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Categoria: digital

Non di soli social

Non di soli social

Ogni tanto è saggio soffermarsi sulla cornice delle cose. Dedicare tempo e passione ai contenuti è fondamentale, ma senza dimenticare che spesso è il contesto a garantire la comunicazione e la visibilità.

Seguo il web da quando è nato, almeno qui in Italia, ed ho sempre cercato di mantenere uno sguardo attento a tutte le dinamiche comunicative che si appoggiano alle ormai tante strutture e metastrutture realizzate mediante internet. Da quando la parola stessa, internet, non era ancora ben definita ed era anzi persino fluida e poco stabile. Ma le disquisizioni di gender non erano ancora argomento dibattuto a quei tempi.

Oggi i paradigmi della comunicazione si concentrano in modo evidente sui social, alcuni strumenti della rete si sono ampiamente evoluti e altri hanno subito modifiche notevoli. Un tempo sul cellulare si amavano alla follia gli SMS, oggi retaggio quasi esclusivo delle notifiche OTP; un tempo l’account Gmail era una sorta di consociazione carbonara, a cui si poteva accedere solo mediante inviti ricevuti da altri fortunati.

Alcuni social hanno vissuto un’esplosione incredibile, Facebook in primo luogo, tanto che sembra quasi un azzardo affermare che “non sono su FB” oppure che “mi interessa poco”. La sua facilità d’uso e la pervasività dei messaggi che ne sostengono la stessa struttura sono ben evidenti. Perché come diceva (probabilmente) Kafka, “un cretino è un cretino, due cretini sono due cretini, ma diecimila cretini sono un partito politico”. E su FB i numeri degli iscritti (partecipanti?) superano i 2 miliardi. Ma preferisco tenere nel mio piccolo orticello queste considerazioni, prima di regalarle (o relegarle?) al grande pentolone dei media mainstream.

Ed è curioso che ancora oggi, se svolgo una ricerca testuale tra le mie foto, se scrivo semplicemente web mi si piazzano in pole-position le tante ragnatele che, rarefatte, compaioni nei miei album di foto 🙂

Oggi sembra normale utilizzare FB come vetrina indispensabile per le numerose anteprime che si svolgono, bacheca generale per raggiungere un pubblico ben più vasto. Quando parliamo dei nostri “amici” molto spesso diamo per scontato che corrispondano almeno in parte ai nostri contatti su FB. Ma davvero riusciamo a considerare amici le centinaia di persone che ci hanno chiesto “l’amicizia”?

Qualcosa di analogo lo vediamo replicarsi su Instagram (che è sempre di Meta, il grande ombrello sotto il quale gravita FB). E forse, fino a qualche tempo fa, si poteva dire lo stesso di Twitter, mentre ora stiamo assistendo al rapido suicidio di una piattaforma diffusissima e snella; da quando ha cambiato nome e strategia si assiste ad un discreto guazzabuglio di opinioni e conseguenze. Durerà? Potrebbe chiudere? Che fine faranno tutti i contenuti e le energie dispiegate su questo strumento negli anni passati? Dove finirà la conoscenza versata come olocausto a questi media?

Ma i tempi cambiano, e gli anni, effettivamente, stanno passando e le cose cambiano così in fretta nel mondo di Internet da rendere quasi difficile la stratificazione dei comportamenti, degli strumenti e dei modelli in un immaginario collettivo chiaro e condiviso. Sembra quasi che quanto abbiamo appreso agli inizi sia ormai non solo superato, ma inutile, quasi dannoso. Sapendo che tutto cambia velocemente sembra quasi inutile conservare memoria delle pratiche ormai superate o in via di trasformazione.

Per noi che abbiamo vissuto questa epoca di guado, dall’analogico al digitale, dalla macchina da scrivere al PC, dai post-it a Chat-GPT il percorso sembra se non chiaro almeno evidente. Per chi arriva invece oggi che senso potrebbe avere dedicare tempo a questa archeologia post-industriale?

Di solito scrivo queste cose per rifletterci con più calma, senza nessuno scopo pubblico; in un certo senso ho già dato, nei diversi anni in cui pubblicavo periodicamente riflessioni e brevi pezzi sul ruolo di Internet nel nostro mutevole mondo, ma ho trovato interessante notare che se scrivevo qualche post su questo piccolo ed insignificante blog, il traffico generato era decisamente ridicolo: un paio di accaniti lettori, più amici che lettori, e poco più.

