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E allora auguri a tutti, caro 2021

E allora auguri a tutti, caro 2021

Ce li stiamo facendo tutti, in questi giorni: auguri perché questo 2021 sia ben diverso dal precedente. Dai messaggini ai botti, dai dolci ai saluti a distanza… mangiando 12 chicchi d’uva allo scoccare della mezzanotte o con mangiate di lenticchie e zamponi.


La consapevolezza che le vaccinazioni sono iniziate è già un bel cominciare, anche se le indicazioni e le previsioni non saranno certo rosee in tempi brevi. Spesso sentiamo che la situazione attuale, condita da restrizioni e mascherine, ci accompagnerà ancora a lungo… Ma intanto facciamo il possibile per migliorare le condizioni.

Come volontario della CRI ho ricevuto giorni fa la comunicazione che si poteva già fare domanda per ricevere questo vaccino. Ovviamente ho subito confermato, ben prima dell’invito di Mattarella a considerarlo come un obbligo etico. Basterebbe il buon senso, anche se intorno a me sento ancora tanti, troppi, che superficialmente si trincerano dietro a reticenze, timori e ignoranza che si potrebbero facilmente smontare. Ma è proprio vero che nell’era di internet crediamo quasi sempre e solo a quello che già crediamo… Verrebbe quasi da affidarsi al venditore di almanacchi di leopardiana memoria (ho sempre adorato quell’inusuale “passeggere” nel titolo….)

Passeggere
Credete che sarà felice quest’anno nuovo?

Venditore
Oh illustrissimo si, certo.

Passeggere
Come quest’anno passato?

Venditore
Più più assai.

Passeggere
Come quello di là?

Venditore
Più più, illustrissimo.

Un mio amico carissimo, un Giorgio anche lui (li scelgo apposta 😉 mi ha mandato ieri, come augurio per il nuovo anno, un breve articolo di Rodari, di tanti anni fa.
Ma proprio tanti! io avevo la veneranda età di 11 anni e stavo iniziando le medie e la mia avventura coi maristi. A dire il vero scoprirò Rodari alla fine delle magistrali, con la sua Grammatica della Fantasia, che stranamente abbinavo al don Milani della famosa lettera…

Poi a Genova, negli anni 90 con il buon Giorgio, forse uno dei più esperti conoscitori di Gianni Rodari del panorama italiano (non arrossisce nemmeno, perché difficilmente leggerà queste righe…) ho lavorato un po’ con lui per sistemare tutti questi suoi articoli pubblicati su Paese Sera, con il titolo di Benelux (si può essere europeisti anche manifestandolo nei dettagli). Io già masticavo un po’ di informatica e gli avevo suggerito di creare un database con tutti i titoli e gli argomenti, per approfondire alcune tematiche e semplificare la ricerca. Era un lavoro abbastanza vasto, in 20 anni di lavoro come giornalista Rodari aveva pubblicato qualcosa come 4500 pezzi! E insieme ci si divertiva, tra una sistematina e l’altra, a rileggere le sue riflessioni, per catalogarle, ma anche per gustarle e condividerle in altri ambiti.

lo riporto senza altri fronzoli… sono davvero auguri attualissimi!

Un arcobaleno – Benelux del 31 dicembre 1970

Avevamo cominciato a scrivere queste righe per farvi gli auguri di Capodanno, che il cielo, come fa spesso in questi giorni, era disperatamente tetro. A un tratto dal terrazzo del Ministero dell’Aeronautica, che occupa una parte della nostra finestra al giornale, abbiamo visto venir su l’arcobaleno. Tempo dieci secondi, il cielo s’è fatto d’un azzurro quasi estivo. Via il primo foglio, sotto un altro, ricominciamo da capo. Un arcobaleno è un segnale troppo prezioso per lasciare che si disperda con le nuvole che l’hanno portato. Acchiappiamolo per la coda, teniamolo stretto. Sarà uno scherzo ottico, ma prendiamolo per un buon augurio. Come ponte su cui far camminare le nostre speranze è un po’ fragile: prendiamolo allora come un invito a costruire ponti più robusti su cui possano marciare la giustizia e la pace.
Se auguriamo al mondo di uscire da questo periodo buio per imboccare una strada nuova, non ci aspettiamo la realizzazione del nostro augurio dall’arcobaleno.
Il 1971 sarà come noi lo faremo con le nostre mani, o come permetteremo ad altri di farlo, in nostra assenza, a nostro danno. Quando ogni uomo si sentirà responsabile di ciò che accade in ogni angolo della terra, non ci sarà bisogno di arcobaleni per cominciare a sperare.

