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Una mattinata in “famiglia”

Una mattinata in “famiglia”

Sabato mattina, di questi tempi, tra lockdown più o meno soft, ritrovarsi in tanti, tutti insieme, potrebbe essere più un rischio che una opportunità. Ma ormai ci siamo abituati, il vocabolario cambia e “incontrarsi” significa, sempre più spesso, vedersi in videoconferenza…

Il buon Mimmo, compagno di tanti anni di attività in quel di Giugliano, senza nemmeno troppe difficoltà mi aveva ingaggiato per intervenire durante questo incontro. Gli servivano un paio di fratelli maristi per raccontare la propria esperienza “vocazionale”. Lui sa bene che non valgo un granché come piazzista. Mi fido abbastanza della Provvidenza e della vita da pensare che la soluzione finale per problemi che forse non lo sono… non è quasi mai nelle nostre mani.

Lo diceva bene Onorino, l’altro marista incaricato di raccontare un po’ la sua esperienza. Se i maristi sono “spuntati” dal cilindro della storia nel momento giusto, non è il caso di fermarsi e lamentarsi che le cose sono cambiate e che la storia possa chiedere altro. Siamo sicuri che se questa missione è ancora preziosa, qualcosa continuerà…
Vorrà pur dire qualcosa se, quando i maristi erano quasi 10mila con 3/400mila alunni sparsi per il mondo, adesso che i maristi sono poco più di 2000, grazie ai tanti laici che si sono rimboccate le maniche, le persone e gli alunni raggiunti da questo carisma sono più che raddoppiati…

Nella mattinata, dopo aver condiviso un po’ di queste esperienze (dimenticavo, anche il buon Domenico da Giugliano ci ha regalato stralci della sua esperienza come fratello), ci si è divisi in piccoli gruppetti, 5-6 persone per dialogare un po’ insieme. E tra le altre cose ho anche scoperto come modificare lo sfondo con Teams… 🙂 per l’occasione avevo scelto proprio questo, in fin dei conti non siamo a Siracusa solo per “vacanza”!

All’inizio non avevo idea di quante persone fossero collegate tutte insieme (non avevo nemmeno idea che ci fosse anche mio fratello Massimo e la comunità di Genova quasi al completo…). Poco importa, è stato poi molto piacevole dialogare e chiacchierare un po’ con gli amici ben conosciuti (io ero con Angelica, Sabatino, Rosa, Lello e il nuovo prof. di musica di Giugliano, l’unico che non conoscevo …ancora).

Insomma, invece di maledire il buio è sempre meglio accendere una candela.
Anche se si chiama webcam.

Verso la latomia del Filosofo

Verso la latomia del Filosofo

Sapevo che erano vicino alle mura dionigiane, andando verso il castello Eurialo (che è ancora chiuso…). Questa volta ho cercato di giungere il più vicino possibile, sperando che ci fosse una strada decente per arrivare nei pressi di queste cave. Avevo trovato qualche indicazione su alcune pagine locali, in particolare queste:

Pomeriggio tiepido di novembre, temperatura ideale e gradevole. A dire il vero volevo esplorare un po’ dialtre zone, ma poi mi sono accorto che non ci sono collegamenti tra la zona di Epipolo e quella sottostante, così, pedala pedala, sono tornato presso le mura Dionigiane.

Dal mio punto di partenza, come sempre dal centro CIAO, ci sono circa 8 km. Lascio la bicicletta vicino alla strada, legata al cancello dell’ultimo edificio sicuro e inizio ad erpicarmi in piena campagna.

