco qualche foto di fari che, poco alla volta, ho collezionato tra le mie foto