di Gianni Rodari

Ho finito da poco La Mennulara

Ho finito da poco La Mennulara

Non sto leggendo spesso romanzi o libri con “narrazioni e racconti”, ma ogni tanto credo sia utile lasciarsi stupire dall’imprevisto. Non conoscevo nulla di Simonetta, forse mi intrigava questo cognome un po’ italiano e un po’ inglese, ma volutamente non mi sono occupato dell’autrice prima di leggere il libro. Avevo solo assaporato qua e là il gradimento da parte di persone molto diverse. Un buon punto di partenza.

Non credo nemmeno nell’utilità di una recensione quasi riassunto… preferisco quelle che cercano di stimolare la curiosità e l’approccio personale al testo.

Vivo in Sicilia da ormai un anno e mi piace l’idea di andare oltre le apparenze, gli stereotipi e il sentito dire. Mi sono messo a leggere questo libro e ne sono stato piacevolmente sorpreso. Sono abbastanza esigente e spesso mi ritrovo ad abbandonare testi che inizialmente mi sembravano interessanti (meno male che da anni uso solo le versioni digitali, con la carta non so se sarei in grado di superare un certo senso di colpa “l’hai comprato e adesso te lo leggi”), l’ultimo che ho lasciato perdere era un certo Stupidistan, troppo infarcito di luoghi comuni…

La Mennulara a grandi linee racconta una storia davvero insolita; una bracciante, poi governante, poi factotum di una famiglia di relativa ‘nobiltà’ o almeno di lunga tradizione siciliana. Una saga familiare come forse ne possono esistere tante in una terra dove le tradizioni sono spesso pietrificate nel tempo. La storia si svolge in quello che amo definire il secolo scorso, quindi quasi in contemporanea, per molti aspetti che vedo confermati qui in Sicilia.

Questa governante toglie il disturbo a inizio libro: muore dopo una rapida malattia, ma da quel momento comincia una presenza a dir poco ingombrante nella famiglia che ha servito per anni. Sembra aver pianificato tutto con puntiglio e precisione, dal testo del suo annuncio funebre alle pratiche di eredità da svolgere esattamente come da lei comunicato, attraverso messaggi e lettere che giungono puntualmente dopo aver osservato con scrupolo le indicazioni da lei fornite in precedenza. E guai a sgarrare….

La narrazione è curiosa e il ritmo incalzante, persino lo stile lievita con l’incedere delle pagine, smettendo alcune pesantezze e raggiungendo una maggior freschezza e attualità man mano che la storia volge al suo epilogo.

Certo, mi sembra molto poco realistico che la protagonista del romanzo, da semplice ragazzina del popolo riesca a raggiungere quasi in modo autodidatta competenze archeologico e velleità classiche da suscitare l’ammirazione di esperti e musei e nel contempo a nascondere queste capacità alle persone che continua ad accudire. Certe capacità lasciano tracce e segni inequivocabili in troppi ambiti della vita. Ma una storia è gradevole anche per queste pretese.

Sullo sfondo una Sicilia reale, che riscontro ancora oggi, nei campi delimitati da tanti muri in pietrame, nella rassegnata calma di tante persone, nella riluttanza a svecchiare certe mentalità e idee. Una bella immersione in quella sicilianità che conviene conoscere, non per tollerarla, ma per favorire qualche processo di svecchiamento.

