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Non di soli social

Non di soli social

Ogni tanto è saggio soffermarsi sulla cornice delle cose. Dedicare tempo e passione ai contenuti è fondamentale, ma senza dimenticare che spesso è il contesto a garantire la comunicazione e la visibilità.

Seguo il web da quando è nato, almeno qui in Italia, ed ho sempre cercato di mantenere uno sguardo attento a tutte le dinamiche comunicative che si appoggiano alle ormai tante strutture e metastrutture realizzate mediante internet. Da quando la parola stessa, internet, non era ancora ben definita ed era anzi persino fluida e poco stabile. Ma le disquisizioni di gender non erano ancora argomento dibattuto a quei tempi.

Oggi i paradigmi della comunicazione si concentrano in modo evidente sui social, alcuni strumenti della rete si sono ampiamente evoluti e altri hanno subito modifiche notevoli. Un tempo sul cellulare si amavano alla follia gli SMS, oggi retaggio quasi esclusivo delle notifiche OTP; un tempo l’account Gmail era una sorta di consociazione carbonara, a cui si poteva accedere solo mediante inviti ricevuti da altri fortunati.

Alcuni social hanno vissuto un’esplosione incredibile, Facebook in primo luogo, tanto che sembra quasi un azzardo affermare che “non sono su FB” oppure che “mi interessa poco”. La sua facilità d’uso e la pervasività dei messaggi che ne sostengono la stessa struttura sono ben evidenti. Perché come diceva (probabilmente) Kafka, “un cretino è un cretino, due cretini sono due cretini, ma diecimila cretini sono un partito politico”. E su FB i numeri degli iscritti (partecipanti?) superano i 2 miliardi. Ma preferisco tenere nel mio piccolo orticello queste considerazioni, prima di regalarle (o relegarle?) al grande pentolone dei media mainstream.

Ed è curioso che ancora oggi, se svolgo una ricerca testuale tra le mie foto, se scrivo semplicemente web mi si piazzano in pole-position le tante ragnatele che, rarefatte, compaioni nei miei album di foto 🙂

Oggi sembra normale utilizzare FB come vetrina indispensabile per le numerose anteprime che si svolgono, bacheca generale per raggiungere un pubblico ben più vasto. Quando parliamo dei nostri “amici” molto spesso diamo per scontato che corrispondano almeno in parte ai nostri contatti su FB. Ma davvero riusciamo a considerare amici le centinaia di persone che ci hanno chiesto “l’amicizia”?

Qualcosa di analogo lo vediamo replicarsi su Instagram (che è sempre di Meta, il grande ombrello sotto il quale gravita FB). E forse, fino a qualche tempo fa, si poteva dire lo stesso di Twitter, mentre ora stiamo assistendo al rapido suicidio di una piattaforma diffusissima e snella; da quando ha cambiato nome e strategia si assiste ad un discreto guazzabuglio di opinioni e conseguenze. Durerà? Potrebbe chiudere? Che fine faranno tutti i contenuti e le energie dispiegate su questo strumento negli anni passati? Dove finirà la conoscenza versata come olocausto a questi media?

Ma i tempi cambiano, e gli anni, effettivamente, stanno passando e le cose cambiano così in fretta nel mondo di Internet da rendere quasi difficile la stratificazione dei comportamenti, degli strumenti e dei modelli in un immaginario collettivo chiaro e condiviso. Sembra quasi che quanto abbiamo appreso agli inizi sia ormai non solo superato, ma inutile, quasi dannoso. Sapendo che tutto cambia velocemente sembra quasi inutile conservare memoria delle pratiche ormai superate o in via di trasformazione.

Per noi che abbiamo vissuto questa epoca di guado, dall’analogico al digitale, dalla macchina da scrivere al PC, dai post-it a Chat-GPT il percorso sembra se non chiaro almeno evidente. Per chi arriva invece oggi che senso potrebbe avere dedicare tempo a questa archeologia post-industriale?