E non si tratta di campagna morbida, qui è tutto calcare, rocce e rocce, molte delle quali belle aguzze e nascoste dagli ampi ciuffi di erbe e cespugli. Che poi le piante spinose si siano date tutte convegno da queste parti, mi sembra ovvio, potrei fare il censimento, contando i graffi e le imprecazioni…

Comunque si cammina una decina di minuti, dopo aver scavalcato (o meglio, passato sotto) al filo che sembra ricordare una recinzione elettrica del terreno, per evitare sicuramente che qualche mucca più intraprendente non prenda la via della strada asfaltata…. E’ necessario guardare la mappa sul GPS per non andarsi ad infilare chissà dove. Il castello Eurialo non si scorge proprio, eppure si trova qui vicinissimo, ma non è in una posizione così evidente, per chi si trova a poca distanza dalle sue mura. Finalmente arrivo dalla parte sud della cava.

Si vede subito che non è un luogo molto frequentato, per fortuna non si trovano residuati incivili di civiltà, il luogo sembra proprio selvaggio, come ai tempi antichi della costruzione delle mura e dello sfruttamento delle cave.

La voragine non è così spettacolare come altre, forse perché dall’alto l’effetto schiacciamento è prevalente. Si nota sul fondo una tettoia arrugginita vicino a uno dei muraglioni intagliati, alberi e abbandono selvatico. Niente male per chi sa apprezzare esta selva selvaggia e aspra e forte… Rimane un po’ di tempo per la contemplazione, assaporare lo spazio, il mare sullo sfondo (compresi i terminal petroliferi di Priolo, un po’ meno poetici, ma ci sono anche loro). Guardando il mare da quassù si ha tanto l’impressione di una costa molto articolata, non proprio di fiordi ma con tante insenature.

La storia che ha dato il nome a queste Latomie parla di uno spirito libero e coraggioso, il filosofo Filosseno che non aveva paura di dire al tiranno che le sue poesie gli facevano proprio schifo. Viene mandato qui in prigione una prima volta, decorsi i termini riprende la vita normale, ma … un giorno incappa nuovamente nella proclamazione di altre poesie del tiranno. Questa volta è lui che scelte di autoimprigionarsi nuovamente nelle cave, per non sentire di nuovo queste scempiaggini. Sarà addirittura il Tiranno Dionigi, colpito da tanta determinazione e coraggio, a liberarlo dai lavori forzati. Come poeta uno strazio, ma come leader abbastanza pragmatico e apprezzabile. E’ la parola “tiranno” che ormai si è logorata…

Ma ormai siamo quasi vicini al tramonto, non ho portato le luci per la bici e diventa saggio tornare a casa. Riprendo la strada, slalom tra spine, cespugli e qualche ricordino di mucca (chi l’avrebbe mai detto che le mucche sono uno degli elementi ricorrenti della campagna siracusana!), facendo attenzione agli inciampi e al sentiero che bisogna inventarsi, passo di nuovo sotto il filo della recinzione elettrica e torno sulla strada e via, verso il ritorno.

E questa volta poche foto del luogo, ma ci sono – Latomia del Filosofo

Gira la ruota dell’Arcolaio

Gira la ruota dell’Arcolaio

Nomi antichi per storie e progetti recenti. Sapevo che prima o poi sarei andato a dare un’occhiata a questa attività di cui mi aveva parlato Giorgio, un amico anche lui “poco siciliano” conosciuto presso la parrocchia di s.Martino, in Ortigia.

L’Arcolaio è una società cooperativa sociale impegnata soprattutto per “favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti attraverso la gestione di un’attività produttiva all’interno del carcere di Siracusa di cui cura e avvia lo sviluppo commerciale.” Ma un conto sono le descrizioni e un altro è toccare con mano come funziona concretamente questa cosa. Domenica 1 novembre abbiamo fatto proprio questo.

