Cultura Tamazigh

Cultura Tamazigh

Siamo abituati ai capodanni molteplici, quello ebreo (con la festa di Hannukah), quello hindu (con la festa del Diwali), quello cristiano e sociale, con i suoi riti di fuochi artificiali e acini d’uva da ingurgitare prima della mezzanotte…

Ma poi ci sarebbe quello cinese, quello dei magistrati, quello scolastico; una selva di capodanni. Qui a Melilla assume un significato particolare la festa di Yennayer, primo giorno dell’anno Tamazigh, che quest’anno cadeva tra il 12 e 14 gennaio.

Per la cultura Tamazigh siamo già nel 2975, visto che si parte da molto lontano. C’entra un antico faraone, qualche pasticcio con le date e l’influenza latina… Scriverlo con i caratteri propri della lingua non sembra nemmeno un arabesco (l’alfabeto Tamazigh è molto diverso), sembrano più le cornicette che si facevano ricopiare ai bambini per fare pratica con la penna…
Eccolo scritto qui il termine : ⵢⴻⵏⵏⴰⵢⴻⵔ (e come lingua il Tamazight è anche disponibile su Google Translate, però nella sua codifica con caratteri latini).

E non so proprio cosa mi abbia scritto sulla mano la nostra amica Fadela, seguendo il rituale antico dell’hennè, che si utilizza proprio in occasione delle grandi feste. Rifiutarsi sarebbe quasi un gesto di sfiducia…

Anche i termini aiutano a far confusione, qualcuno la chiama cultura berbera, usando anche il nome antico “bereber” (esatto deriva proprio dal termine latino barbaro nella sua accezione di straniero), e anche il nome locale Tamazigh si incontra come Amazigh (che significa “uomo libero”, niente male…)

Riflettere e ricercare informazioni su questa cultura Tamazigh, molto diffusa in questa zona Nord del Marocco, è interessante. Soprattutto perchè sembra che i curiosi e gli appassionati siano soprattutto gli stranieri, non tanto i locali. Ma la storia passata è utile per capire questo paradosso.

A “riscoprire” la cultura degli antichi abitanti della zona del Rif (il Nord Marocco) sono stati per primi i francesi, poi gli spagnoli, finalmente anche i marocchini; dal 2011 la lingua tamazigh è infatti riconosciuta come la seconda lingua nazionale del Marocco… secondo le statistiche è parlata da un 30% della popolazione (ma nella nostra zona siamo ben oltre l’80%).

Arrivato qui a Melilla l’idea balzana di mettermi a studiare un po’ di arabo (e quale poi? viste le tante varianti e differenze) è sfumata presto, una volta compreso che la maggior parte delle persone di questa zona non la utilizza come lingua madre, visto che parlano proprio il tamazight.

La festa che la città vive con partecipazione si inserisce nel solco del rispetto delle tante voci che animano Melilla; e la voce Tamazight è davvero ricca di colori, suoni, sapori originali, come lo splendido vestito che la nostra amica Fatima indossava durante i festeggiamenti, dono prezioso della mamma…

Qualche foto della festa tamazigh

A spasso per l’Andalucia

A spasso per l’Andalucia

E sono così giunto al secondo natale andaluso, a spasso tra le città più interessanti di questa zona spagnola, in particolare Almeria, Granada e Cordoba. Una pausa pittoresca e gradevolissima.

La vigilia e il giorno di Natale si sono incastonati nella cornice di Almeria, insieme alla piccola comunità lasalliana (che però vive in una scuola decisamente grande, occupa una bella zona a fianco della Rambla di Belèn, che nel periodo natalizia è sempre pieno di gente, mercatini, addobbi e luci. Alla vigilia di Natale siamo riusciti a cogliere, giusto in tempo, il tramonto del sole nello splendido scenario di Capo de Gata… e di notte ci siamo goduti lo spettacolo nella piazza antistante la cattedrale, inondata di luci e musica.
Nella cattedrale-fortezza abbiamo avuto la sorpresa di ascoltare una messa accompagnata dal coro e dagli strumenti sudamericani: mandolini, chitarre, flauti, charangos… tanta vitalità e musica, una vera festa. Poi abbiamo salito i tanti scalini che conducono all’Alcazaba, la fortezza araba che presidiava la città, ristrutturata da poco e ancora disseminata di cantieri.
E aprofittando dell’occasione, ho girato un po’ per il centro, visitando uno dei pochi musei della chitarra di cui abbia notizia, realizzato in Almeria a ricordo del maestro liutaio Antonio de Torres che ha definito i canoni della chitarra flamenca… Nella sala principale c’è una riproduzione gigante di una chitarra ed è veramente insolito entrare nella sua cassa armonica, vedere le catene e i tiranti, le vertebre di legno che sostengono questo polmone musicale… Prima di lasciare la città ho trovato persino una bici per girare con un po’ più di respiro i luoghi cittadini, in particolare la lunga pista ciclabile che costeggia il mare lungo la zona a nord; deliziosa e assolata; per essere a fine dicembre, un vero regalo.
E tra uno spostamento e l’altro Huan Antonio continuava a ripeterci che l’unico prodotto umano che si riesce a vedere dalla luna non è la muraglia cinese, ma l’immensa distesa di serre di Almeria, il mar de plastico! Provare per credere (basta farlo con Google Maps).