Di solito scrivo queste cose per rifletterci con più calma, senza nessuno scopo pubblico; in un certo senso ho già dato, nei diversi anni in cui pubblicavo periodicamente riflessioni e brevi pezzi sul ruolo di Internet nel nostro mutevole mondo, ma ho trovato interessante notare che se scrivevo qualche post su questo piccolo ed insignificante blog, il traffico generato era decisamente ridicolo: un paio di accaniti lettori, più amici che lettori, e poco più.

Ultimamente ho provato a segnalare la scrittura di un post su FB e dopo nemmeno una giornata, l’effetto leva era più che evidente. I 5 lettori di manzoniana memoria si moltiplicavano per 10, se non per 20. Insomma, è la grancassa che spesso serve per alzare il volume delle informazioni. Anche queste righe, le ho pubblicate la mattina del 12 settembre e alla mattina dopo le visualizzazioni erano… solo 2 (devo avere un fratello molto attento e fedele ;-). Il giorno dopo ho messo un post su FB e la sera del 13 le visualizzazioni erano: 44. Evidentemente qualcosa è cambiato…
Mi viene quasi da pensare alla burla operata in Belgio pochi giorni fa, in occasione di un prestigioso premio vinicolo, avevano travasato un tavernello qualsiasi (che comunque è più dignitoso di tanti altri vini sedicenti doc) in una bottiglia stellata e … hanno vinto il primo premio.

Ma come spesso affermo, i social passano mentre i siti rimangono. Da anni seguo e gestisco con distratta attenzione alcune pagine web. Non sono più i tempi d’oro in cui avere una pagina web col proprio dominio era una sorta di status symbol e non è più nemmeno immaginabile costruire in modo artigianale qualcosa del genere. Le prime presenze sul web che avevo realizzato modificando i primi modelli in html erano certamente spartane e poco attraenti, ma sicuramente la finalità comunicativa era abbastanza facile da raggiungere. Il focus era sempre sulle notizie, sui contenuti, lo strumento era essenzialmente …strumento, poco più.

Oggi il paradigma è quasi rovesciato e conta soprattutto l’aspetto, il feeling, l’appeal grafico… La mia esperienza si misurava agli inizi con la richiesta di semplici siti scolastici, di qualche associazione (la prima versione del sito Agidae è del giugno del 1999, poco prima quella del sito Maristi.it), pagine di società al primo approdo sul web; a corollario di queste esperienze quasi da pioniere era sempre viva l’attenzione alle derive didattiche di tutto questo, già iniziata nel lontano 1985 in collaborazione con il centro ITD del Cnr di Genova e per lungo tempo ho continuato su questa scia, divulgando e mettendo a disposizione materiali, software e informazioni su questo ambito, percorso che ho poi continuato per numerosi anni collaborando con la rivista Tuttoscuola.

Erano i tempi in cui nemmeno i giornali avevano una presenza ben definita sul web (sto parlando dei primi anni ’90, ovviamente, roba del secolo scorso!), quando i bbs erano ancora la punta di diamante della nuova tecnologia e le chat delle poche realtà presenti (Fidonet, MC, Agorà) raccoglievano i primi drappelli dei cultori della materia. Persone che poi sono approdate nei luoghi nevralgici del web nascente, ricordo un amministratore di un bbs (sysop, come si diceva allor) che poi è diventato l’esperto di sicurezza informatica del Vaticano, o il giornalista appassionato che poi ha dato il primo vero impulso al giornale più attento a questa nuova frontiera, Repubblica. Tempi andati, che sono stati però la base di quelli attuali e ogni percorso visto in retrospettiva svela molti aspetti spesso dimenticati.

Interessante, ogni tanto (almeno per me), riprendere considerazioni di questo tipo.

