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Categoria: religion

E che la luce splenda…

E che la luce splenda…

Mi ero quasi abituato, negli ultimi 4 anni, a festeggiare santa Lucia in modo speciale. Essere concittadino della santa siracusana è stato una bella occasione per approfondire meglio questa figura così antica ed emblematica.

E il perdurare dei proverbi (S.Lucia, il giorno più corto che ci sia…è un refrain che ancora si sente) è indice di tanta storia, a volte sotterranea, che però talvolta trova occasioni per emergere. Quando racconto a miei vari alunni della riforma del calendario gregoriano nel 1582, molti rimangono stupiti che sia esistito un anno senza una decina di giorni sul calendario e che il semplice (!) calcolo delle ore comporti modifiche così impegnative sui ritmi della nostra vita.

“Girare” intorno al sole, come sempre ci sembra, ci tocca davvero da vicino, non serve nemmeno riprendere in mano gli strumenti del contadino per rendersene conto. E’ stato così anche per i nostri fratelli ebrei, che proprio nei primi giorni di dicembre festeggiano l’Hannukah, festa della luce.

Per l’occasione abbiamo accolto anche noi l’invito della comunità ebraica e partecipare così alla festa di accensione delle luci di Hannukah, che si è svolta a Melilla, ancora sotto l’emblema cittadino, uno sponsor laico ma molto attento ai temi del rispetto e della convivenza tra le culture. In quella serata, però, si è avvertita quasi la nota stonata dell’assenza ufficiale degli amici musulmani (qualcuno aveva sottolineato infatti la presenza del 75% delle comunità di fede locali). Comprensibile però, dati i tempi che stiamo vivendo e le tragiche vicende nella striscia di Gaza…

La nostra Comunità Fratelli anche per questo aveva pensato, da un po’ di tempo, ad un momento di preghiera inter-religiosa che fosse svincolato da qualunque riferimento pubblico o politico. A nostro favore gioca ovviamente il fatto peculiare di avere, tra i molti alunni della scuola lasalliana, una rappresentanza ben evidente di tutte le fedi. Così avevamo iniziato a diffondere l’invito per un semplice momento di preghiera, rivolto alle quattro comunità presenti.

L’incontro, molto semplice, si è svolto nella serata del 14 dicembre nel grande salone della scuola (e per il sottoscritto era già un regalo speciale). Una coreografia minimalista ed essenziale, per dare spazio e protagonismo ai 3 libri delle grandi religioni monoteistiche, intronizzati con una suggestiva processione-danza realizzata da alcuni alunni della scuola. Inizialmente avevamo qualche dubbio sulla partecipazione (“verrà qualcuno?”), ma diffondendo l’invito anche tra le tante persone che gravitano intorno al Progetto Alfa, ben presto ci siamo resi conto che non ci sarebbero stati problemi. Avevamo stampato una 30ina di copie della celebrazione, ma poi abbiamo dovuto invitare a condividere il foglio almeno col vicino, perché non bastavano proprio.

Nella preghiera è stato lasciato uno spazio libero alle diverse fedi, con un momento di lettura dal rispettivo testo sacro e un breve commento. Anche il semplice ascolto della declamazione nella lingua originale dei testi invitava ad una maggior riflessione (per noi cristiani l’utilizzo della lingua normale a volte può favorire una certa distrazione, quasi una sorta di insignificanza). Poi la musica, linguaggio interculturale per eccellenza: un canto di ingresso (il suggestivo Dall’aurora del Genrosso che ha come testo il salmo 62), l’Alleluja di Cohen e il brano Solo le pido a Dios cantato in 3 lingue (spagnolo, arabo ed ebraico). Niente di più. A nostra insaputa c’era anche qualche giornalista... e il video è sufficiente a narrare l’evento.

E’ stato bello e semplice condividere il tempo insieme, nel silenzio e nell’ascolto, nello scambio di saluti e di sorrisi, nella consapevolezza che le differenze ci sono, ma non sono la cifra più evidente della nostra vita. Potrebbe essere un’iniziativa da ripetere, da replicare altrove… basta solo un pizzico di buona volontà.