Tra l’altro quest’ultima edizione è stata rivista recentemente dall’autrice e ampliata un po’; un libro non è mai concluso nel momento della prima consegna alle stampe, è gradevole che l’artista vi rimetta mano. Sarà che poi lei dorme poco (5 ore a notte le sembrano sufficienti) e se questi sono i risultati. ben vengano 🙂

(10 a 1 che anche questa ‘recensione’ su AMZN non me la passano 🙂

Una strana santa Lucia

Una strana santa Lucia

E’ solo il mio secondo appuntamento con il quartiere di s.Lucia, la Borgata, eppure in questi 2 anni penso di aver ormai visto tutte le sfaccettature possibili dei festeggiamenti di questa grande santa. Siamo passatti dalla baraonda alla …bara. Dalla grande confusione delle processioni, sfilate, fuochi d’artificio, folla in movimento al “pellegrinaggio virtuale e personale”, silenzio e pochissima gente.

Eppure era l’anno del ritorno, finalmente, del quadro di Caravaggio, il famoso seppellimento di s.Lucia; dopo tutte le vicissitudini, le questioni e la bagarre, tra il Mart, Sgarbi, la Curia…se non altro si è rialzata l’attenzione su questo capolavoro. Siracusa ha bisogno anche di queste ribalte per ricordarsi che non può rimanere una protagonista marginale su argomenti simili. E invece l’impressione è quella, al massimo, di un vivacchiamento.

Quando domenica mattina ho rivisto il quadro al suo posto, nell’abside parata a festa, mi sembrava semplicemente la cosa giusta e normale. Come se fosse sempre stato lì, tranquillamente, al suo posto. Certo però che se voglio ammirarla e contemplarla con più calma, mi conviene andare su qualche riproduzione online, perché non è certo un quadro che da lontano si possa godere molto. Ora che è tornato nella parrocchia (ops, nel santuario, Fra. Daniele me lo segnerebbe con la matita rossa) speriamo davvero che l’intero quartiere, questo “secondo centro storico” di Siracusa che è la Borgata possa risalire una certa china di trascuratezza, nemmeno tanto velata.

E forse sono proprio gli “stranieri” quelli che colgono meglio la vitalità e originalità di questi posti. Proprio in questi giorni la nostra amica Rosa, ormai tornata in Spagna, ha trovato il tempo di rimettere insieme i vari spezzoni realizzati nel corso della sua permanenza e ha preparato questo toccante video su santa Lucia…

Così i festeggiamenti viaggiano quest’anno a scartamento ridotto, senza tanto rumore e senza le adunate e gli assembramenti.

E’ un’occasione per recuperare certamente il senso migliore di queste tradizioni, ma a lungo andare è anche inevitabile che il protrarsi di questo limbo in cui la vita sembra rarefatta, renda più vuote le giornate.

Eppure qui a Siracusa non mancherebbero certo le occcasioni e i luoghi da centellinare con calma e con passione. Basta curiosare un po’ infilandosi di poco nelle strade laterali per scoprire vecchie latomie appena trasformate e nascoste (difficile immaginare un qualche riuso sociale, per il momento è importante che almeno non diventino discariche!). Lungo Via Terecati e nei pressi della Villa Reimann c’è solo l’imbarazzo della scelta.

E se poi si continua passeggiando in bici lungo il percorso del parco di Neapolis, anche solo sbirciando dalle inferriate, superato il monumento a Prometeo (che ho praticamente scoperto per caso, visto che si mimetizza perfettamente tra gli alberi…), ci si imbatte in monumenti vegetali davvero imponenti. Quel ficus che dal livello inferiore giunge a superare la strada sembra davvero un gigante incatenato e tenuto a malapena a bada. Scopro in seguito che ha persino un nome, Ficus delle Pagode, anche se per la gente è semplicemente l’albero secolare.