Eccoci a Melilla, prima settimana

Eccoci a Melilla, prima settimana

Ormai ci siamo, è esattamente da una settimana che mi trovo qui a Melilla, Africa del Nord, quasi Marocco, propaggine della penisola spagnola…

Sono arrivato praticamente all’inizio di settembre, ancora piena estate, nonostante abbia già visto che la pioggia qui non è una rarità: abbiamo avuto due giorni di pioggia abbastanza intensa, certo, niente a che vedere con le inondazioni che hanno colpito altre località spagnole del sud, ma pioggia era. Controllando i dati storici sulle precipitazioni del luogo vedo che grosso modo non siamo tanto lontani da quelli di Siracusa…

La mia nuova casa è la sede dell’Istituto Lasalliano del Carmen, molto vicina al centro e al porto (qui, grosso modo, tutto è vicino al porto, fulcro ideale di questo territorio a mezzaluna che ha un raggio di poco più di 3-4 km), si trova già nella parte “alta” della città (che ha numerosi saliscendi collinari, come tante città di mare) e da qui in poco tempo si raggiungono facilmente i vari luoghi necessari: gli uffici centrali del Comune, il porto, la città vecchia, qualche bel parco, i primi negozi utili. Per il centro commerciale più grande occorre prendersi per tempo e camminare per un paio di km.

Faccio parte della comunità “Fratelli” di Melilla, un’esperienza di vita insieme che da qualche anno i maristi e i lasalliani portano avanti (e non solo qui, la prima è stata realizzata in Libano, la seconda a Bonanza e poi a Melilla). Siamo in 5 persone, due maristi (io e Ventura) e poi fr. Eulalio, il “decano” (con le sue 85 primavere), Jesus, l’animatore della comunità (qui si usa ancora il termine “direttore”) e Juan Antonio.

Sono impegnati con l’insegnamento nella scuola (l’istituto comprende primaria e secondaria ed è diretto da laici) e in varie altre iniziative solidarie, la principale delle quali inizieremo presto a conoscere: il progetto Alfa per l’alfabetizzazione di donne marrocchine… Qualche giorno fa c’è stata la prima riunione del corpo docente, con una simpatica animazione per l’avvio del nuovo anno scolastico e poi, nei giorni successivi, le classiche riunioni di inizio anno. Abbiamo partecipato anche io e Ventura che comunque non saremo direttamente coinvolti con l’impegno scolastico della scuola.

Con Juan Antonio sono già salito in collina per giungere alla “fine del mondo” zona-nord, l’ultimo punto di osservazione prima del confine marocchino, con mezz’ora di marcia ci si arriva, attraversando i quartieri marginali della città e passando per alcune zone forestate a pino marittimo; si arriva fino al mirador, il punto panoramico, da cui si osserva la costa e si può notare anche l’impianto dissalatore che fornisce acqua potabile alla città (come è facile immaginare, in questa piccola penisola che ospita Melilla, di torrenti ce ne sono proprio pochi e l’acqua è un problema serio). Abbarbicati alle rocce e in mezzo a scampoli di natura non proprio selvaggia, il panorama era suggestivo, l’unico rumore era quello del mare. Peccato che proprio davanti inizia quella muraglia in metallo e filo spinato che avvolge tutta la città…

Inutile nasconderlo, Melilla deve fare sempre i conti con la sua situazione molto particolare; è interamente circondata da questa rete protettiva, oltre la quale si dovrebbe stendere una porzione di terra di nessuno che però è stata assorbita immediatamente dal governo marocchino, che da parte sua ha eretto un’ulteriore baluardo a poca distanza. L’effetto è imponente e sicuramente drammatico. Fino all’epoca pre-covid, mi raccontano, nella città giungevano ogni giorno tantissimi lavoratori giornalieri dal vicino Marocco e poi anche molti che tentavano l’ingresso in Europa. Poi i numerosi assalti, l’ultimo dei quali nel giugno dello scorso anno, finito in tragedia. Adesso apparentemente è tutto calmo. Il numero di migranti in arrivo è calato drasticamente (dal migliaio a poche decine), ma la tensione è evidente. Non è un fenomeno solo locale, lo si comprende bene allargando la visuale a tutto il Mediterraneo. Una realtà che ormai conosco abbastanza bene. In fin dei conti siamo qui anche per questo.

Ma tra le tante cose da scoprire, Melilla è anche un posto davvero caratteristico. Ho solo iniziato ad esplorarla, con una passeggiata nella città vecchia. Ne vale davvero la pena.