Visita luminosa alla Sagrada Familia

Visita luminosa alla Sagrada Familia

La prima volta che ho avuto l’occasione di visitarlo con calma, questo splendido cantiere che è oggi la Sagrada Familia di Barcellona, molto era ancora nascosto nei fogli di progetto, nei sogni di Gaudì, nella impegnativa fedeltà di chi ha completato questo immenso tempio “espiatorio”… Era il dicembre del 2000, complice una riunione marista mi ero ritagliato una mattinata di visita al grande cantiere. Ne valeva davvero la pena.

la Sagrada Familia – dicembre 2000 – 22 anni fa!

Imponente, affascinante, ma ancora molto “cantiere”; la messa veniva celebrata solo nella cripta, il piano superiore era terreno di conquista tra muratori e turisti, con frequenti invasioni di campo. A quei tempi non era ancora nemmeno facile ipotizzare un “quando” per una sorta di conclusione, almeno delle parti essenziali; si girava per l’immensa navata ammirando le occhiaie vuote delle finestre, le colonne smascherate con i loro tralicci in cemento armato all’interno, le gru svettanti, i ponteggi ancorati alle pareti. Era già un viaggio affascinante e mirabile, che mostrava tutta la genialità e fantasia dell’architetto. Ma anche l’occhio vuole la sua parte…

Alla fine di aprile di quest’anno ho avuto di nuovo l’opportunità di passare per Barcellona e questa volta, grazie al balzo di oltre 20 anni di lavori, ho pensato che ci voleva davvero una nuova visita, condotta con calma, assaporando con attenzione l’itinerario e le numerose novità. La guida che viene fornita adesso è decisamente esaustiva. Tutta la procedura del biglietto e dell’ingresso, ormai, si può fare online e mediante l’app si scarica anche l’audioguida, molto semplicemente. Il tutto ha il suo costo, 26 € per la visita completa. In questo modo più che turisti… ci si sente sponsor e contribuente della costruzione! Ma va bene anche questo.

Fine di aprile, giornata ormai primaverile e tiepida, luminosa quanto basta. Dopo un primo giro intorno al tempio, che rivela l’avanzare dei lavori ma ancora la grande attesa per il terzo portale del tempio, entro dalla facciata della natività, uno dei due grandi ingressi laterali (l’altro è quello della crocefissione). E’ bello notare come questi due ingressi laterali hanno il vantaggio di un grande spazio antistante, giardini e verde, viene da domandarsi quale respiro potrà avere la facciata principale, ormai assediata da palazzi e strade. L’ingresso va gustato con calma, quasi per creare una sorta di suspense prima dell’entrata; la guida spiega l’origine, parla della vita di Antonio Gaudì, della sua visione religiosa ed artistica, fuse in modo davvero unico. E invita ad osservare la ricchezza della facciata, la miriade di dettagli e particolari, dalle tartarughe che reggono le colonne principali (non era una teoria indù quella che immaginava il mondo sulle spalle di un elefante, il quale a sua volta poggiava su una tartaruga?) agli angeli che suonano gli strumenti.

la Sagrada Familia, oggi, aprile 2022

Ma poi si entra, e si viene sommersi dalla luce che prima era solamente luminosità, e invece dentro alle navate del tempio si trasforma in musica, parola, indicazione, sostegno, messaggio. L’effetto è veramente ammaliante e intenso; i colori parlano da soli e le tonalità calde contrapposte a quelle fredde della navata opposta, raccontano senza necessità di troppe spiegazioni il senso della vita che nasce, cresce, si spegne, ma poi risorge.

Più che le parole, ha senso lasciarsi rapire dalle immagini e dai colori. Basterebbe questo per aiutare ad “alzare lo sguardo” e nutrire la vita di bellezze simili.

Piccola kermesse domenicale

Piccola kermesse domenicale

Domenica 27 marzo abbiamo vissuto alcuni momenti speciali, con tutta la nostra comunità marista, su invito del centro missionario diocesano. Insomma, ancora una volta p. Salvo ci ha “ingaggiati”. Ma ben vengano queste iniziative…

Si trattava dell’evento “Missio-fest” che da un paio di anni era rimasto chiuso nel cassetto (nelle nostre narrazioni ormai esiste un pre- e un post-lockdown o era-covid!). Con un largo battage e contatti mediatici, quest’anno si è ripartiti, finalmente in presenza e con un bel po’ di gente. A dire il vero i prenotati erano oltre 200 ma poi, complice una giornata che minacciava pioggia, tempo incerto e chissàcosaltro, i presenti erano decisamente di meno, diciamo una metà.