E così, complice don Salvo (che tra le altre cose e non a tempo perso è il parroco di s. Martino) e i contatti ormai frequenti con gli scout del Clan Siracusa 1, ecco che ho accettato l’invito per domenica, festa di tutti i santi, della serie: tutti convocati, anche se questo invito comportava una levataccia e un appuntamento opertivo alle 7:30. Che sicuramente nelle prossime edizioni saranno molto “trattabili”, visto il numero di famiglie con bambini che poi hanno partecipato. Dopo il classico raduno al meeting point (mi sembra ormai un classico, il distributore Q8 alla fine di v.Paolo Orsi) ci siamo diretti verso Canicattini Bagni. Lungo il tragitto con don Salvo scopro che l’invito non è semplicemente un “vedere”, sarà molto concreto, si tratta infatti di raccogliere … foglie di salvia dalla coltivazione di piante aromatiche della cooperativa. Insieme agli scout ci saranno anche famiglie, con bimbi piccoli, disposte ad iniziare un cammino sul tema della Laudato Sii. Insomma, un invito a nozze, per i miei gusti…

Gruppo bello e molto eterogeneo, dalla coppia vegana ultraconvinta ai ragazzi del clan, famiglie con cuccioli di bambino effervescenti ed esploratori, … Poco dopo le 9 Giorgio ci ha radunati nella piana di coltivazione delle erbe (l’intero terreno è di 13 ettari, proprietà della diocesi di Siracusa, in comodato alla cooperativa), davanti ai lunghi filari di rosmarino, salvia e origano che riempivano l’appezzamento.
Se rinasco ape mi stabilisco qui, dopo aver visto la bella parata di alveari sulla collina, in posizione strategica.

Lavoro semplice ma da certosini, raccogliere le foglie più belle, sane e grandi di quei lunghi filari, per aiutare la produzione dell’Arcolaio in vista delle prossime festività natalizie. Così abbiamo cominciato, con calma serena, sotto un sole splendido, quasi estivo. Ciascuno nella sua porzione di filare, ma alla ricerca del tratto più bello e lussureggiante (e qualche zona era più felice, come Giorgio ci spiegava, perché d’estate c’era una perdita nel tubo dell’acqua pertanto in quella zona le piante non avevano sofferto troppa siccità). Persino i bambini si davano da fare per cogliere le foglie, fare a gara su chi trovava la più bella… Tra una battuta su chi doveva “vuotare il sacco” e su chi cercava di defilarsi elegantemente per avviare campagne anticrittogamiche in stile bio, dopo un paio di ore di lavoro, prima che diventasse noioso o un po’ pesante, abbiamo concluso il nostro intervento.

Ci siamo allora radunati sotto il carrubo all’ingresso e qui abbiamo distillato un po’ il succo della nostra presenza. Giorgio ha introdotto Max, uno dei soci della cooperativa, originario dell’Ucraina, che ci ha raccontato la sua storia, anzi, ha condiviso la sua esperienza, come ex-carcerato con una forte voglia di riscatto. Il “prima” ci interessava poco, non serve a molto sapere perché sei finito dentro, ma lui ci ha fatto capire molto rapidamente che quel “dentro” è proprio tutto un altro mondo, con il quale non è sempre facile fare i conti. Ci ha detto dei primi passi della cooperativa, dell’opportunità offerta alle persone, della proposta di partecipare, lavorare, dare un senso per un futuro di reinserimento. Adesso lui è uno degli operatori principali, socio della cooperativa e senza troppi commenti ci ha mostrato come sia possibile che cambiare non solo si può, ma è alla portata di tanti.

Abbiamo assaggiato alcuni dei prodotti dell’Arcolaio, fatti con pasta di mandorle, ripensando alla curiosità di Max che nei primi tempi del suo lavoro si chiedeva quale animale fosse quello che produceva il famoso “latte di mandorle“, visto che le mucche, l’asina e le pecore le conosceva, ma non aveva mai visto pascolare un mandorlo (e chissà come andrebbe munto! :-). E dopo la condivisione, abbiamo mangiato i nostri panini e poi spezzato il pane dell’Eucarestia, visto che don Salvo non era venuto solo per il bieco gusto di raccogliere un po’ di foglie profumate.

L’idea di mettere in evidenza un rapporto sereno, concreto e comunitario con la nostra sorella e madre terra era fin troppo facile da evocare in quei momenti. Comunque importante. Laudato sii per sora salvia.