Qualche immagine di questa prima settimana?
Ovviamente sono impressioni di settembre 😉

Sbarco a Melilla

Sbarco a Melilla

Ed eccoci arrivata a Melilla, exclave spagnola in terra africana. Dopo tanti giri, da Siracusa a Catania, poi Siviglia, poi Jerez, Malaga… eccomi finalmente “a casa”.

Sicuramente ci vorrà un po’ di tempo per chiamarla così, ma le premesse mi sembrano già positive. Ne ho già lasciate diverse, di case di pietra e saperle portare nel cuore rende meno difficile i vari distacchi; e poi sono le persone che contano, non gli indirizzi o i codici postali!

Il 30 agosto mattina ci siamo trasferiti con tutta la nuova comunità da Jerez a Malaga; e già che ci siamo presentiamola anche, questa nuova “famiglia”. Siamo parte del progetto Fratelli che vede riuniti fratelli maristi e fratelli lasalliani. Jesus è il direttore della scuola e docente, Juan Antonio è docente anche lui nelle superiori, poi abbiamo Eulalio, il veterano della comunità, con i suoi 85 anni e 15 di permanenza in questa terra africana (ma in totale ne ha passati oltre 30!); come maristi ci siamo io e Ventura che per molti maristi italiani è un volto noto e di riferimento. Ci saranno altre occasioni per presentarci meglio…

In due sono andati in aereo da Malaga, li abbiamo accompagnati all’aeroporto, cercando inutilmente il cartello che indicasse le “partenze”. Niente da fare, non risulta, ci sono solo gli “arrivi”, le idiosincrasie dei cartelli sono un po’ ovunque e non c’è Google Maps che tenga per risolvere certi piccolo problemi. Li abbiamo lasciati nel punto più vicino a qualche ingresso e noi tre ci siamo diretti a Malaga, per il traghetto.

Avevamo un po’ di tempo e il porto è vicinissimo al centro, così quattro passi fino alla cattedrale (rigorosamente chiusa, erano le 12!) e al vicino anfiteatro romano ci sono rientrati senza problemi. Juan Antonio, il nostro autista ed esperto locale (nemmeno Ventura era mai stato a Melilla) si aspettava più gente, più confusione, invece, poca roba.

Entrati nel grande ventre del traghetto, semivuoto, ci siamo recati sui ponti di attesa. Traghetto enorme (130 m. di lunghezzza per 30 di larghezza) e c’è sempre qualcuno che si chiede come potrà mai fare una massa così importante di ferro a galleggiare. Per fortuna che il nostro siracusano Archimede…;-)

Per la partenza siamo ovviamente tutti sul ponte. Si lascia la Spagna, anzi no, il continente (mi dicono subito che questa sarà la dicitura da usare, perché Melilla non è “fuori”, ma parte integrante, quindi ci si deve riferire alla Spagna sempre e solo come al “continente”: mi sento quasi sardo in questo genere di cose!). Comunque si parte e si inizia subito a correre, mentre i gabbiani ci scortano quasi immobili nell’aria e il profilo di Malaga e della costa comincia a sfumare. Ci vuole tempo, il viaggio è lungo, si parte alle 14:30 e l’arrivo sarà per le 20:30. Tra un boccone al self-service e una pennichella sulle poltrone della sala di attesa le ore passano, ma ogni tanto è bello sgranchirsi un po’ salendo sui ponti esterni.

Quando le coste dell’Africa iniziano a delinearsi ci mettiamo quasi in contemplazione. Forse ne vale la pena, pensando a quanto i confini, i limiti, possano non solo contenere esperienze, ma forgiarne di nuove. Almeno per me e Ventura si tratta proprio di questo.

Ecco finalmente spuntare nitida la costa, poi il bianco delle costruzioni, poi il profilo del porto, quindi si entra e si attracca, puntualissimi. Ora si riprende la macchina e in pochi minuti si giunge alla nuova sede. Melilla è piccola, molto difficile perdersi in questi 12 km quadrati di Europa in terra africana. La luna si accende, quasi per intero, in questa prima serata; una nuova camera, una prima sbirciata al nuovo luogo… domani si vedrà. Intanto benvenuti da queste parti, mi ripeto con calma.