Per concludere, ormai siamo davvero vicini al Natale, nel nostro centro del CIAO l’albero e il presepe sono ormai pronti, tornando nella chiesa di s.Lucia riesco a cogliere il momento giusto in cui uno scorcio di sole illumina la stella. Non ci sarà folla, non ci saranno strepiti, ma il presepe è una presenza di speranza per tutti, anche questo così francescanamente naif (c’è persino un porcello tra gli animali, anche se i buoni ebrei mai avrebbero allevato un simile animale, licenza natalizi concessa 😉

Aver capito un’H

Aver capito un’H

Libro particolare quello che mi sono un po’ forzato a iniziare, leggere e concludere. Non adoro i gialli o le trame che mirano a scoprire qualcosa o qualcuno. Mi sono convinto a leggere il libro H, di Lidia Calvano una volta letto, tra le varie recensioni onnipresenti su Amzn, in base ai protagonisti, anzi, AL protagonista. Un giovanissimo portatore di quel tipo di handicap che non ci si augura mai di incontrare: il quasi totale isolamento sensoriale e quindi la difficilissima situazione comunicativa.

I genitori di H, soprattutto la madre, sono i veri protagonisti. Il racconto sembra un collage delle frasi, pensieri e riflessioni materne, che narrano la insolita storia. Un piccolo crimine di provincia, l’uccisione di una ragazza che per un lungo periodo era stata la tata di questo bambino, da accudire e seguire, stimolare sensorialmente e coccolare. Perché fin quando restano bambini le cose sono ancora tollerabili e meno complesse. Intorno a questo omicidio prende forma la vicenda del commissario incaricato di indagare su questa storia. Vari elementi che fanno pensare a un delitto di gelosia, tradimenti e sotterfugi. La coppia dei genitori traballa fin dagli inizi, per poi sfaldarsi rapidamente. La madre vive questa situazione come una evidente occasione di indipendenza e di maggior legame col figlio. Per un bel po’ di pagine ci si culla nell’idea del padre-amante che cerca di eliminare un personaggio scomodo.

Il finale, ovviamente, è un po’ diverso e più intrigante.

Ma ho apprezzato il testo non tanto per la vicenda o l’originalità (o forse nemmeno tanto originale, la vita ci sorprende ogni giorno con vicende insolite) quanto per l’attenzione e la capacità nel descrivere questo rapporto quasi simbiotico tra la madre e un figlio che non ha praticamente mezzi per relazionarsi.

Ho incontrato in alcune occasioni situazioni simili, provando l’impotenza e la difficoltà nel capire e ritenere sensate queste vite, apparentemente bloccata, quasi ridotte al solo livello vegetale, eppure in grado di entrare in relazione. Quanto è importante l’atteggiamento di chi si mette in rapporto con queste persone, più della gravità stessa dell’handicap presente.

Nel libro si avverte spesso il fatto che le conclusioni della madre più che dati oggettivi sembrano raccontare il suo desiderio di comprendere il figlio. Vivere a stretto contatto con una creatura che dispone solo del battito degli occhi per comunicare è sicuramente un’impresa, solo chi vi è abituato, giorno dopo giorno, riesce a comprendere la differenza tra un riflesso indesiderato e un tentativo di comunicazione. Interessante soprattutto per questa attenzione al dettaglio, all’incredibile capacità umana di superare le difficoltà più impervie, all’ostinazione di una madre. Anche quando la realtà sembra accanirsi e bloccare ogni possibilità di esprimersi, rimane una via di fuga, una speranza al comprendere, un senso alla vita.

Intorno alla grotta Monello

Intorno alla grotta Monello

Con un nome così sembra una cosa sbarazzina e senza impegni. Ma la grotta Monello è un vero gioiello di queste zone, i monti Iblei. Una grotta carsica in piena regola, con le sue stalattiti e stalagmiti, le concrezioni, le sale… ma difficile da visitare. Curiosando tra le zone interessanti, gli itinerari consigliati e con l’abitudine a perlustrare i dintorni, avevo trovato le indicazioni per questo posto, la curiosità ha fatto il resto. Ma era un po’ lontana per andarci in bici di pomeriggio, soprattutto adesso che le giornate si vanno accorciando. E allora meglio la macchina, una volta tanto, per cominciare a conoscere il territorio, ovviamente già visitato virtualmente prima con l’aiuto di Google Street.