Nel primo pomeriggio ci siamo salutati e abbiamo ripreso la via del ritorno; in serata nella chat di Whatsapp si sono ammucchiate rapide le tante foto del giorno, comprese la visita al laboratorio dove i nostri 12 kg di foglie di salvia (questo per la cronaca), staranno ancora adesso ad essiccare, in tempo per la preparazione e commercializzazione.

E se qualcuno ha già in mente qualche possibile sorpresa o regalo per Natale, mi piace ricordare l’invito di Giorgio a considerare anche le “dolci evasioni” proposte dall’Arcolaio; ovvio, serve anche il marketing, ma è nella concretezza delle cose; credo che qui il valore aggiunto sia evidente.

E queste sono le foto (mi limito alle mie) di questa bella domenica presso l’Arcolaio

Tesori nascosti…

Tesori nascosti…

C’ero già passato vicino in bici. Poco lontano dall’Anagrafe, un luogo che ultimamente stiamo frequentando molto per sistemare i documenti dei nostri amici che frequentano il CIAO.

Così mercoledì mattina, approfittando della piccola coda che si era format proprio davanti all’ufficio per le carte d’identità, ho portato il piccolo Yossef, anche lui in attesa, a fare un giretto. Prima al parchetto vicino alla chiesa di San Giovanni. Poi ci siamo spinti nella via che già dal nome prometteva qualcosa di speciale: Latomia del Casale, recitava il cartello. E siamo arrivati fino all’ingresso, che immaginavo chiuso e ben controllato… invece… invece. Il cancello era aperto così stavamo quasi per sbirciare l’interno ma… suona il telefono e ci chiamano all’ufficio perché adesso tocca a noi.

Ma l’acquolina in bocca era rimasta, così, nel primo pomeriggio, bici e via, per vedere se l’ingresso era ancora accessibile. Forse era proprio il giorno fortunato, trovo ancora aperto e con calma provo a dare un’occhiata, un lungo viale scavato in parte nella roccia, con un palazzo al fianco e giungo fino ad una sorta di piazzale. A destra un prato ben curato, qualche pianta e un panorama che finora avevo visto solo presso il parco Neapolis, vicino al teatro Greco. Rocce a picco, scavate, ingressi maestosi, cave dall’aspetto solenne. Non pensavo di trovare qualcosa del genere. Ma si sa, sono ancora un neofita di Siracusa 🙂

Ormai ci sono e allora azzardo qualche passo in più e scopro… il giardiniere che stava sistemando i mandarini. Ma per fortuna era un giardiniere cordiale e disponibile. Non solo mi ha lasciato dare un’occhiata, ma in pratica mi ha fatto rapidamente da guida. Attualmente questo luogo è praticamente chiuso, date le restrizioni non si sono più registrati eventi da tempo (ma su FB e in rete se ne possono trovare tante testimonianze).

Prima mi ha mostrato l’imponente salone, attualmente allagato per un problema idrico; mi ha spiegato che tutto l’ambiente viene di solito utilizzato come location per feste, matrimoni, sfilate… e mi ha indicato i vari ambienti che vengono utilizzati.

Uno sguardo al cielo e si resta affascinati, per l’effetto scenografico che si percepisce. I saloni sono enormi e altissimi, le pareti quasi levigate, l’effetto assicurato.

Ma non è finita, mi conduce poi attraverso un passaggio interamente scavato nella roccia, un tunnel di una decina di metri e mi ritrovo in un’altra cava, questa volta più selvaggia e ricoperta di verde, persino ciuffi di papiro (ma quello “domestico”, non quello siracusano). Un tempo c’erano persino gli animali al pascolo, mi dice il custode. E d’estate quel cunicolo nella roccia è una delizia, il luogo giusto dove riposare al fresco.

Non voglio abusare della cortesia e mi avvio verso l’uscita. Lungo il viale un carretto siciliano tipico, con le pareti disegnate e i classici personaggi dei racconti epici e medievali. In una location come questa un complemento d’arredo del genere, sicuramente un po’ dozzinale, fa comunque la sua bella figura.