Negli occhi i nuovi panorami e paesaggi africani che da oggi
entreranno a pieno titolo anche nel cuore.

Perdersi alla fonte Ciane

Perdersi alla fonte Ciane

Sabato pomeriggio di metà giugno, un rapido momento di relax. Si prende la bici e si esce da Siracusa; lungo la strada già si prefigura il sollievo di riuscire a sgusciare nel traffico, perchè l’altra corsia è già completamente intasata e sono solo le 4 del pomeriggio. Ma si sa, l’estate incombe.

Macchine e inquinamento fino al ponte dei 3 fiumi (in realtà uno dovrebbe essere un canale, ma trovare 2 fiumi diversi che sfociano nel raggio di pochi metri è sicuramente un record siracusano) qui quasi si affratellano l’Anapo e il Ciane. E dopo il ponte si svolta per togliersi dal caos.

Una strada dal nome quasi altisonante (Mammaiabica, chi era costei?), ormai affrancata da macchine e confusione. Si supera la ferrovia che sarebbe una fortuna per queste zone ma sembra solo un residuato di poco uso. E poi si prende il sentiero che costeggia il Ciane, per circa 2 chilometri di campagna.

Ci sono distese di grano, ormai maturo e pronto per il taglio, uno spettacolo insolito. Poche settimane fa ero tutto ancora una coperta di verde fresco, ora le spighe iniziano a pesare sullo stelo. Pochissimi gli incontri lungo il sentiero.

Fino a raggiungere la sorgente di affioro del Ciane; sono zone carsiche quelle del siracusano, chissà veramente da dove arriva l’acqua di questo corso. Ancora una volta la passerella che conduce al cuore del papireto è semidistrutta, in 4 anni l’avrò vista ricostruire almeno un paio di volte e sicuramente il tempo è la causa principale.

Sfidando pattuglie di zanzare mi àncoro al tronco adagiato di un eucalipto e come al solito prendo il tablet per leggere in serena tranquillità. Oggi è il giorno di Bobin, di Pia Pera e il suo splendido “Al giardino ancora non l’ho detto”… poi da lontano un cane, abbaia, si avvicina, perlustra.

Entra nell’acqua, felice per il refrigerio, scodinzola, ma non è che l’avvisaglia. In breve si avvertono le campanelle, un suono antico, di gregge in passaggio, ecco sbucare le pecore in grande raduno. Insolito abbinarle ai luoghi di Siracusa, ma qui siamo ormai in aperta campagna.

Il piccolo esercito in tuta di lana si avvicina all’acqua, si consolida sul fosso e inizia a bere, sgomitano, si fanno largo, si spingono; alcune pecore si azzardano a superare il rivo, si avvicinano, la mia bici è ormai in ostaggio al gregge. Ma vanno veloci, dietro le insegue il pastore, persino una macchina di supporto. Sfilano rapide, continuando a bere e cercando spazi di ristoro.

In breve, come sono comparse, ritornano nel silenzio, nel verde, nel sentiero. Momenti bucolici avvolti dai papiri…

Tutte qui, le altre pecore

A zonzo per Madrid

A zonzo per Madrid

Ho avuto l’occasione e la fortuna di poter dedicare un paio di giorni alla visita di Madrid. Senza impegni particolari, senza mete, senza fretta… Erano i giorni a cavallo del ponte del 25 aprile e in vista del primo maggio; dovevo partecipare ad un incontro con altri fratelli maristi spagnoli e nell’incastro di questi impegni, si sono liberati momenti davvero interessanti.

Non avevo fretta o tappe particolari, così me la sono presa comoda; una città si gusta bene anche senza dover organizzare tutto o stabilire a tavolino le cose da fare e vedere. Il museo senza mura e orari che la città stessa rappresenta vale la pena comunque di essere vissuta e assaporata.

