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Visita a una mezquita di Melilla

Visita a una mezquita di Melilla

Giornata particolare quella del 15 marzo; non sapevo nemmeno che fosse la Giornata Internazionale per la lotta all’islamofobia (temo che ormai ci siano giornate per il recupero psicofisico contro il bullismo delle nanoparticelle e quella per la sensibilizzazione ai problemi demografici dei criceti…) ma è capitata sicuramente nel momento giusto. Qui a Melilla stanno iniziando le vacanze di Pasqua (2 settimane di pausa, geniale, si riprende la scuola il lunedì dopo Pasqua, vedremo di farcene una ragione, di quest’anno senza Pasquetta…) e approfittando di qualche momento libero sono venuti a trovarci tutti i responsabili della pastorale delle scuole lasalliane dell’Andalucia, una quindicina di persone. Dopo averli scarrozzati un po’ dall’aeroporto ai vari luoghi di incontro sono ormai amici “di casa”.

Per la mattinata del 15 era previsto un tour abbastanza insolito, una sorta di pellegrinaggio nei diversi luoghi di culto di Melilla. Questa città vanta una tradizione molto ampia e significativa di “tolleranza” ed apertura interculturale; qui gli ebrei non hanno vissuto l’ostracismo perpetrato in Spagna dopo l’editto del 1492 che ha espulso ebrei e musulmani dal territorio; in Marocco la fede e la cultura ebraica si è sviluppata ampiamente. Così pure la cultura berbera locale ha influito sul modo di vivere e accogliere l’Islam. Per ultimi sono arrivati anche gruppi indù, nel secolo scorso, inizialmente per semplici motivi economici, ma si sono così ben integrati da formare un gruppo distinto e caratteristico.

Nella mattinata abbiamo così visitato la sinagoga, una mezquita (quello che noi chiamiamo moschea) e il centro indù. Mi piace iniziare dalla mezquita.

So bene che a Melilla ce ne sono molte, la principale è vicina al nostro Istituto e non passa giorno che la voce del muezzin non ce lo ricordi; abbiamo la fortuna di convivere quotidianamente con tante persone musulmane. La stragrande maggioranza dei nostri alunni, sia piccoli che grandi, sono di religione musulmana (sto parlando del nostro Centro Fratelli, ovviamente, non della scuola lasalliana che accoglie una maggioranza di cristiani) e proprio in questi giorni, con il Ramadan appena iniziato, è importante conoscere e integrare questa tradizione.

Ci avevano detto che la moschea era subito dopo il grande arco, ma io non vedevo proprio nulla sulla strada, solo avvicinandomi ho potuto scorgere questo ingresso, che portava ad una piccola piazzetta. Prima impressione: questa moschea non ha nemmeno il minareto, più avanti capiremo il perché.

Siamo un gruppo di professori, uomini e donne, logicamente le donne entrano velate e per molte è un’esperienza insolita. Poi tutti ci togliamo le scarpe e le depositiamo nella rastrelliera. L’ingresso rivela subito l’intero della grande moscheza, con il suo immenso tappeto e varie colonne rivestite di maiolica.

Ci accoglie Salam, un giovane docente islamico che si è formato anche a Granada e conosce bene la cultura e le tradizioni cristiane. Ci sediamo in un angolo del grande spazio, dalle finestre si scorgono alberi e palme (il nome della mezquita è proprio De La Palma Santa). Salam inizia a parlare e spiegare le caratteristiche del luogo in cui ci troviamo. Il prof. Miguelangel, residente qui a Melilla, con alcune domande e interventi ci aiuta a comprendere meglio questa realtà.

Ci parla dei 5 pilastri della fede musulmana, della storia di questa particolare mezquita, del suo profondo legame con la mistica (e qui entra in campo anche il sufismo) e del suo ruolo particolare. E’ spesso meta di pellegrinaggi particolari, da varie zone della Spagna e dell’Africa. Il giovane docente ci ricorda lo stretto legame con la fede ebraica e cristiana, gli stretti rapporti dell’Islam con Abramo ma anche con Gesù e Maria; ci ricorda che le moschee spesso sono a conduzione familiare, non esiste un “sacerdozio” istituzionale come possono essere i parroci da noi. In questo luogo si approfondisce quindi una visione dell’Islam decisamente serena, aperta e condivisibile.

Al termine dell’incontro è nata spontanea la richiesta di vivere insieme un breve momento di preghiera per la pace; Salam ci ha recitato la prima sura che apre il Corano (una sintesi delle principali verità di fede) e noi abbiamo concluso con il Padre Nostro. Nella pace e nella quiete di quel luogo ci sembrava che ogni parola suonasse al posto giusto, forse perché risuonavano anche nel cuore di ciascuno.