La tappa successiva è stata nuovamente la città di Granada, che è diventata la nostra base (soprattutto mia e di Ventura); qui la comunità marista è molto variegata, ci sono 4 fratelli e 2 famiglie, ciascuna con 2 figli. Una bella realtà davvero speciale e in questi giorni abbiamo assistito un po’ a tutte le composizioni possibili, perché nei giorni di festa la regola è proprio … la fantasia. Con l’amico Alfredo, che lo scorso anno mi aveva portato allegramente nel quartiere semi-rupestre dell’Albayzin, questa volta siamo andati al piano della Pernice, una zona di montagna che si raggiunge passando proprio al fianco dell’Alhambra; era con noi anche Paco, da poco nominato provinciale della zona marista dell’Asia, un amico che non vedevo da tanto tempo, con il quale scambiare interessanti scambi di opinione, confontandosi con la sua esperienza asiatica, avendo vissuto in India, poi nelle Filippine e ultimamente in Sri-Lanka, davvero uno sguardo differente sulle cose…
Ma Granada è un tesoro ad ogni passo e sono le gambe a faticare per star dietro a tutti i desideri. Qualcuno lo avevo preparato col calma, sbirciando in qualche storia di Instagram e altri siti, ben sapendo che se tu inizi a cercare qualcosa, quasi in automatico ti piovono addosso annunci sullo stesso tema… finchè si tratta di località da visitare (o ricette di cucina), a volte può persino essere utile.
In questo modo ho scoperto gli spettacolari giardini del Carmen de los martires, quasi dirimpetto all’Alhambra; ingresso libero, panorami ampi sulla città, luoghi ben curati, laghetti e piante, se poi sei fortunato incontri anche i pavoni che girano liberamente tra i vialetti…

L’ultimo dell’anno siamo andati a passarlo… nella comunità marista di Granada, che avevo già visitato lo scorso anno. Tutti mi decantano i cortiletti interni, i patios cordovesi, ma se continuo ad andarci in pieno inverno sarà duro vederli in pieni fioritura, Ma intanto ho esplorato abbondantemente le strade del centro storico. Quest’anno senza nessuna meta, con il preciso intento di perdermi per le stradine (in spagnolo esiste un verbo speciale per indicare questo modo spensierato di girare: callejear, imparato anche questo), in questo modo ho scoperto la grande piazza de la Corredera, e vista l’ora mattutina, anche la sorpresa di vederla completamente vuota. Mi dice Juan Antonio, l’amico con il quale ho condiviso l’ultimo anno a Siracusa, che è davvero raro vederla vuota, visto che quasi sempre è invasa dai tavolini dei bar che spuntano come funghi nel piazzale. Ho avuto così l’occasione di incontrare anche Kike, oltre a Juan Antonio e vedersi dal vivo, quasi come una ricorrenza annuale, sta diventando un gradito memoriale.
E anche Cordoba non manca di fascino; vicoli stretti dove due persone passano a fatica (quando passano! visto che spesso per farsi i selfie bloccano completamente la stradina! 3 minuti buoni di attesa per l’immancabile coppietta alla ricerca della inquadratura migliore…), i resti del tempio romano con le svettanti colonne (fin troppo bianche e restaurate, si fatica a credere che sono state recuperate da pochi decenni, dopo secoli di abbandono) e naturalmente restare a bocca aperta per la Cattedrale-Mezquita. Ho ascoltato il vescovo Demetrio nella messa solenne del 1 gennaio, festa della Theotocos, tra la musica imponente del grande organo e il coro ufficiale; fin troppo spettacolo, e poche occasioni per ricordare che proprio la figura di Maria è quella che esercita una funzione di ponte culturale e religioso con l’Islam. In questo luogo che ha visto entrambi le fedi prostrate, potrebbe essere un elemento comune da valorizzare…

Dalle parti di Guadix

Dalle parti di Guadix

Ci sono nomi che evocano paesaggi, altri che replicano località già note, altri che non hai ancora scoperto… Sabato scorso siamo partiti alla volta di Guadix, partendo dalla nostra base temporanea, qui ad Almeria, dove passeremo il Natale 2024, nella comunità lasalliana della grande scuola che si trova in questa città. Abbiamo suddiviso le tappe e questa di sabato era appalto di Jesus, che a Guadix ha vissuto per un certo paio di anni, impegnato nella scuola e in una comunità di accoglienza per giovani migranti non tutelati. Insomma, spazio per la memora di tempi interessanti.