La mattina della domenica prevedeva un itinerario molto semplice: una chiesa disponibile per l’adorazione, un’altra con la presenza di sacerdoti per il sacramento della riconciliazione e un paio di luoghi per ascoltare delle testimonianza. Una coppia fidei donum, una comunità di missionari di Modica (proprio della comunità dove ora risiede p. Gigi Maccalli, che però non era presente in questa occasione) e poi… noi della comunità Marista, ad accogliere i gruppi nella chiesa di s.Giuseppe. Con la scusa che i maristi sono chiaramente abbinabili con la scuola, il nostro simbolo indicatore era belle che pronto: uno zainetto, libri e quaderni e …scuola sia!

Intanto in piazza Minerva, a fianco della cattedrale, gli stand del CSI per consentire minitornei di volley, di calcio, di minibasket. Più mini di così…

Era il giorno in cui arrivava anche un nostro ospite, fr. Orlando, un fratello colombiano, provinciale della Norandina (Ecuador, Colombia, Venezuela…) e Ricky era andato ad accoglierlo a Catania, ma sarebbero arrivati in tempo almeno per l’ultimo incontro.

la comunità (quasi tutta) con fr. Orlando

Schema semplicissimo: con Nina e Kike dovevamo semplicemente spiegare chi sono i maristi, come mai sono finiti qui a Siracusa e soprattutto qual è oggi il nostro impegno “missionario” nei confronti dei migranti. Quando si parla delle cose che si fanno ogni giorno e che si condividono insieme, non è molto difficile coordinarsi. E infatti nei 2 momenti di incontro non ci è stato difficile ricordare e presentare queste cose.

Giunti al fatidico problema del mezzogiorno, ci siamo incontrati con gli altri testimoni nei locali vicini a piazza Minerva, proprio dove ha sede l’Info point e la sala con la proiezione della ricostruzione in 3D dell’antica Siracusa (che ci hanno gentilmente offerto in visione). Un pranzo tranquillo con gli altri testimoni, uno scambio di esperienze e di contatti anche per noi.

Subito dopo l’organizzazione prevedeva un momento di festa e musica, aperto da una performance degli alunni dell’Inda, sul tema fin troppo attuale della guerra, anzi, di tutte le guerre.

E subito dopo, nel particolare scenario del cortile dell’Arcivescovado, con le colonne greche e romane a fare da sedili (insolito assieparsi su cimeli di 2000 anni fa, con la nonchalance dei giovani d’oggi), il concerto del gruppo Basic (alla chitarra il don, ovviamente), con una notevole voce solista femminile e un repertorio abbastanza rockettaro (a iniziare dalla cover di apertura dei The Sun, l’ormai conosciutissima Onda). Peccato per le goccioline di pioggia che consigliavano di restare ai bordi e non sotto palco ma l’effetto era discreto. Mi aspettavo quasi che a fine concerto si trasferissero direttamente in cattedrale, cambiare repertorio, ridurre i distorsori e passare ai canti della messa, ma … era stato previsto anche qui un ottimo intervento di un coro più “liturgico”.

La messa a conclusione della giornata era ovviamente presieduta dal vescovo. Un segno di attenzione e di partecipazione non scontato e quindi positivo. Ma non chiedetemi della predica; sicuramente il nostro Vescovo è un esperto biblista, ma il dono della parola non si alimenta solo di buone conoscenze. Ma siccome è la somma che fa il totale, il risultato finale mi sembra comunque positivo. Ce ne eravamo già accorti, insieme a Nina, la sera prima, durante la veglia sui martiri missionari, dove l’intervento del vescovo non aveva lasciato particolari tracce, ma il contesto aveva parlato in modo esauriente.