Ultimamente ho provato a segnalare la scrittura di un post su FB e dopo nemmeno una giornata, l’effetto leva era più che evidente. I 5 lettori di manzoniana memoria si moltiplicavano per 10, se non per 20. Insomma, è la grancassa che spesso serve per alzare il volume delle informazioni. Anche queste righe, le ho pubblicate la mattina del 12 settembre e alla mattina dopo le visualizzazioni erano… solo 2 (devo avere un fratello molto attento e fedele ;-). Il giorno dopo ho messo un post su FB e la sera del 13 le visualizzazioni erano: 44. Evidentemente qualcosa è cambiato…
Mi viene quasi da pensare alla burla operata in Belgio pochi giorni fa, in occasione di un prestigioso premio vinicolo, avevano travasato un tavernello qualsiasi (che comunque è più dignitoso di tanti altri vini sedicenti doc) in una bottiglia stellata e … hanno vinto il primo premio.

Ma come spesso affermo, i social passano mentre i siti rimangono. Da anni seguo e gestisco con distratta attenzione alcune pagine web. Non sono più i tempi d’oro in cui avere una pagina web col proprio dominio era una sorta di status symbol e non è più nemmeno immaginabile costruire in modo artigianale qualcosa del genere. Le prime presenze sul web che avevo realizzato modificando i primi modelli in html erano certamente spartane e poco attraenti, ma sicuramente la finalità comunicativa era abbastanza facile da raggiungere. Il focus era sempre sulle notizie, sui contenuti, lo strumento era essenzialmente …strumento, poco più.

Oggi il paradigma è quasi rovesciato e conta soprattutto l’aspetto, il feeling, l’appeal grafico… La mia esperienza si misurava agli inizi con la richiesta di semplici siti scolastici, di qualche associazione (la prima versione del sito Agidae è del giugno del 1999, poco prima quella del sito Maristi.it), pagine di società al primo approdo sul web; a corollario di queste esperienze quasi da pioniere era sempre viva l’attenzione alle derive didattiche di tutto questo, già iniziata nel lontano 1985 in collaborazione con il centro ITD del Cnr di Genova e per lungo tempo ho continuato su questa scia, divulgando e mettendo a disposizione materiali, software e informazioni su questo ambito, percorso che ho poi continuato per numerosi anni collaborando con la rivista Tuttoscuola.

Erano i tempi in cui nemmeno i giornali avevano una presenza ben definita sul web (sto parlando dei primi anni ’90, ovviamente, roba del secolo scorso!), quando i bbs erano ancora la punta di diamante della nuova tecnologia e le chat delle poche realtà presenti (Fidonet, MC, Agorà) raccoglievano i primi drappelli dei cultori della materia. Persone che poi sono approdate nei luoghi nevralgici del web nascente, ricordo un amministratore di un bbs (sysop, come si diceva allor) che poi è diventato l’esperto di sicurezza informatica del Vaticano, o il giornalista appassionato che poi ha dato il primo vero impulso al giornale più attento a questa nuova frontiera, Repubblica. Tempi andati, che sono stati però la base di quelli attuali e ogni percorso visto in retrospettiva svela molti aspetti spesso dimenticati.

Interessante, ogni tanto (almeno per me), riprendere considerazioni di questo tipo.

Tra fiumi e cave…

Tra fiumi e cave…

Sto controllando i dati della nostra stazione meteo: non si metterà mica a piovere oggi pomeriggio? Rispetto allo scorso anno siamo sotto di oltre il 70% della pioggia, ma non dovrà mica cadere tutta oggi quella che manca, vero? Anche perché sarebbero più di 200 mm! Speriamo bene.

E con questa speranza, sabato pomeriggio sono andato a visitare un luogo di cui avevo sbirciato alcune foto dai resoconti di Pippo Ansaldi e che avevo cercato di approfondire sulle pagine di La Nostra Terra. Un luogo dalle parti del fiume Manghisi, della cava Putrisino, zona di masserie abbandonate, cave antiche e piccole necropoli, poco distanti dal canyon di Cavagrande di Cassibile.