Infatti le nostre mete non erano propriamente turistiche; il primo assaggio dei luoghi, dopo km e km di autostrada, in mezzo a scenari da film (questa era la zona preferita da Sergio Leone per i suoi western), costellati da pale eoliche (molte però in perfetto equilibrio, ferme per mancanza di vento, mentre le ciminiere proiettavano inconsuete linee rette di fumo) e serre di plastica, era una località di montagna. Ci siamo avventurati per una strada in mezzo ai boschi di pino, infarcita di curve ma quasi deserta, data l’ora, per giungere ad un valico a quota 2000 m. Aria frizzante e fresca, erba coperta da rugiada ghiacciata… qui venivano con i ragazzi a farsi delle scivolate sui sacchi di plastica e sulla neve, che spesso ricopriva tutta la zona. Non ci sono impianti perché qui la neve dura poca, ma le pinete, i sentieri e i panorami sono davvero belli. Capisco la voglia di rivederli…

Poi ci siamo diretti verso il castella de la Calahorra, che nessuno di noi conosceva davvero. Una silhouette imponente e massiccia che si staglia sulla collina che domina il paese, una meta sicuramente speciale. Se non fosse per la strada che ti tocca fare per arrivarci… Da non credere, uno sterrato anche abbastanza grezzo e tosto da percorrere con una macchina normale. Ma come? Con un castello a portata di mano non predisponi nemmeno una strada più confortevole per andarlo a visitare? Leggiamo che la proprietà è privata, non statale, e scopriamo poi che le visite si possono fare solo di mercoledì… ci dobbiamo accontentare di un giro di perlustrazione, tutto intorno, ma lo spettacolo è davvero imponente, il controllo della zona, l’antico marchesato, davvero efficace. Solo giunti a casa e visionato qualche documentario, si scopre l’incredibile contrasto tra l’esterno, massiccio e severo, con l’interno, leggiadro e raffinato. E’ il primo castello spagnolo realizzato sotto gli influssi del rinascimento (italiano, come italiane erano parte delle maestranze che lo hanno realizzato). Ci toccherà tornare, possibilmente di mercoledì!

Tappa successiva: la città di Guadix; ma prima del centro storico, altra tappa della memoria, nei pressi della casa che ha ospitato il centro di accoglienza lasalliano, oggi non più attivo in questa sede. Anche una semplice casa, in un quartiere qualsiasi, serve a riscaldare il cuore… Jesus ci ha spiegato come funzionava, quanti ragazzi accoglieva (6), i normali casini che capitavano, tra ragazzi simpatici e altri meno accondiscendenti… la vita mai banale di un centro per riscattare esistenze spesso drammatiche.

Solo dopo siamo andati verso il centro, a visitare questa speciale cattedrale, un piccolo gioiello nel suo genere. Scopriam che c’è una piccola chicca nascosta in questo edificio: una copia (probabilmente l’unica esistente al mondo) della pietà di Michelangelo (e la scenografica installazione era davvero suggestiva, non so se il link sarà sufficiente per apprezzarla).

https://photos.app.goo.gl/fFvNMnAXF8wnx7ak8

Poi ci godiamo la splendida facciata, i dintorni del centro, incontriamo persino una mamma natale accogliente e pronta a scattare fotografie (non sempre i selfie rendono giustizia!). Infine ci rechiamo a mangiare in uno dei locali tipici della zona delle cuevas, perché Guadix è rinomata per queste abitazioni scavate nella roccia tenera delle montagne che la circondano; insomma, non ci sono solamente i sassi di Matera! E nel pomeriggio ci rechiamo anche a dare un’occhiata a queste scenografiche casette dei puffi che circondano la città; interessante vedere questi camini che spuntano direttamente dal suolo e che segnalano la presenza, proprio lì sotto, di una casa con le sue numerose stanze. Fresche d’estate e tiepide d’inverno, isolate come sono da questa roccia tufacea. Persino la chiesa si sviluppa, in parte, come grotta…

Non poteva quindi mancare l’album di foto di questo giro presso Guadix

Cambio di stagione

Cambio di stagione

Anche se a Melilla il clima è ancora dolce, l’estate… sicuramente è terminata.

