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Tag: migranti

24-J Per non dimenticare

24-J Per non dimenticare

Siamo assediati dalle sigle, ma alcune si rivelano più efficaci di altre. Da quando mi trovo in Spagna ho messo nell’elenco delle sigle necessarie l’11-M, la serie di attentati terroristici che sfociarono in particolare nella tragedia della stazione di Atocha.
Da quando sono a Melilla tocca invece confrontarsi con questa nuova sigla: 24-J, corrisponde alla data e al mese (l’anno era il 2022) in cui si verificó il tragico assalto alla recinzione di Melilla e il conseguente massacro, da parte militare, di un numero ancora oggi non ben precisato. 77 sono le vittime di cui non si sa ancora nulla… A questo assalto parteciparono in massa, si parla di 500, 1000 o piú migranti, che si erano preparati a lungo, rintanandosi sulle pendici del vicino monte Gurugù.

Per un chiarimento di quanto successo rimando alle pagine di Wikipedia, visto che questa vicenda è ancora una ferita molto viva e non conclusa della nostra storia.

Insieme ad alcuni amci venuti proprio in questi giorni a Melilla per conoscere meglio la realtà locale e darci una graditissima mano nello svolgere alcune delle attività che portiamo avanti sul fronte della solidarietà, avevamo rivisto il film “El Salto” diretto da B. Zambrano, che avevo avuto la fortuna di ascoltare dal vivo quando, lo scorso anno, aveva presenziato e parlato in occasione della prima proiezione della pellicola. Non racconta direttamente questo evento, ma in sintesi ricorda molto da vicino l’ambiente, i fatti, il clima in cui tutto ciò è successo.

Lo scorso anno non si erano svolte iniziative particolari, ma quest’anno gli amici delle ONG Mec de la Rue e di Geum Dodou si sono attivati con particolare attenzione, organizzando 2 momenti speciali. Il primo di “raccolta” sul luogo dove si svolsero i fatti e, in serata, un “circolo del silenzio” per ricordare insieme.

Ho potuto partecipare all’incontro della mattinata, alle 12, sotto un sole davvero africano e impetuoso. Non troppo numerosi i partecipanti, eravamo un gruppo di 20-30 persone, in proporzione giornalisti e media erano quasi più in evidenza. In questi casi aiuta!

Insolito: a questo evento eravamo presenti ben 3 italiani, una ragazza in visita per alcuni giorni e l’immancabile Lorenzo, rappresentante di UNHCR. Piccolo dettaglio: ad agosto la sede locale di UNHCR chiude, inesorabilmente. I tagli di Trump (con la chiusura di USAID) producono ricadute molto concrete e rapide sugli equilibri delle ong e della solidarietà…

Ci siamo radunati davanti a quello che era il passo di frontiera del Barrio Chino; a pochi metri di distanza, in territorio marocchino, la vita continuava imperterrita il suo corso, nessuna memoria evidente dell’evento (sul notiziario web di Nador ho rintracciato solo questo articolo, scritto un anno dopo l’evento), traffico normale, vociare dalle case vicine, la vita che scorre…

Abbiamo atteso che arrivassero anche alcuni ospiti del CETI, un gruppo di ragazzi del Mali che si trovano a Melilla da alcuni mesi, in attesa delle procedure per l’asilo internazionale; ma si tratta di persone che sono giunte qui seguendo le vie ufficiali, traghetto o aereo, per iniziare le pratiche. Oggi nessuno prova nemmeno a pensare di passare dalla Valla, questa recinzione ormai impenetrabile, palizzate in metallo alte 6 metri, filo spinato, barriere multiple, controlli via telecamere, presenza costante e cospicua di militari marocchini sul proprio versante.

Nella mia piccola esperienza di questi ultimi due anni, ho toccato con mano che gli unici ingressi irregolari sono stati quelli di alcuni ragazzi arrivati qui a nuoto, durante la bella stagione, eludendo i controlli, ma si tratta di piccoli numeri, 20-30 in un anno. Alcuni di questi ragazzi li incontriamo spesso, a qualcuno offriamo persino momenti di svago e di alfabetizzazione… ma non ne parlano molto di questo “passaggio di frontiera”.

L’incontro è stato veloce, anche per il caldo intenso che invitava a sveltire il tutto. Maite ha rivolto brevi parole, poi ha passato il microfono ad un parroco di Madrid giunto per l’occasione, infine alcuni ragazzi del Mali hanno letto i nomi delle vittime. Poi abbiamo infilato alcuni fiori nella recinzione.