Piccola rassegna web

e qui è disponibile l’album fotografico del nostro tour dei luoghi sacri di Melilla

E che la luce splenda…

E che la luce splenda…

Mi ero quasi abituato, negli ultimi 4 anni, a festeggiare santa Lucia in modo speciale. Essere concittadino della santa siracusana è stato una bella occasione per approfondire meglio questa figura così antica ed emblematica.

E il perdurare dei proverbi (S.Lucia, il giorno più corto che ci sia…è un refrain che ancora si sente) è indice di tanta storia, a volte sotterranea, che però talvolta trova occasioni per emergere. Quando racconto a miei vari alunni della riforma del calendario gregoriano nel 1582, molti rimangono stupiti che sia esistito un anno senza una decina di giorni sul calendario e che il semplice (!) calcolo delle ore comporti modifiche così impegnative sui ritmi della nostra vita.

“Girare” intorno al sole, come sempre ci sembra, ci tocca davvero da vicino, non serve nemmeno riprendere in mano gli strumenti del contadino per rendersene conto. E’ stato così anche per i nostri fratelli ebrei, che proprio nei primi giorni di dicembre festeggiano l’Hannukah, festa della luce.

Per l’occasione abbiamo accolto anche noi l’invito della comunità ebraica e partecipare così alla festa di accensione delle luci di Hannukah, che si è svolta a Melilla, ancora sotto l’emblema cittadino, uno sponsor laico ma molto attento ai temi del rispetto e della convivenza tra le culture. In quella serata, però, si è avvertita quasi la nota stonata dell’assenza ufficiale degli amici musulmani (qualcuno aveva sottolineato infatti la presenza del 75% delle comunità di fede locali). Comprensibile però, dati i tempi che stiamo vivendo e le tragiche vicende nella striscia di Gaza…

La nostra Comunità Fratelli anche per questo aveva pensato, da un po’ di tempo, ad un momento di preghiera inter-religiosa che fosse svincolato da qualunque riferimento pubblico o politico. A nostro favore gioca ovviamente il fatto peculiare di avere, tra i molti alunni della scuola lasalliana, una rappresentanza ben evidente di tutte le fedi. Così avevamo iniziato a diffondere l’invito per un semplice momento di preghiera, rivolto alle quattro comunità presenti.

L’incontro, molto semplice, si è svolto nella serata del 14 dicembre nel grande salone della scuola (e per il sottoscritto era già un regalo speciale). Una coreografia minimalista ed essenziale, per dare spazio e protagonismo ai 3 libri delle grandi religioni monoteistiche, intronizzati con una suggestiva processione-danza realizzata da alcuni alunni della scuola. Inizialmente avevamo qualche dubbio sulla partecipazione (“verrà qualcuno?”), ma diffondendo l’invito anche tra le tante persone che gravitano intorno al Progetto Alfa, ben presto ci siamo resi conto che non ci sarebbero stati problemi. Avevamo stampato una 30ina di copie della celebrazione, ma poi abbiamo dovuto invitare a condividere il foglio almeno col vicino, perché non bastavano proprio.

Nella preghiera è stato lasciato uno spazio libero alle diverse fedi, con un momento di lettura dal rispettivo testo sacro e un breve commento. Anche il semplice ascolto della declamazione nella lingua originale dei testi invitava ad una maggior riflessione (per noi cristiani l’utilizzo della lingua normale a volte può favorire una certa distrazione, quasi una sorta di insignificanza). Poi la musica, linguaggio interculturale per eccellenza: un canto di ingresso (il suggestivo Dall’aurora del Genrosso che ha come testo il salmo 62), l’Alleluja di Cohen e il brano Solo le pido a Dios cantato in 3 lingue (spagnolo, arabo ed ebraico). Niente di più. A nostra insaputa c’era anche qualche giornalista... e il video è sufficiente a narrare l’evento.

E’ stato bello e semplice condividere il tempo insieme, nel silenzio e nell’ascolto, nello scambio di saluti e di sorrisi, nella consapevolezza che le differenze ci sono, ma non sono la cifra più evidente della nostra vita. Potrebbe essere un’iniziativa da ripetere, da replicare altrove… basta solo un pizzico di buona volontà.

Un’amicizia tra sponde apparentemente lontane

Un’amicizia tra sponde apparentemente lontane

Martiri dell’amicizia, vengono definiti senza giri di parole. E questa definizione non rispecchia molto i canoni classici del martirio, dove la fede, la testimonianza della verità e la coerenza religiosa sono gli elementi dominanti.

Ma da tempo ci si è avviati lungo un percorso che ha saputo accogliere altri valori, squisitamente umani, che sono una testimonianza della Vita in maniera altrettanto luminosa.