All’inizio avevo davvero pensato di pianificare mete e itinerari; ma poi mi sono dedicato semplicemente a soddisfare alcune piccole curiosità, senza troppe pretese. Avevo sbirciato alcuni siti, fin troppo commerciali e infarciti di pubblicità, dato un’occhiata alle mappe della metro e dei treni della Renfe (Cercanias, un po’ come i treni della Nord a Milano, ma… molto meglio come possibilità di visita all’interno della città); ho poi trovato un sito molto interessante e simpatico, abbastanza aggiornato e in linea con il gusto tipico di noi italiani curiosi di vedere le cose principali. Si tratta di https://viaggioamadrid.it/ realizzato da Andrea Cuminatto, un blogger appassionato della Spagna. Le molte informazioni del suo sito sono state davvero preziose…

Avevo già visto Madrid in altre occasioni, ma ormai gli anni si sono depositati sui ricordi e può essere interessante osservare l’evoluzione di una città così cosmopolita e multiculturale. Se pensi che i famosi grattacieli chiamati le 4 torri li ho visti praticamente nascere e costruire, nel 2004 e adesso sono… 5, si può cogliereil cambiamento e la rapida mutazione dello skyline della città.

Il punto di partenza che volevo comunque visitare era presso la stazione ferroviaria di Atocha. Nel 2004 c’è stato il terribile attentato, il mercoledì 11. Ero all’Escorial quel mercoledì, M-11, e la notizia ha paralizzato il paese. Il giorno dopo mi sono recato presso la stazione, con degli amici, per partecipare al dolore di quei momenti. Una folla indescrivibile, un mare di candele accese. Da quella data ogni volta che sono passato a Madrid andavo a vedere questo luogo, per ricordare. Poco alla volta la distesa di lumini si è ridotta, concentrata, modificata…

Ed è questa la prima cosa che ho cercato, ma…. piccola delusione, ora esiste una sala della memoria, per ricordare questo tragico evento, sono passati quasi 20 anni; la sala ha il suo orario, vetrate trasparente da cui si coglie solo uno spazio vuoto. Sono arrivato che era chiusa e l’orario (10-16) non era certo il massimo. Ma le cose ora stanno così; nel paese dei ricordi è comunque diverso.
Un’altra piccola delusione mi ha preso guardando il grande giardino interno (quasi una serra) della stazione Atocha, un immenso spazio dove ricordavo piante lussureggianti, diffusori di umidità, tartarughe che si affacciavano dalle pozze d’acqua. In questi giorni (spero solo momentaneamente), sembra un po’ abbandonato, foglie piene di polvere ed effetto straniante. Niente di irreparabile, ma mi veniva voglia di cercare una gomma per innaffiare questo scrigno prezioso di piante…

Le altre tappe interessanti che ho potuto osservare in questi giorni sono:

Il parco del Retiro – quasi nel centro di Madrid si trova questo grande parco, circa 200 ettari di prati, alberi, spazi verdi, laghetti, scorci suggestivi… In origine era come al solito una residenza nobiliare, poi a fine 1800 è stato aperto al pubblico e ora è considerato uno dei principali polmoni verdi della città. Viene da pensare a Villa Ada, Villa Borghese a Roma, ma anche Villa Torlonia. Però in grande e con diversi palazzi interessanti sparsi su questo gradevolissimo manto verde. In particolare spiccano

  • il palazzo di Cristallo: una meraviglia in ferro battuto pitturato in bianco, con un effetto visivo davvero speciale. Entrando all’interno di questo grande spazio espositivo, in questi giorni perfettamente vuoto, ci si sente un po’ farfalle alla ricerca di fiori, uccellini al riparo, freddolosi al sicuro (perché il tepore si moltiplica davvero in fretta e in modo intenso!). Niente di più di una grande struttura di vetro e metallo, ma sembra un ricamo prezioso in mezzo al bosco.
  • il Palazzo Velasquez: questa invece è una struttura in mattoni, all’esterno molto ben curata, con numerosi spazi decorati a ceramiche artistiche, all’interno ospita spesso esposizioni e mostre, come quella di quadri astratti (non chiedetemi il nome dell’artista!) presente in questa primavera ’23.
  • C’è poi un grande laghetto, dove è possibile noleggiare canoe e barchette per un momento di relax e distensione fisica. Per tutto il parco è normale incontrare singoli e gruppetti impegnati in running, attività fisica di vario tipo, gruppi di yoga o di risveglio dolce; ma anche solo una passeggiata in questo ambiente è sufficiente per rimettersi in sintonia con la natura e con il proprio corpo.