Chiaro il messaggio: non possiamo cambiare il corso del passato, ma dimenticare sarebbe come considerare normale, anzi, inevitabile quanto successo. Cerchiamo insomma di realizzare un mondo dove questo genere di cose non possa più avere luogo.

Per questo bisogna conoscere, sapere e ricordare.

Ampia la rassegna stampa che ha segnalato questa manifestazione, compresa quella della sera, più centrale ed evidente anche per i cittadini di Melilla (ecco gli articoli disponibili su Il Faro di Melilla – e quelli su Melilla Oggi).

Aggiungo solo alcune foto per un reportage fotografico su questo momento significativo

a proposito del “Salto”

a proposito del “Salto”

In Spagna è uscito da poco il film “El Salto” (poco dopo Pasqua, il 12 aprile), che racconta una storia tutta centrata sul tema dei migranti, ambientata in gran parte qui a Melilla. La recinzione che ci “avvolge” e ci separa dal Marrocco è il traguardo finale del protagonista. Riuscire a “saltarla”, superarla in qualche modo, significa mettere piede in Europa.

Domenica scorsa il mio amico, Juan Antonio, che ama passeggiare nei pochi spazi “naturali” della piccola enclave di Melilla, è tornato con un “oggetto speciale”, trovato per caso nella zona vicino alla grande recinzione. ci abbiamo messo un po’ a capire di cosa si trattava. Eccolo qui:

Solo collegandolo al film e alla recinzione siamo riusciti, dopo un po’, a capire di che si tratta, è un gancio per aiutarsi nella scalata di questa grande recinzione.

Il film è stato presentato a Melilla la settimana scorsa, nell’ambito del 16 festival del cine, nella sala del Perellò, il cinema “storico” della cittadina, tra l’altro anche il più vecchiotto, c’è ancora la maschera che ti accompagna a scoprire il tuo posto e all’ingresso meglio fare attenzione agli scalini, ben poco invitanti. Nella sera di martedì, quando hanno proiettato la pellicola, c’era persino coda per l’ingresso e non è che abbiano aspettato che tutti fossero entrati, nemmeno per sogno. Alle 21:30, come da programma, si spengono le luci e parte il film. Però dopo quasi mezz’ora si ferma tutto e qualcuno chiede al pubblico se non è forse meglio vedere la versione con i sottotitoli, visto che molti dialoghi sono in francese e per molti non è certo facile capire… E così, incredibilmente, si riparte da zero, la proiezione inizia nuovamente da capo. Con il mio vicino, Josè Luis, il parroco gesuita di Nador commentiamo che nemmeno nei cinema più scalcagnati di provincia succedono ‘ste cose. Ma forse basterebbe ricordare il prezzo del biglietto: 3 euro! E’ tutto dire.

Il film è ben fatto, semplice, bastano i fatti a spiegare la tragicità della situazione. Non so se e quando arriverà anche in Italia nel caso, scusate l’eccessivo spoileraggio…
Un migrante senza documenti che lavora da tempo in Spagna, come muratore, con i documenti di un altro, ovviamente in nero, ma è laborioso e tranquillo, sta già pensando a come sistemare il suo futuro; la sua donna è già in attesa di un bambino, anche se neppure lei è in regola con i documenti. Per un accanimento della sfiga il protagonista viene fermato dalla polizia, controllo della sua situazione e immediato trasferimento in carcere (dico sempre al mio vicino: in 4 anni di Sicilia mai ho visto o sentito di un intervento simile sui migranti in Italia…); l’accanimento prosegue e l’uomo viene immediatamente espulso e rispedito al paese di origine (Senegal). Con un decreto di espulsione le sue possibilità di riunirsi con la moglie e il figlio sono praticamente cancellate. Ma è comprensibile il suo desiderio di tornare quanto prima possibile. Dall’Africa è dura, lo ritroviamo dopo alcuni mesi nei pressi di Melilla. C’è un bosco alle spalle della città, sulle pendici del monte Gurugù; vi si ritrovano in tanti i migranti che stanno tentando “il salto”, pur sapendo che è un’impresa tra il disperato e l’impossibile. La recinzione è costantemente vigilata, altissima, piena di ostacoli, filo spinato… La polizia marocchina spesso perlustra la montagna rastrellando i migranti che vi si nascondono; a suon di manganellate dissuadono i fuggitivi. Prima del grande evento assume un senso quasi di redenzione la preghiera della guida musulmana e del responsabile sub-sahariano, cristiano; si alternano le invocazioni ad Allah e i richiami alla vita di Cristo. Alla fine solo in pochi riusciranno nel folle progetto.