Perché la fede sa rivestire con la sua presenza molti valori che le persone condividono.

La storia narrata in questo agile volumetto è molto semplice. Racconta alcuni passaggi della vita del vescovo cattolico Pierre Claverie, nato in Algeria, poi cresciuto e formatosi come domenicano in Francia e quindi ritornato in terra di Algeria, come vescovo di Orano.

Per lui è stata una riscoperta perché nei suoi primi anni giovanili la presenza dei musulmani era praticamente oscurata dal sistema sociale che la Francia e tutti i cittadini francesi vivevano senza particolare preoccupazione. Separati in casa, senza contatti e senza interazioni.

Ma nel suo nuovo impegno pastorale le cose cambiano decisamente. E per prima cosa cerca un autista, la scelta cade su Mohamed Bouchikhi, un giovane ragazzo musulmano.

Potrebbe essere una scelta azzardata e rischiosa, perché siamo agli inizi di quegli anni ’90 che vedono il rigurgito del fanatismo islamico, ad opera dei Fratelli Musulmani e le tensioni iniziano una rapida escalation di violenza che prenderanno una tragica piega con l’uccisione di fr. Henri Vergès e sr. Paul-Hélène Saint-Raymond, primi martiri di questa turbolenta fase della guerra civile algerina.

Il clima di tensione non ferma però l’attività di Pierre e, di conseguenza, i suoi viaggi insieme all’autista, che diventa interlocutore speciale e amico del vescovo.

Il libro ricorda alcuni episodi e alcuni eventi di questa amicizia, dello scambio di opinioni, del dialogo cordiale tra i due, sempre volto ad approfondire la reciproca fede senza mai imporre qualcosa all’altro.

La violenza pone fine alla vita di entrambi, con una bomba messa proprio nelle vicinanze della residenza del vescovo; entrambi restano uccisi dall’esplosione. E’ il 1996 e lo scontro ideologico segna un tragico bilancio: sono ormai 19 le vittime cristiane uccise per interrompere quel percorso di dialogo e di conoscenza tra il mondo cristiano e l’Islam.

Anche dagli appunti del giovane autista, semplici e brevi annotazioni, emerge traccia di questo cammino coerente e luminoso, che la violenza non potrà fermare.

Dal testo, scritto dal domenicano Candiard (vive al Cairo, docente presso l’Istituto Domenicano di Studi Orientali, dove si occupa di Islam) è stato tratto un musical, che in Francia ha avuto centinaia di repliche e ha riscosso una grande attenzione.

Completano il testo altri brani preziosi: una introduzione di Thimoty Radcliff, per lunghi anni superiore generale dei Domenicani e mente particolarmente aperta al dialogo; alcune note biografiche sul vescovo Pierre per comprenderne meglio la parabola storica e il contesto culturale; una riflessione dell’attuale vescovo di Orano che testimonia la continuità del percorso che la Chiesa continua ad offrire al popolo musulmano.

Testo interessante per comprendere l’importanza del dialogo e del contatto semplice e fraterno con le persone, unica chiave possibile per disinnescare la violenza e il fanatismo religioso.

Personalmente condivido la necessità di instaurare questo genere di contatti “dal basso”, senza pretese istituzionali o senza la presunzione di fare passi avanti semplicemente interpellando le “autorità”. Anche perché nel nostro territorio (mi riferisco a Siracusa), trovare delle autorità nel campo dell’Islam è davvero difficile, nemmeno le persone che si dichiarano musulmane sanno darti qualche indicazione. La moschea del quartiere sembra un magazzino di detersivi in attesa di apertura e i punti di contatto sono davvero labili. Sto maturando la convinzione che gran parte dei nostri ragazzi che si dichiarano musulmani hanno una conoscenza dell’Islam davvero ridotta e spesso superficiale; un terreno che può diventare facile preda di fanatismi e idee fuorvianti. Sarebbe quasi da chiedersi se non sia saggio “formare” meglio i musulmani del territorio, perché approfondiscano in modo più coerente la propria fede, per non accontentarsi di una infarinatura episodica, qualche rito da conservare, l’APP che suona regolarmente per ricordare le 5 preghiere quotidiane e poco più. Un islam più maturo e consapevole sarebbe sicuramente un compagno di viaggio più valido.

Ma chiedendo a tanti, dagli amici alla Curia, sul territorio di Siracusa si trova ben poco; qualcosa di più ci sarebbe a Catania, che non è proprio dietro l’angolo…

A tu per tu con l’esperienza: fr. Georges Hakim

A tu per tu con l’esperienza: fr. Georges Hakim

Queste riflessioni nascono dopo una bella chiacchierata con fr. Georges Hakim, un fresco marista di 74 anni, praticamente da sempre in Siria, attualmente una delle colonne portanti della comunità di Aleppo e dei “maristi blu”, il tutto sotto i freschi portici della casa marista di Faraya, sui monti del Libano (e in linea d’aria siamo poco distanti dalla Siria), dove ci siamo ritrovati insieme in occasione di alcuni giorni di ritiro e riflessione in comune.