Cercavo in effetti qualcosa di rupestre ed evidente, ma a parte le rocce che si stagliavano sullo sfondo, un po’ distanti, sembrava di essere in una normale zona di collina. Il centro visite è un po’ tentacolare, visto che ha diversi ingressi, un paio lungo la strada stretta (quello che ho scelto per primo), ma ne ha uno molto più spazioso e accogliente proprio alla conclusione della strada asfaltata; l’avevo confuso con il parcheggio dell’immancabile ristorante per eventi, mentre invece… sarebbe stato il posto giusto per lasciare la macchina.

Una domenica pomeriggio di metà novembre. Di altre persone in giro quasi nessuna, ad eccezione di una famigliola con bimbo esploratore al seguito. Da una casa vicina gli schiamazzi di qualche festa piuttosto affollata, decisamente poco “distanziata”. Cerco qualcosa di interessante lungo la strada, ritorno un po’ indietro sui miei passi dopo essermi inoltrato in un complesso apparentemente semi-abbandonato. Noto persino un campo da tennis già semi assediato dall’erba (pensavo fosse di un residence, invece fa proprio parte del centro espositivo…). Poi dalla strada vedo, seminascosto nei cespugli vicini, un cartello informativo. Strano scorgerlo quasi in mezzo alla macchia, senza un sentiero ben evidenziato. Ma… proviamo lo stesso.

Così abbandono l’asfalto ed inizio ad entrare nel selvatico. Subito si nota che il sentiero, anche se minimalista, c’è effettivamente. E il cartello è di quelli “seri”, con foto e mappe e indicazioni. Sono sulla strada giusta, e allora proseguo.

La cosa bella e che si avverte immediatamente è che la zona è abbastanza selvaggia e poco frequentata, anche se nel campo vicino i segni della techne sono fin troppo evidenti (con i sacchetti degli insetticidi hi-tech che purtroppo abbondano). Comincio così a seguire quello che sembra il corso asciutto di un torrente. Ad un certo punto una indicazione precisa: Moscasanti. E’ il vallone che delimita questa riserva, una forra naturale che ha la sua bellezza e il suo fascino.

Scoprirò più tardi che qualche tempo fa altri appassionati si sono dedicati a ripulirlo e renderlo più “naturale”, ed effettivamente l’impressione è molto positiva, solo qua e là si scorgono le inevitabili tracce della civiltà, ma sono quasi irrilevanti.

Mi infilo in questa forra, abbastanza facile da percorrere, vista la stagione asciutta, le piante in ritirata e il clima ancora tiepido; il sentiero è segnato dalle rocce calcaree, te le puoi quasi immaginare sommerse a tratti dall’acqua che deve essere impetuosa, quando le precipitazioni aumentano. Ma sono ormai diverse settimane che di pioggia non se ne sente nemmeno l’odore, qui nel siracusano. Sulla destra, ad un certo punto, si scorge una grotta (ce ne sono altre più in alto ma per oggi non è il caso), e facilmente si raggiunge. Qualche manufatto in cemento (vaschette?) e pareti selvagge, non speri certo di trovare ossa di cervi e daini, ma il luogo è davvero suggestivo.

Poi si prosegue, salita molto moderata, fino ad un cartello che invita a non proseguire per il rischio di crolli. Dai massi che si notano sul sentiero si capisce che non è una precauzione da prendere alla leggera. E poi il tempo scorre ed è ora di tornare.

Giusto in tempo per scoprire che l’ingresso della grotta Monello è proprio a due passi da quel campo di tennis in cemento (orribile accostamento); una scaletta di pochi gradini che entra nelle viscere per pochi metri. Poi un portone metallico ovviamente ben sbarrato. Per lo meno uno conosce il posto. Non mi metto nemmeno a cercare l’ortica endemica di queste zone, anche se ha una caratteristica gradevole: non punge 🙂

E ovviamente queste sono le immagini della breve passeggiata (quasi un km), in questo luogo selvaggio ed aspro e forte: la Riserva della grotta Monello.

Per farsi un’idea completa di questa zona è utilissimo consultare le pagine e i link dell’ente gestore, il Cutgana, che a dispetto del nome quasi impronunciabile offre una notevole quantità di materiali e approfondimenti (è pur sempre un’emanazione dell’Università di Catania).