Su Google Maps le notizie sono decisamente scarse, pochi di questi luoghi sembrano essere già stati visitati e recensiti, una buona occasione per aggiungere qualche notizia e qualche immagine, perché sono luoghi che veramente meritano. Meritano persino le conseguenze di qualche poco simpatico insetto che incontri nelle sterpaglie e come ricordo ti infilzano con svariate e fastidiose punzecchiature… (sono ancora qui a grattarmi dopo un paio di giorni!).

Le indicazioni sono abbastanza chiare: proseguire un centinaio di metri dopo il ponte sul fiume Manghisi… una zona ancora oggi poco abitata ma che un tempo doveva essere decisamente più frequentata, grazie alla sua situazione geografica particolare, ampi pianori coltivabili e adibiti a pascolo, tanta presenza di acqua, zona distante dai percorsi più gettonati, insomma, posti sicuri protetti e tranquilli.Su Google, al momento, le uniche indicazioni presenti sono proprio quelle della Masseria Donna Giulia e della Cava Putrisino, niente più.

Lasciando la macchina in uno dei tanti slarghi della stradina asfaltata che penetra in questa parte di territorio, ci si dirige scarpinando allegramente lungo la strada che giunge fino alla Masseria Donna Giulia. L’asfalto cede presto il posto a una carrareccia ampia. Le notizie che si trovano in rete a proposito di questo edificio ormai abbandonato da tempo, sono più che esaurienti e comunque un’occhiata agli interni, facilmente accessibili (il cancello all’ingresso è semplicemente accostato) si può facilmente dare, facendo però attenzione perché lo stato dell’edificio è veramente pietoso e i tetti si reggono per fortuite congiunture astrali!

Continuando a percorrere la strada si giunge fino al torrente Manghisi, un corso d’acqua che a questa altezza non è molto largo o impetuoso, ma non era questa la giornata adatta per inzaccherarsi e passarci dentro per esplorare un po’ meglio la zona. Ci si potrà fare un pensierino nella prossima estate! In compenso, lungo il sentiero, si trova qualche passaggio per curiosare con calma le zone precedenti il guado. Ed è proprio qui che si trovano le cose più interessanti.

Una cinquantin di metri prima del torrente, si può accedere sulla destra per entrare nella macchia selvatica. Per prima cosa si incontra qualche olivo secolare, maestoso e dal sopracciglio corrugato, dalle sembianze di vecchio addormentato; proprio lì vicino si cominciano a scorgere le vestigia antiche, pietre tagliate in modo preciso, scalini e percorsi che conducono ad una serie di tombe rupestri. Una piccola necropoli tranquilla e solenne nel suo adagiarsi sulla balza.

Poco dopo altre cavità tombali e altre, ben più grandi, che sembrano grotte ma (come letto in precedenza) sono invece dei romitori di epoca bizantina. Quando racconto ai ragazzini del nostro doposcuola che Siracusa è stata persino capitale dell’impero romano d’Oriente, a supporto di Bisanzio, non vedo reazioni entusiaste o meravigliate, anzi, in pratica non vedo nessuna reazione.

Più o meno quella degli attuali cittadini che sono riusciti a costruire un mediocre palazzo in cemento armato proprio sopra le terme bizantine del V-Vi sec. d.C; insomma, la superficialità che conduce solitamente all’ignoranza delle cose. Ed è davvero un peccato, perché ci sarebbero così tante cose interessanti su questo territorio, che veramente bisognerebbe prima lavorare con le persone per farle tornare “speciali” e più consapevoli dei propri tesori!

Continuando a passeggiare in questo insolito giardino, tra tombe e resti medievali, in mezzo a una natura quasi selvaggia che prende rapidamente il sopravvento, fa sempre un certo effetto. Anche perché il pensiero corre subito al dopo, perché entro poche manciate di minuti la normalità del traffico, del rumore, del caos cittadino, prenderà il sopravvento.

Vale la pena allora godersi tutto questo panorama e questo verde. Si notano poi le tracce di alcuni sentieri che probabilmente in precedenza raggiungevano il fiume anche da questa parte, e forse anche la cava, ma l’esuberanza della vegetazione e dei rovi non permette al momento di proseguire.

Ho cercato, tornando indietro, se vi fossero altri ingressi o percorsi, ma senza riuscire nell’impresa. Nemmeno scrutando la mappa satellitare si riesce ad avvicinarsi alla cava. Ma quanto visto è già sicuramente abbastanza.