A dire il vero pensavo che il film volesse raccontare il tragico episodio avvenuto nell’estate del 2022, il tragico “incidente” (o massacro) di Melilla… Invece niente di tutto questo, semplicemente una storia emblematica, senza altri approfondimenti o temi politici, diplomatici, sociologici. Ma ciascuno sa, se vuole, approfondire anche queste cose.

Dopo il Covid, Melilla, su questi aspetti, è completamente cambiata. Abbiamo un centro di accoglienza rifugiati quasi pieno (il CETI), ma pieno di sudamericani, non di africani. Perchè la frontiera e la recinzione sono ancora più intoccabili e controllati. Sul lato marrocchino ogni centro metri vedi una guardia, una garitta, i rotoli di filo spinato sono aumentati, gli ostacoli ancora più difficili da superare. Sono anni che nessuno tenta più questa strada. Al massimo qualche disperato tenta la via del mare, ma in tutto il 2023 ne sono arrivati… solo 13. Se ripenso ai numeri che vedevo lo scorso anno per l’Italia questi dati non rientrerebbero nemmeno nelle statistiche. Ma è anche vero che le statistiche attuali sono notevolmente cambiate dallo scorso anno. A dare uno sguardo qui (cliccando sul cruscotto del giorno) ci si rende conto dei rapidi mutamenti e di come possano cambiare dall’oggi all’indomani questi flussi. Se poi si approfondisce un po’ e si scopre che l’Italia ha allargato il novero dei “paesi sicuri”, i conti vengono presto fatti e si rimane per lo meno sconcertati.

Purtroppo, una risposta seria, concreta e realistica al problema dei flussi migratori sembra essere costantemente evitata. Si cercano rimedi provvisori e inconcludenti per “nascondere” e rinviare il problema. Ma la strategia dello struzzo non servirà certo a risolvere le cose.

Il trailer del film è visibile qui (con i sottotitoli in spagnolo, molti dei dialoghi del film sono in francese)

Fosse un giorno come tanti…

Fosse un giorno come tanti…

Il 18 dicembre per l’OIM, uno dei numerosi servizi ed uffici delle Nazioni Unite, fondato nell’ormai lontano 1951 è il giorno del migrante. Forse il calendario è fin troppo pieno di ricorrenze simili (il giorno del Rifugiato promossa dall’UNHCR per il 20 giugno, la Giornata della Memoria e dell’accoglienza del 3 ottobre, la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 20 settembre… e ci fermiamo a quelle di rilevanza sovranazionale). Gli appuntamenti per sensibilizzare le persone non mancano, almeno sulla carta; quello che invece nella pratica manca ancora è una reale comprensione di questo fenomeno che ancora troppe persone considerano una “emergenza” (come quella climatica) che prima o poi passerà e una consapevole strategia per tentare di offrire risposte decenti a questa situazione..

Fino ad agosto mi trovavo a Siracusa, in Sicilia, dove il tema dei migranti assume una dimensione certamente più critica ed evidente. Strano che proprio nel primo anno del nuovo governo di centro-destra, che avrebbe dovuto risolvere in un modo o nell’altro questa emergenza, le cose siano andate in modo ben diverso dalle previsioni. Anzi, completamente in direzione opposta.

Basterebbe questa semplice tabella con il suo relativo istogramma a ricordare e tenere ben presenti i numeri. Dopo le cifre impressionanti degli anni dal 2014 al 2017, la pausa globale dovuta al Covid, ora ci ritroviamo a fare i conti con una nuova impennata; ho prelevato poco fa i dati dalla pagina ufficiale del Ministero dell’Interno, che quasi ogni giorno pubblica un esauriente report degli sbarchi, dati sulle età e sulle provenienze. Fino a pochi mesi fa questi numeri li vedevo facilmente riflessi nella società concreta, sia partecipando come volontario della Croce Rossa alle operazioni di sbarco come a quelle di trasferimento dei minori. Insomma, quando ti ritrovi al porto di Augusta o ad accompagnare minori in giro per la Sicilia (e anche nel resto di Italia), questi numeri si traducono in nomi e volti (ho ancora gli elenchi da qualche parte) e certamente fanno pensare.