Ecco una carrellata di foto di questo angolo verde di Madrid: il Parque del Retiro

  • il museo Navale: lungo il viale del Prado si concentrano diversi musei oltre a quello che dà il nome alla strada; forse il più piccolo è proprio questo dedicato alla storia navale della Spagna. Certo, a Madrid il mare non arriva, ma l’intreccio storico e sociale che i viaggi di esplorazione e tutto ciò che riguarda i viaggi via mare hanno lasciato in eredità alla capitale spagnola è davvero imponente. Nel museo ci sono diverse chicche ed è facile ritrovare quadri o documenti che hanno popolato il nostro immaginario e i nostri libri di storia, come l’iconico dipinto che ritrae Colombo nell’atto di sbarcare sul nuovo mondo. E’ presente anche la prima cartina che riporta le tracce dei primi viaggi di esplorazione fino al 1500, quando il resto dell’America era ancora fuori dal panorama…
  • l’altro grande museo presente nei dintorni è il Thyssen, lascito di un magnate dell’acciaio (questo nome lo troviamo spesso su ascensori ed altri manufatti attuali) che ha dato una dimora definitiva alla collezione raccolta a partire dagli anni 1950 in poi. Ci sono anche quadri più antichi (un Antonello da Messina, un Caravaggio, forse un inedito di Raffaello), ma il grosso della collezione è prettamente moderno, coprendo in pratica la miglior produzione degli ultimi due secoli. Sale molto spaziose e disposizione logica; a volte mette i brividi poter leggere anche solo le firme degli autori, ma l’effetto di perdersi in questo mare di colori e forme è suggestivo. Viene anche da pensare, comunque, che la vera casa delle opere d’arte non deve essere necessariamente un museo, come se fosse la loro unica collocazione… ma la nostra attuale narrazione sembra aver condensato in questi luoghi gli itinerari del bello e della fantasia.