E per rendere meglio l’idea, ecco alcune immagini di questi luoghi: piccola necropoli di Cava Putrisino

Silicio e larghi dintorni

Silicio e larghi dintorni

Ci sono libri intriganti e altri meno. Questo lo colloco nel ripiano del più 😉
Federico Faggin è sicuramente una garanzia, come persona e come imprenditore. Spesso ci facciamo belli dell’italico ingegno citando personaggi mediaticamente altisonanti, sperando che qualche contagio culturale possa ricadere anche su di noi.

La traiettoria di Faggin è forse meno nota, anche se al termine del testo uno dovrebbe riflettere sul fatto che i passaggi epocali che abbiamo vissuto negli ultimi 50 anni, sotto il profilo tecnologico e informatico, lo dovrebbero riconoscere come uno dei protagonisti chiave. E’ vero, siamo esterofili e si preferisce citare Bill Gates o Steve Jobs, ma l’apporto di Faggin è davvero notevole, sia per quanto riguarda il versante tecnologico che quello legato alla visione del futuro che la tecnologia permette di realizzare. Non basta trovare una soluzione tecnica a un problema concreto, senza una prospettiva e una direzione, la cosa si fermerebbe lì. Invece i passi percorsi da Faggin rappresentano un sentiero che ancora stiamo calcando. Anche perché alcune delle sue invenzioni sono ancora oggi operative e ben presenti negli strumenti che utilizziamo.

Definire Faggin come il padre del microprocessore è ormai assodato e di pubblico dominio, anche se nel libro si percorrono tutte le difficoltà legate a questo riconoscimento. La vita è una giungla e il riconoscimento di alcuni meriti inventivi, soluzioni innovative e scelte tecnologiche sono un piatto ghiotto per molti concorrente e, spesso, detrattori. Nel testo emergono chiaramente questi scenari, scienziati che si fanno le scarpe a vicenda, verità che vengono mantenute sommerse o nascoste per non riconoscere i meriti delle persone. Anche di questo è lastricato il percorso della scienza e trovarsi di fronte ad una persona fondamentalmente mite e onesta come Faggin, spesso induce ad approfittarne.

Il testo è snello, semplice e si presta sia ad una lettura tecnica che sociologica. Raccontando la sua esperienza, le sue prime occupazioni nell’Olivetti, il suo trasferimento negli USA e la rapida scalata nel gotha degli “inventori” legati all’informatica, si incontrano molti attori famosi e fondamentali, le soluzioni tecnologiche presentate sono ormai parte della nostra vita quotidiana, anche se il primo microprocessore realizzato da Faggin oggi lo possiamo trovare annegato in dimensioni microscopiche nelle nostre chiavette USB, nei cellulari, nelle fotocamere, nei PC, come fosse un semplice “pezzetto” inerte. Quanta storia, invece, dietro queste innovazioni. Il libro sarebbe interessante anche solo per questo profilo informativo che mostra come la tecnologia ha preso rapidamente il volo dagli anni 60 in poi.

A parte alcuni capitoli che l’autore ritiene doveroso inserire per “spiegare” tecnicamente le soluzioni da lui pensate e prodotte (pagine che ho praticamente saltato a piè pari, senza perdere nulla di fondamentale), un secondo aspetto davvero importante è la crescita personale, umana e spirituale (Faggin la chiama giustamente “consapevolezza”) che l’autore ci presenta. Senza scadere in spiritualismi da new-age, la ricerca fondamentale dell’autore si rivolge al tema dell’intelligenza artificiale, che sempre più vedremo e dovremo affrontare come cruciale per i nostri tempi.

Ci viene quasi difficile ricordare che microprocessore è il componente basilare dei pc che usiamo ogni giorno, della DAD, delle videoconferenze, delle comunicazioni, della telefonia… un po’ come l’aria che respiriamo e diamo sempre per scontato…

Vuoi per la formazione iniziale (se nasci e studi in Italia una buona dose di “umanesimo” ti permea), vuoi per la riflessione condotta in questi lunghi anni, l’approdo di Faggin è tutt’altro che semplicistico o sensazionalistico. Quello che oggi l’hardware e il software possono offrirci, pomposamente etichettato come IA è ancora molto lontano da una vera “intelligenza” che sappia vedere, provare e sentire e soprattutto scegliere: molta la strada ancora da compiere e secondo l’autore non si può procedere semplicisticamente dicendo che i progressi dell’hardware (di velocità, intensità e complessità) e del software (che ormai viene realizzato mediante software sempre più complessi, reti neurali e altri procedimenti spesso fuori della portata di una “semplice intelligenza” umana) potranno giungere ad una consapevolezza intelligente. Insomma, per Faggin il mito dell’IA è proprio un mito non realizzabile.