Fanno pensare ad esempio a quale strategia di accoglienza si stia praticando, quali soluzioni siano previste, quali itinerari si possano offrire a questo fiume di persone che certamente non si fermerà. Quello che purtroppo ho osservato nella realtà è l’impietoso rimpallo di tante situazioni, cioé persone, che vengono spesso spostate e distribuite, senza un vero progetto. Nel frattempo si rallenta il processo e si cerca di bloccare questa deriva.

Nel luogo in cui mi trovo adesso, qui a Melilla, le cose sono completamente diverse. Dopo la pandemia e dopo il tragico “incidente” del 2022, i flussi sono praticamente scomparsi, cioè, hanno cambiato direzione e qui in città non si vede praticamente nessuna presenza migrante.

Pochissimi gli africani sub-sahariani di passaggio; nel nostro Centro Fratelli attualmente ne abbiamo uno solo, proveniente dalla Costa d’Avorio. Eppure il centro CETI di Melilla (centro temporaneo per gli immigrati) risulta pieno, con più di 160 presenze, ma si tratta quasi completamente di sudamericani che cercano in questo fazzoletto di terra una soluzione più rapida per la loro richiesta di asilo!

Il totale degli sbarchi in Spagna di quest’anno supera i 30 mila, e già dal primo trimestre evidenziava un calo di oltre il 36 % rispetto all’anno precedente ma il problema si fa sentire quasi esclusivamente nelle isole Canarie, non nel resto del paese; alcuni dati i possono trovare su questa pagina del Consiglio Europeo.

E così, tra una guerra e un rigurgito di attacchi nella zona del mar Rosso, una costellazione di stati Africani che confermano le tante crisi presenti nel continente (climatica, demografica, guerre civili, derive dittatoriali) pensiamo che il problema si possa arginare. Le previsioni dell’Onu sono facili da rintracciare e parlano chiaro: dovremo prepararci ad un secolo nomade e le cause di spostamento sono chiaramente in crescita, mentre le destinazioni sono per il momento ancora le stesse, in particolare il nostro mondo occidentale.
Una bella scrollata per iniziare a riflettere in modo diverso su questi prossimi scenari diventa sempre più necessaria…

Fosse anche una metaborgatara…

Fosse anche una metaborgatara…

Sono partito da Siracusa da ormai 4 mesi, ma per i ricalcoli del web ogni tanto le notizie che mi scorrono in prima pagina inseguono ancora le vecchie impostazioni. Così ieri mi è capitato così di rivedere immagini note, ma con un titolo che non mi aspettavo. Riguarda una piccola campagna di sensibilizzazione per il progetto Metaborgata, che si sta svolgendo proprio a Siracusa, e proprio nelle zone che fino a poche settimane fa erano anche le “mie zone” di vita quotidiana.

Il titolone di Repubblica era di quelli più orientati ad agitare le acque che a progettare un futuro migliore, ma sappiamo bene che questo è spesso il piglio normale dei giornali: polemica tra Curia e associazioni…, grosso modo il testo dell’articolo riprende quello pubblicato dalla testata locale di Siracusanews e anche da Siracusaoggi. Logico che il passaggio dalla ribalta locale a quella più ampia del paese intero può contribuire ad alimentare malintesi e l’inseguimento di qualche polemica. Il tutto a meno di una settimana dall’inizio dei festeggiamenti per s. Lucia, gesti antichi che ancora, dopo l’arresto prolungato a causa della pandemia, faticano a riprendere con il ritmo consueto della tradizione.

E l’importanza grande di s. Lucia si avverte quasi più al di fuori della Sicilia che dal suo interno. Caravaggio in un paio di mesi ha realizzato un quadro che ancora oggi, dopo secoli, desta ammirazione nella basilica a lei dedicata; poche chiazze di rosso luminoso, e una composizione insolita riescono a narrare un’esperienza che ha valicato i secoli. E ricordo amici delle valli bergamasche in attesa dei doni che la santa portava, sulla groppa del suo asinello proprio nella notte del 13. Per non parlare dei festeggiamenti svedesi, dei problemi di calendario che ne avevano consolidato l’importanza (il giorno più corto…). E’ una cornucopia di tradizioni e narrazioni.

