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Scarpinando nella valle del Palanfré

Scarpinando nella valle del Palanfré

13 agosto, sveglia tranquilla, ma con l’aria fresca di Entracque che ti avvolge. Sono venuto fin qui insieme a mio fratello Massimo e a Roby, il cugino con la passione della montagna. Combinata insolita, tra l’altro, visto che 3 fratelli maristi così imparentati pronti a scarpinare nel Parco delle Alpi Marittime è difficile da scovare altrove…

Dentro Vernante; una volta in paese, segui le indicazioni per Palanfrè / Valle Grande. Troverai un bivio con la SP278: imboccalo verso destra. Inizia la salita verso Palanfrè. La strada si inerpica con curve e tornanti, attraversando boschi molto suggestivi. Bisogna percorrere circa 8 km di salita panoramica. Alla fine si arriva a Palanfrè, un piccolo borgo a 1379 m s.l.m., all’ingresso del Parco Naturale delle Alpi Marittime.

Ok, pagato il tributo all’AI torniamo a noi 🙂 le casette di Palanfrè sono davvero un esempio di resilienza e rinascita interessante; prima del 2000 praticamente qui non ci viveva più nessuno (penso ad Esterate, vicino ad Entracque e chissà quanti altri Tetti in condizioni simili. Poi c’è stata una positiva inversione di tendenza, dallo spopolamento delle Alpi alla riscoperta. Quando parcheggiamo qualcuno ci chiede informazioni, poi ci spiega che è venuto qui solo per … mangiare come Dio comanda, da buon piemontese, nel ristorantino che sicuramente è il richiamo più evidente di questa località, montagne a parte!

Noi, stoicamente, iniziamo la nostra camminata, all’ombra di una faggeta imponente (se non sbaglio si chiama La Bandita, per un motivo interessante, secoli fa la zona era colpita di frequente da valanghe di neve e quindi venne vietato il taglio degli alberi, che adesso annoverano esemplari con più di 300 anni). Salendo (e si sale!) al faggio seguono fusti meno imponenti, altre essenze e poi, rapidamente, superando i 1600/1800 ci si accompagna solo con i cespugli di ginepro e poco altro. In sottofondo, per tutta la vallata, i campanacci delle vacche che prima o poi incontreremo vicino alla malga. E si continua a salire. Io sono decisamente fuori allenamento e apprezzo ogni passo, sapendo che il ritorno sarà anche peggio, tra l’altro sono venuto con un bagaglio molto leggero da Melilla e anche le scarpe sono più adatte alle passeggiate sul lungomare che alla montagna. Pazienza, ci vuole solo un po’ di attenzione in più.

Come da cartello del CAI in circa 2 ore arriviamo finalmente al lago inferiore del Frisson. Siamo in buona compagnia, e l’atmosfera è davvero invitante. Che facciamo, ci puó stare un bel bagnetto a quota 2050? Ma sì, proviamo, al massimo si entra e si schizza fuori veloci. E invece, invece no, una volta entrati con Roby ci accorgiamo che l’acqua non è poi così gelida e pericolosa. Anzi, non dico che ci si resta volentieri dentro, ma non si battono i denti, non si brivideggia (!!!). Altro che se il cambio climatico ci sta toccando da vicino! Solo pochi anni fa non mi azzardavo a tuffarmi nel Vei del Bouc o se mi bagnavo sotto la cascata di S.Lucia era solo per frazioni di centesimo di secondo…

La riflessione rimane, ma ci attovagliamo vicino al lago per mangiare il nostro pranzo al sacco. Poi dalla montagna si iniziano a sentire un po’ di brontolii, tuoni in lontananza. E facciamo l’unica cosa saggia che ci viene in mente: rapidamente riprendiamo la via del ritorno, tra cespugi, mucche al pascolo, fiori in bella vista, profumi di ginepro, fischi di marmotte…

Stendo un velo pietoso sulla discesa perchê data la mia attrezzatura non è stata particolarmente agevole, il sentiero era ben segnato, ma certamente non era tutto moquette e praticello. Sul finire della discesa anche un camoscio ci mostra sentieri alternativi, ma ormai siamo quasi in dirittura finale; per quasi metà percorso siamo all’ombra e questo è già un bel regalo.