Spesso abbiamo dei tesori sottomano ma poi andiamo a cercare le soluzioni e gli aggiornamenti altrove; fatichiamo ad apprezzare l’erba di casa nostra. Ma sapendo che fr. Georges da anni vive nella difficile realtà di Aleppo mi ha fatto piacere fare con lui una piccola chiacchierata (non nella sua lingua, l’arabo, mi accontento del francese) per conoscere meglio non tanto la realtà siriana, già ben nota per i tanti resoconti fatti ad es. dal fr. Georges Sabe, ma l’atteggiamento con il quale lui, personalmente, vive questa dimensione vitale in relazione alla forte presenza di musulmani che ci sono in Siria. Abbiamo degli esempi luminosi di apertura e convivenza con l’Islam, mi sembra un’occasione speciale da non perdere!
Personalmente non conosco ancora bene il panorama italiano, esperienze di dialogo e confronto ci sono, ma mi sembrano ancora tanto embrionali e dettate più dalla ricerca volontaria che dalla realtà concreta dei fatti. La vita ha sempre qualcosa in più da insegnarci rispetto alla teoria.
Così ho iniziato chiedendogli semplicemente su quali aspetti ed elementi fare attenzione quando si vive e si opera in mezzo alla realtà dell’Islam. Senza darmi riferimenti precisi, testi da leggere o procedure da seguire, mi ha semplicemente esposto la loro modalità di operare. Cercare di vivere gli atteggiamenti e i valori importanti del vangelo senza metterci sopra l’etichetta del “cristiano”, tutto qui. Loro operano soprattutto coi bambini, l’accoglienza, la benevolenza, l’aiuto alle famiglie in necessità sono il loro pane quotidiano, e cercano di farlo bene, come va fatto (i maristi direbbero “senza chiasso”).

Mi diceva che ogni tanto qualche musulmano se ne usciva con: “Ma siete così bravi e accoglienti in quello che fate che non potete non essere musulmani …”. Questo è già un bel traguardo. Ci sono ancora tanti pregiudizi e la vita insieme aiuta a smontare queste teorie, che spesso alimentano il fanatismo. Nonostante i mezzi e le occasioni, non ci si conosce molto tra di noi e anche i musulmani spesso associano ai cristiani i tante stereotipi, il fanatismo (e come non dargli torto…), l’aggressività, il dominio, la sete di conquista, la supremazia tecnologica; sotto la bandiera del “crociato” sono transitate molte tradizioni ed esempi ben poco cristiani.

Gli chiedo se ad Aleppo vivono dei momenti particolari di confronto, di approfondimento, di scambio su temi religiosi: non ne fanno, non stanno lavorando in questo senso, sono semplicemente al servizio dei piccoli, da bravi maristi… il dialogo passa attraverso l’impegno.
Gli chiedo se vivono anche dei momenti di preghiera insieme; per loro sarebbe molto facile, visto che si parla l’Arabo e quindi ogni preghiera diventa quasi ufficiale e non crea problemi particolari, perché per un musulmano è indispensabile usare l’arabo per la preghiera. Gli ho parlato delle nostre piccole esperienze con l’Albero, a Cesano, quando prima della merenda si dice una preghiera in arabo e poi una cristiana. Ma spesso nemmeno i musulmani italiani (quelli più giovani) capiscono cosa stanno recitando a memoria, visto che l’arabo non è poi così diffuso.
Mi ha consigliato di chiedere ai responsabili del progetto Fratelli se utilizzano qualche testo in proposito. Li vedremo tra qualche giorno. Ne potrò parlare.
E naturalmente, visto l’interesse, mi ha invitato a passare un po’ di giorni ad Aleppo. Ma, gli chiedo, non è difficile con la guerra ancora presente sul territorio? No, non è così difficile, basta muoversi per tempo, serve un Visa (non ci sono ambasciate siriane in Libano, in questo momento…). E poi ad Aleppo, considerando i 2 Giorgio già presenti (il mio interlocutore, Giorgio Akim, il responsabile, Giorgio Sabe), un altro Giorgio ci starebbe proprio bene… 🙂
Così ci si scambia, come al solito, il contatto con FB (toh, ce l’avevamo già, ma credo che alla sua bella età non sia così vitale infilarsi spesso nei labirinti di FB) e quello di Whatsapp, che invece maneggia molto bene, come tutti i nostri amici libanesi.
Proprio vero, quando ci sono necessità si aguzzano le abilità.