Continuando nella lettura dell’articolo, vedo poi che trovano ampia eco le parole di Viviana, una delle promotrici del progetto, con il quale abbiamo direttamente collaborato. Avendo vissuto queste cose dal loro interno, la percezione che ne ho adesso, complice il distacco ormai completo e la lontananza, possono favorire alcune riflessioni.

Le immagini in questione erano già state diffuse da tempo e nelle attività svolte in piazza (sopra ho riportato alcune immagini dell’evento che si era svolto nel dicembre del 2022) lo scopo di creare appartenenza e collegamento tra le varie comunità era evidente; la scelta di questo messaggio simbolico, faceva leva proprio sul ruolo di un personaggio così emblematico e caro a tutti i presenti, ne avevamo anche noi una, nella nostra sede e ogni tanto ci veniva in mente di collegarla con l’altra immagine che avevamo scelto per accogliere le persone che ogni giorno entravano da noi, presso il centro CIAO.

Si tratta delle riproduzione della Madonna di Loreto riprodotta qui a fianco, realizzata dalla pittrice M. Gallucci, che avevamo contattato per poter inserire nel nostro ambiente questo simbolo che ci aveva immediatamente colpito. Tante le persone che coglievano in questa immagine un messaggio chiaro di accoglienza, di fragilità, di evocazione di un dramma con il quale molti, troppi, avevano a che fare. Senza nessuna polemica, perché di volti simili ne entravano ogni giorno, ciascuno con un differente carico di angosce e difficoltà.

Mi auguro semplicemente che l’impegno concreto di tanti e la buona volontà di tutti quelli che vedono in s. Lucia un esempio da seguire e non solo una tradizione da perpetuare prenda il sopravvento su questi incidenti di percorso.

Certamente, a volte la comunicazione si arrotola su piccoli corto circuiti, si informano prima gli amici, le associazioni che tanto sappiamo bene sono impegnate a lavorare senza badare troppo alle didascalie delle immagini, senza nemmeno badare troppo alle immagini, che per altre sensibilità possono risultare un po’ spiazzanti; forse coinvolgere fin dall’inizio i francescani della basilica (che dal 1600 vivono con dedizione questo impegno)… ma è anche vero che la realtà di oggi è notevolmente diversa da quella di un tempo, fosse anche solo il tempo di pochi decenni fa.

Oggi Siracusa, una città demograficamente in calo rispetto agli inizi del secolo, conta circa 116mila abitanti e gli stranieri residenti sono in discreto aumento, rappresentano praticamente il 5% del totale e corrispondono ad oltre 5.000 persone. La comunità straniera più numerosa è quella che proviene dallo Sri Lanka con il 23,7% di tutti gli stranieri presenti (e si tratta in gran parte di persone di religione cattolica), seguita dal Marocco (14,3%) e dalla Romania (8,0%). Meglio conoscerli i numeri, altrimenti si rimane sempre un po’ troppo sul vago, a questo link si possono scoprire altri dati in proposito.

Il 13 dicembre non è lontano, in quei giorni la piazza brulicherà di gente; da sempre le piazze sono luogo di incontro e di eventi, ricordo ancora quelli svolti pochi mesi fa per il conflitto ucraino e sappiamo bene quanto siano lunghe certe strade. Ci auguriamo di poter continuare a percorrere insieme questi sentieri sapendo che a volte può essere un po’ difficile e problematico. Come la vita, d’altronde.

E la vita Caterina, lo sai…

E la vita Caterina, lo sai…

E la vita Caterina, lo sai
Non è comoda per nessuno…

Chissà in quanti si ricorderanno, da questa striminzita citazione di De Gregori, la canzone intera, una tenera ballata del 1982 (noi si era da quelle parti, a Roma); poi succede che nella vita alcune frasi, alcune melodie, ritornino come sottofondo, stuzzicate ad esempio da un semplice nome. Caterina, in questo caso.

Ho terminato da poco il testo Il Sorriso di Caterina, di Carlo Vecce, docente di letteratura italiana presso l’Orientale di Napoli, su una possibile ricostruzione dell’albero genealogico di Leonardo da Vinci. In pratica la “scoperta” della possibile madre. Ero rimasto colpito da un articolo in prima pagina sul domenicale de Il Sole 24 ore (uno dei miei hobby domenicali, anche qui a Melilla, grazie al web) che presentava questo libro, nato dalla scoperta di un documento da cui traspare la notizia che la madre del grande genio rinascimentale probabilmente era una schiava proveniente dalle zone selvagge intorno al mar Nero (la Circassia).