Torniamo alla macchina e poi a casa, in tempi ancora ragionevoli, a metá pomeriggio.
Con gli occhi pieni di montagna, lago e nuvole.

Per le indicazioni tecniche, la rete è piena di suggerimenti: come su Wikiloc – o sul sito delle Alpi Cuneesi

E come sempre, ecco -il mio album fotografico sulla gita al Palanfrè

Gironzolando…

Gironzolando…

Nell’esperienza di formazione del progetto Lavalla200 grande importanza viene data alla “costruzione” di comunità interculturali. Nel nostro caso è decisamente facile, visto che il gruppo è formato da 7 persone tutte ampiamente “lontane” gli uni dagli altri. Si deve per forza fare di necessità virtù. E così per favorire una maggior conoscenza, uno stile di vita più familiare, anche le uscite, le escursioni e le gite hanno il loro peso. Per questo il mercoledì pomeriggio viene solitamente lasciato libero per simili attività e poi il week-end. E anche le 2 piccole comunità si possono gestire in modo molto flessibile, mescolandosi, unendosi, formando gruppetti alternativi.
Alcuni tra i momenti più significativi sono stati proprio i viaggi di esplorazione del territorio di questa settimana. Un gruppetto è andato a visitare Viterbo, un altro ha scelto come meta il castello di Bracciano e Anguillara e poi nel fine settimana ci siamo uniti tutti quanti per una visita in quel di … Giugliano. E senza dimenticare la festa di Canale Monterano, con i suoi concerti, come quello di venerdì sera. Ma andiamo con ordine.

Il castello di Bracciano – il fascino di questa residenza è innegabile. Uno si immagina subito i fossati pieni di acqua, i cavalieri all’assalto, le damigelle da liberare dalle segrete del castello… A dire il vero le cose sono un po’ diverse, ma gli ambienti, l’architettura, le stanze, gli scorci del lago dalle finestre incassate nelle larghe mura sono comunque uno spettacolo.

Eravamo in 4 a visitare il castello, io, Luis Obrado, il nostro bravissimo traduttore, Cesar e padre Thony che in questa prima settimana ci ha presentato il tema sulle “comunità interculturali”. Da bravi “turisti” siamo persino riusciti ad avere una guida madrelingua inglese e così ci siamo avventurati per i saloni dello splendido castello. A dire il vero non ci si accorge nemmeno che gli oggetti, i mobili, persino molti dei quadri non sono quelli originali. La storia del castello è stata ovviamente abbastanza tormentata e quando i padroni originali, la famiglia Odescalchi, sono tornati in possesso del maniero, lo hanno ritrovato praticamente vuoto, così hanno dovuto allestire gli interni collezionando oggetti da antiquari e altri luoghi.

L’effetto rimane comunque notevole e ci si aggira tra le sale immaginando le presenze, le frotte di cavalieri dame paggi nobili prelati maggiordomi… e quando poi si arriva nella stanza di Isabella si legge che “a volte ospitava amanti per una notte e li faceva uscire da una porticina secondaria, poi nel corridoio si apriva una botola e il corpo precipitava per vari metri, numerose lame laceravano il corpo che cadeva in un pozzo di calce viva che completava il lavoro e del malcapitato non si trovava più traccia”.

E dopo il castello ci siamo diretti verso Anguillara, un borgo delizioso con una vista magnifica sul lago, stradine che si arrampicano tra le case, scorci suggestivi, una spiaggia ben affollata e un panorama da cartolina estiva.

Prima del week-end finale abbiamo approfittato della festa di Canale, il classico palio delle contrade, quasi a conclusione dei festeggiamenti era previsto il concerto di Enrico Ruggeri. Strano vederlo in cartellone da queste parti, così ho convinto il gruppo a dare almeno un’occhiata, tanto per vedere una festa tipicamente locale con qualche innesto più originale. Per qualcuno del gruppo è stato praticamente il primo concerto dal vivo, con spettacolo completo di luci, fumi, laser, bassi che ti struggono in profondità e folla che ondeggia a ritmo. Niente male, davvero; il primo gruppo ha resistito una mezz’oretta, mentre con gli altri ci siamo goduti un po’ di più lo spettacolo, ma senza fare troppo tardi, visto che la mattina del sabato ci attendeva il lungo viaggio verso Napoli e dintorni…