Album fotografico sul museo Navale e il Thyssen

  • la cattedrale dell’Almudena (c’era troppa coda per visitare il Palazzo Reale), in effetti mi sarebbe piaciuto visitare il Palazzo ma arrivato nella piazza che si trova tra la cattedrale e l’ingresso, la coda era già chilometrica, comportava sicuramente un paio di ore di attesa, visto il deflusso lentissimo. Ok, puntiamo direttamente sulla cattedrale, che ha comunque il suo fascino. L’avevo già vista quando non erano ancora state completate le opere pittoriche di Kiko Arguello, è sicuramente interessante vedere che la capacità pittorica del fondatore del movimento dei neocatecumentali è davvero eloquente. L’uso del colore è stimolante e luminoso, rende le superfici della chiesa, fin troppo austere, più vicine e gradevoli. Peccato che i soffitti e le pareti siano veramente lontani, date le dimensioni considerevoli della cattedrale. Girando tra le cappelle si incontra anche quella di Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus. Insomma, oltre alla piccola statuetta mariana dell’Almudena, qui si trovano condensate due dei principali apporti che la Spagna ha dato alla chiesa nell’ultimo mezzo secolo.
  • il tempio egizio di Debod… (insomma, dopo aver visto il tempietto egizio nel museo di Torino, ci stava bene), avevo letto sul blog che stavo consultando che anche a Madrid era presente un piccolo pezzo di Egitto. La spiegazione è identica a quella relativa al tempio presente nel museo di Torino: siccome anche la Spagna aveva ampiamente contribuito ai lavori per la diga di Assuan, era stata ricompensata con questo intero tempio che altrimenti sarebbe stato sommerso dalle acque.
    Il suo trasferimento integrale, pietra per pietra, in questo caso è anche più scenografico, perché è tutto visibile. E’ stato posizionato in un parco molto vicino al Palazzo Reale (5 minuti a piedi, proseguendo dopo il Palazzo e dopo i Giardini Sabatini); ma anche in questo caso la coda era consistente. Tra una cosa e l’altra c’è voluto più di un’ora per entrare (l’ingresso è possibile solo a piccoli gruppetti di 6-10 persone al massimo, perché gli spazi interni sono davvero angusti); in compenso una volta entrati il fascino e l’effetto straniante sono assicurati, sembra proprio di avere addosso i panni di Indiana Jones e di entrare in un luogo totalmente altro. Luoghi piccoli, pareti con alcuni geroglifici, discreti pannelli esplicativi, di solito in 10-15 minuti si può vedere e comprendere veramente tutto (ecco quindi spiegata la coda!). Se poi ci metti che l’ingresso è completamente gratuito, la cosa si spiega. Una volta usciti si viene accolti dal fresco giardino e in questi giorni di inizio maggio un po’ di ombra è veramente preziosa.
  • Prima di rientrare in Italia ho avuto ancora una mattinata, così ho tentato la visita al Monastero delle Carmelitane. Ero tra i primi in coda, proprio alle 9, ma che delusione quando mi dicono che non si può pagare con la card/telefono (io di solito giro quasi sempre senza nemmeno uno spicciolo, utilizzando sempre e solo il cellulare come portafoglio elettronico, ormai da diversi anni); sono andato subito a cercare un ATM, ma …. era il giorno della festa di Madrid e per chissà quale congiura astrale, quelli che avrebbero potuto accettare una card straniera (come la nostra PostePay) erano fuori servizio. Ne avrò girati 4 o 5, chiesto ai vari desk di Cambio, ma nessuno consente di pagare con il cellulare e ricevere contanti in cambio ;-( Morale della favola ho dovuto rinunciare, così mi sono nuovamente diretto verso il Palazzo Reale sperando ci fosse meno. In questo caso mi è andata bene, ma data la festività e a causa di un pranzo ufficiale per il giorno dopo, si potevano visitare solo i saloni dell’Armeria e la Cucina. Tutto sommato proprio quello che avrei voluto vedere, anche perché dopo il palazzo di Torino, la Reggia di Caserta, vedere un altro esempio di architettura realizzato da italiani… mi sembrava meno urgente. Così mi sono avviato verso l’Armeria, dove si conservano numerosi reperti originali di Carlo V, Filippo II e III e numerosi altri pezzi davvero pregevoli, comprese alcune armature giapponesi (che fanno tanto manga!). Fa davvero uno strano effetto contemplare l’ingegno umano asservito a strumenti, tutto sommato, di morte e distruzione, oltre che difesa. Immaginarsi quei cavalieri (e cavalli), bardati con corazze dal peso impressionante (decine di chili!) muoversi per i teatri di guerra… non lascia indifferenti. E che livello artistico nel cesellare i fucili, strumenti rivoluzionari da poco inventati (a partire dal 1500), insomma, ti sparo ma con il dovuto tributo al bello e all’epico. Poco comprensibile in questi ambienti il divieto di fare fotografie ed effettivamente i custodi erano molto attenti a queste cose, con richiami frequenti e minacce di cancellare le foto scattate. In pratica un incentivo a sgamarli e tentare comunque qualche ripresa…
    Per concludere, abbiamo dato uno sguardo alle cucine (qui invece le foto si potevano fare, ma senza inquadrare le guide!), grandi ambienti con ancora la strumentazione operativa fino agli anni 1950. Curioso confrontare certe modalità operative quando il frigorifero non esisteva, il frullatore era di là da venire, le piastre a gas erano ancora un miraggio. Eppure i menu esibiti non erano certo modesti o privi di fantasia. Spesso si ottiene diplomaticamente di più esibendo un menu che una flotta…

Ecco le ultime foto di questo
giro a Madrid: Almudena, 4 Torres, Palacio Real, palacio Debod