Stimolato da questo spunto mi sono imbarcato nella lettura, tra l’altro interessante per il linguaggio utilizzato, un misto di italiano scorrevole infarcito di (tanti, a volte troppi) termini tardomedievali, molti desunti dalle pratiche mercantili o notarili. Altra curiosità è la voce narrante, che cambia in pratica ad ogni capitolo (e non sono pochi!), dando così la possibilità all’autore di toccare corde e modalità sempre diverse, anche se il risultato sicuramente non è così definito, le voci sono molto omogenee, tra l’altro tutte al maschile, anche se i personaggi femminili sono numerosi nel libro. Passano così in rassegna abili mercanti, ex-pirati, commercianti, nobili decaduti, notai (il padre di Leonardo), amici facoltosi, gente umilissima… uno spaccato di quella società gravida dell’uomo nuovo del rinascimento.

A dire il vero la storia è molto romanzata e la ricostruzione che ne fa l’autore è certamente molto personale, anche se suffragata da diverse prove. Ma è come ricomporre un puzzle con pochi pezzi e nel dubbio ritenerlo un quadro ormai completo; in rete non è difficile, ad esempio, trovare altre recensioni ben più critiche e documentate di quanto un semplice lettore potrebbe dedurre dalla pura lettura.
Ma con Leonardo, fantasticare non è di certo un grave misfatto, anzi…

La trama potrebbe essere semplice, una spedizione di soldati alla ricerca di schiavi e conquiste raggiunge le zone della Circassia, intercetta un drappello di soldati guidati dal coraggioso capo locale, un certo Jacob che si era portato appresso anche la figliola poco più che undicenne e camuffata da maschietto. Il padre viene ucciso e il giovane ragazzo viene catturato, inizia così una lunga odissea che la vedrà percorrere un lungo itinerario mercantile, dalla Tana (la zona di giurisdizione veneziana e genovese del Mar Nero) a Costantinopoli, poi Venezia, la laguna e infine le zone vicino a Firenze, Vinci, per concludere.

Ad ogni capitolo il narratore è anche la persona incaricata o il padrone o il benefattore di questa giovane fanciulla, strappata ad un mondo tra il magico e l’agreste, il selvaggio e l’arcaico. Ha già un nome, Caterina, un piccolo anello dono del padre (di quelli provenienti in gran quantità dal monastero di s. Caterina in Terra Santa, a quell’epoca molto diffusi), probabilmente è anche battezzata, ma è ormai destinata al ruolo di “schiava”, una cosa umana che può passare di proprietà come un mobile o un terreno.

Difficoltà, problemi economici, piccoli e grandi soprusi, intrecciati agli eventi dell’epoca, sempre presenti sullo sfondo. La storia appare molto ben documentata, la narrazione è accurata e stracolma di dettagli, elenchi, riferimenti normativi alla legislazione dell’epoca… l’erudizione e la tecnica non mancano di certo al nostro autore!

Il penultimo capitolo vede scendere in campo nientemeno che il figlio, Leonardo in persona (e non è certo facile mettersi nei suoi panni!) che intesse con questa donna un rapporto sicuramente forte e struggente. Non scendo ovviamente in altri particolari, oltre a quel sorriso che rimanda alla Gioconda e che nell’invenzione dell’autore nasconde forse il ricordo felice della madre.

Quello che mi ha colpito di più è invece la riflessione finale dell’autore, che riletta alla luce dei tempi che stiamo vivendo trovo ampiamente condivisibile e illuminante, nonostante un tono quasi omiletico. E’ un’accorato e forte richiamo alla necessità dell’accoglienza: riporto direttamente solo un passaggio:

 […]  è la gloria più bella di questo nostro meraviglioso Paese, di questa penisola slanciata nel Mediterraneo come un immenso ponte di popoli, culture, civiltà, lingue e arti, che senza sosta nei millenni si sono incontrate e invase e mescolate, da Nord a Sud e da Oriente a Occidente, dall’Europa all’Africa e viceversa, terre e isole naviganti, migranti che arrivano e partono, assetati di vita e di conoscenza. La civiltà italiana non esisterebbe se qualcuno avesse chiuso i nostri porti.  […]  


Ovviamente sono molto di parte (la stessa parte con la quale mi ritrovo), ma penso di essere in buona compagnia.