Alla ricerca della felicità

Alla ricerca della felicità

Mi faccio un regalo, oggi (a dire il vero riesco a farlo più spesso e non solo come tributo per un compleanno ;-). Un buon libro è sempre un investimento prezioso. Di tempo e di senso…

Il testo “Non perfetti, ma felici” si presenta con quell’esotico nome d’autore che a prima vista sembra rimandare ad un qualche antico monaco straniero. Invece fratel MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino che vive presso il convento de la Visitation a Rhêmes-Notre-Dame, in Val d’Aosta, è un nostrano pugliese trapiantato tra le valli alpine. Scrive da anni e interviene spesso su quella che è la sua dimensione di vita personale come consacrato in tempi difficili ma entusiasmanti, perché questi tempi che viviamo sono veramente un’occasione di vita e di crescita unici.

Il testo si rivolge ovviamente a chi della vita consacrata vuol capire qualcosa di più e a chi già la vive e vuole confrontarsi con una riflessione più ampia, precisa e stimolante su questa insolita modalità di essere persone del nostro tempo.

Il legame con il nostro tempo è infatti il percorso necessario per fare di questa scelta di vita un qualcosa che non sia il restauro di un reperto di archeologia o la raccolta di begli oggetti di antiquariato. Nel dipanarsi dei capitoli si avverte l’attenzione a dire cose sensate con un vestito adatto su temi che semplici non sono. La vita religiosa oggi soffre sicuramente di una sorta di accantonamento; non è così evidente come un tempo, spesso sembra occupare spazi man mano erosi dalla presenza dei laici ed è onesto chiedersi se la sua dimensione vitale abbia ancora un senso e una sua spendibilità come testimonianza. Il modello ancora diffuso ricalca quasi sempre lo stile classico e antico. Il salto di qualità che servirebbe non è facile intravederlo o metterlo in pratica.

Eppure, il senso di questo cammino potrebbe quasi sfruttare gli attuali tempi di crisi per una sorta di riscatto. Non si sceglie uno stile di vita in base alle rinunce che comporta, ma alle ricchezze e opportunità che offre. In un tempo di livellamento dei valori (a volte camuffata come tolleranza a 360 gradi) difficile affrontare uno stile di vita che comporta anche scelte impegnative e controcorrente.

Nel testo l’autore afferma con vigore che è necessario un maggior sforzo per “demonasticizzare” la vita religiosa, ancora troppo incollata a modelli clericali, spesso condizionati da desideri di potere e di pubblico riconoscimento. Non sempre abbiamo preso dimestichezza con la grande libertà che si può vivere in questa dimensione, osando cose nuove e scrollando vecchie abitudini. Ma è una strada da percorrere.

Il modello finale che viene presentato come grande esempio di libertà è quello di Charles de Foucald e non manca quindi un richiamo ad una sorta di doveroso confronto con l’Islam.

Insomma, un testo liberante, audace e ricco di suggestioni che possono essere esplorate nella vita di tutti i giorni. Anche da chi vive in dimensioni esistenziali differenti.

Sono del mio amato

Sono del mio amato

Ogni tanto mi capita di divagare e di lasciarmi guidare dagli eventi, più che da scelte calcolate. Ci può stare. Mi è capito questo libro e le info di massima andavano in rotta di collisione con qualcuna delle mie curiosità del momento.
Così ho iniziato a leggere.

Si tratta del secondo libro di Annick Emdin. Il nome suona molto straniero, ma poi curiosando e leggendo in rete scopri che si tratta di una giovane scrittrice italiana, in quel di Pisa, con la passione del teatro…

Il libro si lascia leggere molto bene, è scorrevole e soprattutto nella prima parte la scelta strutturale (o stilistica?) di alternare un episodio del presente con uno del recente passato è stimolante. Capitoli brevi ed episodi molto concreti, non si coglie quasi la fine dell’artificio nella parte finale, dove ormai la narrazione diventa unica.