Da un lato questa conclusione può rincuorare e mettere al riparo dai timori crescenti, ma l’attualità che ci propone proprio oggi situazioni in cui già viene utilizzata ampiamente questa cosiddetta IA (chi decide l’obiettivo di un drone-kamikaze? chi sceglie la popolazione target di determinate scelte politiche?) rimane il vero problema. Non ci sono facili soluzioni, anzi, rimane la necessità di approfondire, studiare, addentrarsi nel vivo di questa discussione. Ovviamente con competenza e saggezza.

Doti che nel libro risaltano veramente e sono la chiave dell’approccio di Faggin all’esistenza stessa.

Stimolante persino l’emergere di una ricerca in direzione non solo della tecnica, ma della spiritualità e del senso della vita. Argomenti che quasi non ti aspetti da un testo del genere.

Bello rivedere tante esperienze, studi, iniziative che sarebbero state sicuramente diverse senza queste innovazioni, dalle prime frequentazioni universitarie (quando per usare mezz’ora un Apple II occorreva prenotarsi con un mese di anticipo) alle prime sale computer allestite a scuola (quella di Genova risale a prima degli anni ’90, a Cesano nel 1997…)

Un briefing sul meteo del ’21

Un briefing sul meteo del ’21

E anche oggi un po’ di pioggia, nemmeno tanta ad essere onesti, certamente nulla al confronto dei mesi autunnali del 2021. Nel solo mese di ottobre qui a Siracusa è caduta più acqua di quanta solitamente non ne cade in un intero anno!. E pensare che una settimana fa, a metà gennaio, c’era gente in spiaggia a prendere il sole…

Ho appena finito di organizzare e rielaborare un po’ i dati della piccola stazione meteo che ho sistemato sul tetto del nostro palazzo, qui nel cuore della Borgata di Siracusa nel mese di aprile 21.

Niente di astronomico e forse nemmeno di affidabilissimo… ma almeno è un aiuto per verificare l’andamento del tempo con qualche dato di supporto, perché spesso siamo così distratti e smemorati che dimentichiamo in fretta, approssimiamo alla grande e talvolta enfatizziamo senza remore i dati del tempo. Mettici poi le scaramucce sul cambio climatico e il gioco è fatto: meglio ancorare il discorso a qualche numero preciso.

Chi non ricorda i 48.8 gradi registrati a Siracusa nel mese di agosto del 2021? In quei giorni, mi trovavo altrove e “dal vivo” non ho sperimentato quella ondata di calore. Tra l’altro registrata nei pressi di Floridia, visto che qui dove siamo noi in quella giornata siamo stati addirittura sotto i 40 gradi… il mare qui vicino ha un grande effetto mitigante, per fortuna.

Ma sicuramente la scorsa estate ha fatto davvero caldo; praticamente da giugno a settembre abbiamo quasi sempre viaggiato su una media non lontana dai 30 gradi. E una temperatura simile si avverta spesso con fastidio, soprattutto di notte.

E ricordo molto bene l’insegna vicino al parcheggio Von Platen, il giorno 10 agosto, mentre aspettavo il bus per l’aeroporto.

42 gradi si fanno davvero sentire!

E per chi si vuole divertire con un po’ di numeri, ecco i dati raccolti dalla stazione meteo, in pratica da maggio fino alla fine di dicembre 2021, qui una tabella sintetica e sotto si possono prelevare i dati, in formato excel.

Incubo rosso o futuro celeste???

Incubo rosso o futuro celeste???

Red Mirror: questo libro, come ormai mi succede da tempo, lo avevo preso diversi mesi fa, era rimasto tranquillo nel mio piccolo deposito digitale ma dopo averne colto alcuni richiami (dai vari media, dai discorsi e anche da semplici accostamenti….) mi sono deciso a leggerlo. E l’ho letto praticamente tutto d’un fiato.