Venerdì scorso, a dicembre inoltrato, la spiaggia era ancora un luogo dove andare a passeggiare, magari bagnarsi i piedi, qualcuno si azzarda anche col surf…

Avevo inaugurato una semplice consuetudine nell’estate appena trascorsa, ogni volta che andavo al mare prendevo una conchiglia come segnapunti, o segnaposto

Adesso la collezione 2024 è decisamente conclusa, non ci saranno altre conchiglie da aggiungere. Le ho contate, sono più di 30.

D’altra parte con oggi potrei quasi iniziare a dedicarmi alla… pensione. I 65 sono arrivati, ma mi piace ricordare questo passo del Piccolo Principe:

I grandi amano le cifre. Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai: “Qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?” Ma vi domandano: “Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?” Allora soltanto credono di conoscerlo.” Insomma, vado ancora in giro a collezionare farfalle…

Tra pochi giorni inizia la pausa di Natale, andremo “in continente”, o come si dice qui, nella “penisola” (guai dire che “andiamo in Spagna” visto che ci siamo giá… sarebbe una seria caduta di stile); strano, nemmeno in Sicilia c’è un’abitudine simile…

Il Nobel all’autrice de La Vegetariana

Il Nobel all’autrice de La Vegetariana

Quando uno vince il Nobel e ti accorgi che nemmeno sai di quale paese sia, cosa abbia scritto di interessante, e ti chiesi perché i nobelisti svedesi abbiano scelto proprio questa persona per un riconoscimento così ambito, scatta quasi in automatico la tentazione e la voglia di scoprire qualcosa di più.

Quest’anno il nobel per la letteratura è andato alla scrittrice sudcoreana Han Kang che, probabilmente come tanti, non avevo mai sentito nominare, incontrato, letto…
Così ho cercato almeno il suo libro più rappresentativo: la Vegetariana. Per conoscere un po’.
Delusione cocente.

Tanto su queste righe che leggiamo in pochissimi una stroncatura non dovrebbe dare molto fastidio, ma il bello della lettura è proprio questa libertà di dire: non mi è piaciuto per niente, anzi, quasi quasi non lo finisco nemmeno.


Ma siccome il libro era corto sono riuscito a terminarlo, sempre sperando di capire dove fosse il talento speciale dell’autrice, cosa avesse di così interessante da diventare quasi un punto di riferimento mondiale. Passi il nobel a Bob Dylan, ma in questo caso sono rimasto spiazzato perché non sono proprio riuscito a trovare qualcosa di speciale in questo testo.
La storia di questa donna che, a partire da una esistenza borghese e alquanto insignificante, sviluppa quasi una avversione al mangiare carne apparentemente senza tante motivazioni mi sembrava l’occasione per una riflessione sui tanti cambi epocali che stiamo vivendo e una possibile indicazione per un piano d’uscita. In fin dei conti il principale cavallo di battaglia di vegetariani e vegani è proprio la poca sostenibilità del mangiare carne. Insomma, un filone ecologico plausibile, ma nel libro non trovi niente di tutto questo, salvo vaghi cenni.
L’esistenza della coppia subisce quindi una lacerazione, una divisione; lei, ostinata a non voler più mangiare carne, a rovinare le rimpatriate familiari senza fornire spiegazioni accettabili, provoca la rottura del matrimonio con il marito, che senza troppe discussioni accetta che la vita cambi definitivamente il suo corso.

Poi subentra un cognato, con la passione delle riprese video e qualche altra velleità artistica, che propone alla protagonista di diventare il soggetto di alcuni video, tra il bodypaint e l’approccio erotico.
Nel finale la donna si trova ricoverata in un centro psichiatrico, accudita senza troppa convinzione dalla sorella, che coltiva sensi di colpa e altri problemi di relazione. Lentamente si sta spegnendo, rifiutando le cure e soprattutto senza mai fornire esplicite motivazioni a questo suo lasciarsi andare, il rifiuto di ogni cibo animale, il nutrirsi solo di pochi elementi, quasi solo foglie, la spinge quasi ad identificarsi con gli alberi del bosco che circondano la clinica e durante un temporale spingerà questa sua identificazione quasi ad una fusione materiale.
Questo è il contenuto che, alcuni mesi dopo averlo letto, mi rumino ancora dentro, senza nemmeno troppa convinzione.
Non ho letto altre opere dell’autrice, sicuramente ci saranno motivi che da un primo accostamento sfuggono. Ma quando poi prendi in mano altri libri, che ti avvinghiano, affascinano e obbligano a pensare in maniera differente, ti chiedi davvero se il valore attribuito da un premio simile non sia un tantino eccessivo.
Penso di sì.