La storia si svolge all’interno e all’intorno del gruppo ebreo ultraortodosso della comunità dei charedi. Ma la parte antica della narrazione riguarda un personaggio ebreo che vive durante il secondo conflitto mondiale. Si inizia con la storia di un matrimonio incompiuto, la fuga dal rastrellamento nazista, le peripezie di 3 fuggiaschi, l’accoglienza in una casa di contadine, poi nuova fuga e il confinamento in campi di concentramento. La guerra finisce e inizia il nuovo vagare alla ricerca di una destinazione. Il primo viaggio si conclude in terra di Palestina, con il sogno di una ricostruzione e l’approdo in un kibbutz.

La seconda è storia dei giorni nostri, una famiglia ultraortodossa, con i suoi riti e le sue strane consuetudini, che vengono tratteggiate (forse senza tante spiegazioni che a volte servirebbero per non confinare tutto nel regno dell’assurdo). Un giovane ragazzo rimane coinvolto in un attentato su un bus; una giovane soldatessa lo scaraventa in un luogo sicuro e lo salva. Una soldatessa ebrea ovviamente. Da qui parte la ricerca di questa salvatrice che finirà per cambiare la vita a questo giovane.

Vengono messi a confronto 2 mondi distanti anni luce, eppure presenti e vivi nella realtà ebraica di oggi. Sono di quest’anno le notizie di alcuni incidenti capitati durante festeggiamenti di ricorrenze speciali o al funerale di un rabbino particolarmente venerato. Tutti abbiamo visto le tribune traballare e poi collassare, oppure le folle incredibili (assembramenti assurdi) di persone senza mascherine e dal tipico vestito ebraico. Risulta difficile capire come queste due anime ebraiche possa convivere sotto lo stesso tetto, o almeno in quartieri adiacenti: Gerusalemme e Tel Aviv, il diavolo e l’acqua santa…

Naturalmente scatta il meccanismo dell’innamoramento, che trascina con sè tutta una serie di scelte di vita, radicali e forse un po’ affrettate. E in trasparenza si ripercorrono anche le vicende del nonno della famiglia, il vero perno della storia, come si capirà nel finale.

Trovo un po’ frettolosi alcuni passaggi e alcune decisioni dei protagonisti; cambiare una vita nel giro di pochi giorni dopo una esistenza scandita dai riti religiosi così particolari e dalle abitudini kosher mi sembra quasi un ridurre il peso di questa tradizione e questa fede a qualcosa di barattabile in tempi rapidi, in fin dei conti di poco valore. Qualche caduta di stile nel linguaggio, che richiederebbe una attenzione più mirata (un giovane charedi ci metterà del tempo ad usare un gergo giovanilistico da bar toscano, comprensibile per molti ma poco adatto al contesto). Infine mi sembra che l’autrice sorvoli troppo velocemente sulle tematiche religiose che sono alla radice della scelta dei vari gruppi ortodossi, che prosperano in Israele ma non solo. Avverto la mancanza di qualche approfondimento e di qualche riflessione più centrata sulla pregnanza dell’esperienza religiosa e sul messaggio biblico che non si limita a qualche citazione o terminologia ebraica. Anzi, spesso l’uso della lingua originale risulta un po’ d’inciampo nella lettura (e non tutti i termini/frasi sono tradotti).

Risulta invece abbastanza realistica la descrizione della vita di questa famiglia charedi, con le sue idiosincrasie e i suoi personaggi originali, dipinti con rapide pennellate, in modo vivace e realistico.

Immagino che l’autrice conosca dall’interno queste dinamiche e queste situazioni, il contrasto tra una modernità in rapida evoluzione e una tradizione antichissima che pretende di non aver nulla da spartire col mondo moderno. Una realtà ancora molto presente, oggi, in Israele. Basterebbe questo per stuzzicare la curiosità di chi desidera conoscere ed approfondire questo mondo.

E mi ricordo ancora di quello che mi era successo un giorno di tanti anni fa, proprio passeggiando nelle stradine della Gerusalemme ebraica, era sabato: ogni tanto uno slargo o un cortile, con frotte di ragazzine allegre a giocare (le donne non sono tenue al rispetto di tutte le norme dello shabbath), vedo un bambino, di pochi anni, coi suoi bei riccioli allungati e azzardo una fotografia. La sua mano inequivocabile scattò subito nel segno del divieto. Non è consentito fare una fotografia in giorno di sabato…