Inizialmente pensavo ad un testo “leggero” che si limitasse ad illustrare alcuni aspetti che comunque si considerano già patrimonio comune e ben noti. Sono rimasto piacevolmente colpito dalla qualità del testo e soprattutto dall’approfondimento dei vari aspetti presi in esame. Non conoscevo ancora l’autore, Simone Pieranni, che è sicuramente molto ben informato su questi scenari e ne scrive da anni sul Manifesto e non solo, oltre ad aver creato una risorsa web interamente dedicata al mondo cinese China-files

La descrizione della realtà cinese, illustrata da chi dimostra di conoscerla bene e di esservi immerso con l’intenzione di comprenderla e capirla, mette in evidenza l’incredibile balzo economico, culturale e sociale di questa società.

A partire dalla pervasività del fenomeno WeChat, che è ben di più di una semplice APP nata per semplificare tante procedure. Il nostro sguardo occidentale, così attento alla privacy e così geloso di spazi personali dove nessuno deve ficcare il naso, si arrende davanti all’atteggiamento di milioni di persone che invece considerano questa “invadenza” come un servizio necessario e quasi auspicabile. E’ il ribaltamento della percezione che si ha della tecnologia, vista non come un Big Brother invadente ma come uno strumento necessario, una sorta di male minore nei confronti dell’inevitabile caos che ne potrebbe scaturire.

Si va dagli utilizzi omnicomprensivi di questa app che serve praticamente per tutto (dal pagare al prenotare, dal cercare all’essere rintracciati, dal muoversi al conoscere…) passando poi agli aspetti meno evidenti, cioè il grande sforzo e impegno tecnologico che si cela dietro a questi risultati. Il timore di fondo, ben evidenziato, è che l’occidente abbia ormai perso il treno dell’innovazione e che questo sia ormai, inevitabilmente, in mano cinese. Con tutte le derive immaginabili: stile di vita, considerazione del ruolo dello stato, l’innestarsi del nuovo su tradizioni millenarie che sono comunque rimaste nel background psicologico dei cinesi. Sembra quasi di assistere ad una evoluzione culturale di massa dal “Celeste impero” del Regno di mezzo, come ama chiamarsi la Cina, al nuovo monopolio assoluto dello Stato sui cittadini.

L’aspetto inquietante che ne emerge va oltre gli aspetti tecnologici. Non è tanto la possibilità del riconoscimento facciale, dell’uso massiccio dei big-data e dell’AI che ne estrae informazioni preziose, quanto il fatto che la gente considera questa possibilità come necessaria, come un effettivo progresso e come auspicabile. L’ordine e la “serenità” contro il caos di un mondo ormai troppo complesso da gestire. E la Cina ha dimostrato capacità di gestione notevoli, visto il salto economico e culturale compiuto negli ultimi 20 anni (e la preparazione precedente che ha reso tutto ciò possibile).

Ogni tanto fanno capolinea i termini cari all’occidente: libertà, scelte personali, libero pensiero, persino l’esigenza di una libera scelta della religione a cui ispirarsi. E la impietosa strategia statale che passa incurante, come un caterpillar, su tutte queste ambizioni umane, in nome dell’ordine e dell’efficienza.
Effettivamente il futuro sembra additare nel modello cinese una strada che sembra quasi obbligata, condivisa com’è da milioni di persone e milioni di implementazioni di successo.
Inevitabile chiedersi se questo scenario possa essere l’unico, il migliore, l’inevitabile.

Ottimo testo quindi per riflettere, sulla base di informazioni di prima mano, sulle prospettive future (o possiamo ancora chiamarle “derive”?) e su modelli che verranno sicuramente presi in esame anche nei nostri contesti; vasti pensare a tutto il dibattito sul 5G che non è un semplice upgrade tecnologico (connessioni più veloci), ma il trampolino per un profondo cambio di strategie, metodi e strumenti, dove l’AI svolgerà un ruolo essenziale e ormai i progressi dell’AI non sono più quelli proposti dalla cultura occidentale, ma quelli imposti dal più potente player oggi presente al mondo: la Cina, appunto.

Il futuro della rete passa ormai dalle sue principali implementazioni, non più dal sogno dei pionieri, è importante quindi chiedersi (e darsi da fare, in un modo o nell’altro) se la rete continuerà ad essere uno strumento di conoscenza e di libertà, oppure una gabbia sempre più pervasiva e onnipresente.

P.S. e anche questa recensione (abbastanza asettica, ammettiamolo), è stata pubblicata su AMZN