Poi vedo un banano imponente, con i frutti già grandini. Ovviamente gli chiedo se qui giungono davvero a maturazione e lui mi conferma tranquillamente di averle mangiate…

Finisco la visita, altre due foto e poi a casa. Con un tesoro in più da sistemare nell’album dei tesori di questa straordinaria città.

E naturalmente qui potete vedere anche le altre foto sulle latomie del Casale in questo album.

Metti a posto la biblioteca!

Metti a posto la biblioteca!

Me lo dico sempre quando ripenso a come era conciato il tavolo, libri sparpagliati dappertutto, aperti, ammucchiati, in equilibrio precario, sugli scaffali un disordine epico, sui ripiani un tentativo frettoloso di classificazione, sghembo e provvisorio, volumi a mo’ di colonna per contribuire al precario equilibrio, ai piedi vari sacchetti da cui tentavano furtivamente di evadere altri volumi… ma per fortuna questa non era la mia biblioteca. Se non sbaglio l’avevo fotografata negli anni 90, una delle poche foto che ho salvato dagli svariati traslochi e se non vado male era una vecchia biblioteca di Triora. Borges ne sarebbe andato fiero e Adso da Meck l’avrebbe apprezzata.

E come al solito devo dire grazie all’AI di google che mi permette di cercare “biblioteca” tra le mie foto e mi restituisce subito una sfilza di immagini coerenti, a partire dall’ultima in cui mi sono imbattuto, la biblio-pub di Portalba a Napoli… ma passando per tutte le scuole e gli sfondi farciti di libri.

Ma un po’ di ordine sto cercando di metterlo ugualmente, in quella che ormai è la mia biblioteca errante, in formato digitale, grazie a Kindle e a Calibre (mai fidarsi di un solo repository, soprattutto quando sai che i libri che compri tramite il kindle non sono del tutto veramente “tuoi”, è come se fossero “in prestito”…uno augura lunga vita a Bezos e ad Amazon, ma di questi tempi, non si sa mai, io ho cominciato ad usare i fogli elettronici quando il top di serie si chiamava Lotus 123….!. Calibre è ormai diventato il mio deposito di sicurezza per tutto ciò che considero libro.

Ho iniziato a prendere e utilizzare sul serio libri in digitale dal 2012 anche se il mio primo esperimento di lettura in total digital risale a molto prima; collaboravo con l’ITD-CNR di Genova e curavo la sezione del BBS relativo ai sussidi per l’handicap e in fin dei conti per la didattica alternativa. Avevo iniziato a collezionare le prime raccolte di libri in formato elettronico. L’unico formato disponibile era il semplicissimo *.txt. Il PDF era ancora nel cassetto dei progetti futuri di Adobe. Per forza, eravamo alla fine degli anni ’80! Avevo scandagliato e raccolto un certo numero di file di libri disponibili in rete. Ma quando dico “rete” mi riferisco solo a Usenet, le reti universitarie, i pochi depositi di file accessibili solo tramite FTP e i primi tentativi di bulletin board system, i BBS. Proprio per questo ne avevamo allestito all’ITD uno con questa finalità, rendere disponibile ai primi appassionati di telematica (che stavano iniziando a spuntare) materiali e risorse per il campo dell’insegnamento, della scuola, dell’handicap come semplicemente si diceva allora. E i libri servivano soprattutto per gli alunni e le persone con disabilità visiva e l’UIC non aveva ancora realizzato la sua banca dati di libri elettronici pronti per la lettura e l’ascolto; lo scanner era ancora un oggetto misterioso e difficile da interfacciare…

Ma in molti mi dicevano: “Figurati se qualcuno si metterà mai a leggere un libro sullo schermo; è fastidioso, con quei caratteri traballanti, i medici sconsigliano persino questa soluzione…. lascia perdere”. Era abbastanza vero, a metà degli anni 80 gli strumenti erano ancora molto poveri e frustranti. Solo lo schermo dei primi MAC dava quel senso di stabilità e chiarezza necessari. Ma le cose cambiavano in fretta. Ottenuto il mio primo schermo CRT a fosfori ambrati e stabilizzati, ho provato (quasi una sfida) a leggere un libro intero su schermo, per vedere se…

Che libro era? Pippi Calzelunghe, di Astrid Lindgren. Forse per colpa del ritornello che ancora portavo in testa (la versione tv faceva parte delle vette culturali della mia infanzia!), anche se solo adesso scopro che gli autori della canzone erano un certo Claudio Baglioni e Riccardo Cocciante!!!

Chissà se ho ancora in qualche backup il testo dei file del mio antico BBS :-), comunque ricordo che l’impresa portò via diverse ore, ritagliate tra gli impegni universitari e di ricerca. Ma tutto sommato funzionò abbastanza, per fortificare un’abitudine o una mania che ancora mi porto dietro: si può rinunciare un po’ alla carta ma non al testo.

Il passo definitivo è stato proprio con il Kindle, quando mi è sembrato uno strumento ormai fattibile e accessibile. Ero stufo di provare i nuovi e mirabolanti ritrovati della tecnica (ricordo un vecchio lettore MP3, formidabile e carino, ma dopo pochi mesi sul mercato già era praticamente senza futuro, senza possibilità di espansione, senza altri sbocchi, bloccato nei suoi pochi 128 MB di archiviazione, in pratica un paio di CD e poco più… vaga ancora come fantasma in qualche mio vecchio scatolone).

Ma il Kindle mi sembrava abbastanza maturo. Lo conservo ancora, ed è ancora utilizzabile, con il suo schermo a e-ink, che si muove un po’ goffamente e quando disegna un logo o un’immagine sembra pioggia sul parabrezza…. E così dal 2012 ho iniziato a prendere ed acquistare solo libri in formato elettronico, tranne rare eccezioni. Unica concessione: sotto Natale regalavo sempre alle mie maestre o ai miei prof un libro “di carta”… un regalo da consumare con calma. Ma che prima avevo trovato e letto in e-book.

E adesso mi sono deciso a fare almeno una copia di sicurezza dei libri che negli anni si sono accumulati sul mio account. All’inizio pensavo di prenderne non più di una dozzina all’anno, insomma, il quantitativo tipico di un lettore medio basso che ha poco tempo, come nel mio caso. Poi mi sono lasciato invischiare dalle “offerte lampo” che spesso arrivano da Amazon, dai suggerimenti e spesso dalla necessità di poter utilizzare al meglio un testo e ora mi ritrovo che nel corso di un anno i libri acquistati superano largamente il centinaio… E dopo 8 anni di letture matte e disperate (più che altro disordinate), il totale supera largamente il migliaio.

E poi, fa anche bella figura seguire la logica di catalogazione del Kindle, è bello, ad esempio, sapere che per lui la Bibbia non accetta dubbi, l’ha scritta proprio Lui, in persona 🙂

Naturalmente non li ho mica letti tutti, qualcuno è in elenco giusto per sindrome da click compulsivo, di altri ho letto solo il colophon o poche pagine, di qualcuno solo i passi necessari e interessanti.

Ma intanto sono lì, su questi scaffali, che un tempo erano hard-disk, poi pen-drive, ora SSD, ma anche Cloud, domani chissà, in attesa dei qbit quantistici. Ora cerco di sistemarlo per “togliere la polvere”.

Con Calibre riporto “a casa” tutti i libri acquistati, con l’utilissima possibilità di convertirli nei formati necessari, ad esempio per “prestarli agli amici”, una delle cose più utili dei libri (e questo Kindle invece non solo lo scoraggia, ma… praticamente lo vieta).

Giusto per curiosità ecco cosa è saltato fuori chiedendo a Google Photo di selezionarmi le foto con “biblioteca”... interessante rivedere il mio amico Giorgio Diamanti, grande esperto di Rodari, o il Sindaco di Giugliano, qualche presentazione di libri…qualche vecchio scaffale.