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Categoria: luoghi

A spasso per Pompei

A spasso per Pompei

Dal 1 agosto al 4 ci siamo dedicati ad un po’ di relax. Con Nina e Rosa abbiamo preparato un itinerario a partire da Napoli, perché tra una cosa e l’altra, pur essendoci loro passate un po’ di sfuggita, troppi sogni e desideri erano rimasti in sospeso. E così abbiamo cercato di realizzarne almeno qualcuno.

Il primo della lista era la visita a Pompei. Sapendo quanto è vasto questo parco archeologico e quante sono le cose interessanti da vedere, ci siamo accontentati di una semplice “passeggiata” senza nessuna particolare meta. E sinceramente Pompei si apprezza benissimo anche così. La prenotazione della visita (obbligatoria per il covid) era già pronta da diverse settimane. Abbiamo anche avuto la fortuna di parcheggiare praticamente davanti all’ingresso dell’Anfiteatro. E così scopriamo subito che le indicazioni sui vari siti sono ancora piuttosto pasticciate. Su quello ufficiale si dice che c’è una sola entrata, su altri si continua a dire che è operativo anche l’altro ingresso di Porta Marina. Semplicemente ci dicono che per le prenotazioni si può accedere solo dall’Anfiteatro, ma chi arriva senza… procede come al solito. Nel frattempo Nina e Rosa scoprono che ogni negozio, ogni persona, anche quelli che sembrano “istituzionali”, in pratica cercano di venderti qualcosa, una mappa, una guida, un souvenir… marketing selvaggio.
Ma questa è Napoli, ragazze ….

Iniziamo il nostro giro proprio da questo enorme anfiteatro: 20mila posti a sedere, uno stadio niente male; immaginarlo tutto ricoperto da cenere e lapilli dopo la tremenda eruzione del 79 d.C. fa veramente impressione.

Poi ci immergiamo nell’intrico di strade ortogonali di questa grande città, “congelata” per sempre in quella data feroce. Pochi anni prima c’era stato un forte terremoto, nel 62 d.C. e molti palazzi erano lesionati e in fase di ristrutturazione. Pensavo alle tante ricostruzioni dei nostri giorni, dell’Aquila, di Amatrice, e ancora di Avellino (aver visto gli effetti del terremoto del 1981 dal vivo lascia certamente il segno….). Non stupisce che ancora oggi dopo decenni non sia ancora concluso il lavoro di ripristino, in logica coerenza con Pompei, che dopo quasi 20anni rivela ancora i lavori di ristrutturazione per quel terremoto.

Con Nina e Rosa giriamo tranquilli, entriamo nelle splendide case visitabili (molte sono chiuse), ammiriamo l’impluvium, le colonne, i locali affrescati, i mosaici del pavimento. C’è da restare ammirati nel vedere come 2000 anni fa il gusto per il bello, il senso della casa come bene personale e da esibire, siano rimasti quasi intatti. Pensiamo al nostro appartamento, alla cura nel riverniciarlo e sistemarlo. Gesti comuni da secoli.

Ci sono restrizioni nella visita, per evitare assembramenti, alcuni siti interessanti sono per forza chiusi, così non mi dilungo troppo nel mostrare il Lupanare (chiuso anche lui) o altre case 🙂 In pratica dall’Anfiteatro siamo andati a sinistra fino al Foro, lungo la classica e centralissima Via dell’Abbondanza, la “vasca” della Pompei antica.

Ci divertiamo a gironzolare nel grande spazio del Foro, con le sue colonne, le statue ricostruite, i templi. Difficile immaginare come poteva essere veramente. E il caldo si fa sentire, cerchiamo con attenzione di seguire le zone d’ombra, che per fortuna non mancano. Apprezziamo persino le fontanelle (poche ma sufficienti) che attirano numerosi turisti…

Nina, come al solito, viene immortalata nella sua posa preferita: il salto panoramico!

Poi ce ne andiamo tranquillamente a perderci nelle stradine, immergendoci in questo scenario magico e surreale. Verrebbe da immaginare che al prossimo incrocio, nella prossima taberna, si potrebbero incontrare senza difficoltà le persone di un tempo, sembra quasi di sentire il vociare dei cittadini antichi. Se solo non fosse per i tetti assenti, qualche cartello, qualche nastro segnaletico.

Cerco anche di andare verso la Villa dei Misteri, ma prima mi informo e scopro che è chiusa; mi rifaccio con la casa del Fauno, poi con le terme Stabiane, il piccolo teatro (piccolo: 5000 posti!), il suggestivo teatrino per le poesie e per le piccole recite….

Sulla strada del ritorno mi fermo a curiosare lungo gli stand della mostra Vanity, alloggiata nella Palestra grande, un’enorme chiostro ombreggiato e gradevole. Ammirare i piccoli oggetti, i preziosi, i resti del cibo e gli alimenti che utilizzavano gli antichi pompeiani (una bella zuppa di orzo, miglio, farro…) spinge a riflettere su quante cose in comune ancora possediamo con questa gente di 20 secoli fa.Un tuffo nella storia da cui si esce sicuramente più attenti e consapevoli.

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Ecco il video realizzato da Rosa

Ed ecco l’album di foto di questo breve itinerario in Pompei

leggere su carta “Come un animale”

leggere su carta “Come un animale”

Sono ormai 8 anni, forse più, che ho saltato quasi definitivamente il fosso. Dalla carta allo schermo. Categorico e quasi implacabile. Non ho più comprato un libro di carta se non per regalarlo a qualcuno o per necessità di altro tipo. Con la scusa del Kindle ho iniziato a dedicare il tempo della lettura sempre più spesso allo schermo che alla carta. Pensavo persino di …leggere di meno. Mi sono poi ritrovato che per una scusa o l’altra, un’offerta del giorno speciale o l’altra (questo non lo leggo subito ma… non si sa mai, intanto prendiamolo), nel giro di un anno, a conti fatti, i libri acquistati o presi superavano di gran lunga il centinaio.

Certo non li leggevo tutti, ma lamia biblioteca si è rapidamente spostata prima su hard-disk, poi sul GDrive. E grazie a Calibre e al sacrosanto diritto di possedere almeno una copia dei libri che ho acquistato, anno dopo anno la biblioteca è cresciuta considerevolmente. Siamo ormai oltre al migliaio di testi in digitale.

Ma ogni tanto succede, non vale la pena essere apocalittici o digitali a senso unico. Questa volta galeotta fu la serata in piazza a s.Lucia. Per vivacizzare un po’ il quartiere alcune associazioni si erano date da fare per lanciare alcune iniziative. Mercoledì 22 c’era la presentazione del libro “Come un animale”, di Filippo Nicosia. Un perfetto sconosciuto, ma quando poi te lo ritrovi davanti, lo ascolti e ci parli il tenue confine dell’indifferenza inizia a slabbrarsi. E siccome le “ragazze del CIAO” 🙂 erano tra le organizzatrici non potevamo certo andarcene senza almeno prendere il libro.

Luisa, la promoter che aveva organizzato l’evento, voleva regalarcelo d’ufficio, ma ci sembrava bello come gruppo contribuire alla serata. Inutile dire che a chiedere la firma e la dedica sul libro sono andato io (a nome o forse come rappresentante … delle ragazze del CIAO, cosa ci tocca fare…).
La scusa, poi, era semplice, se non duplice: Nina è appassionata di libri italiani e Rosa ha appena superato l’esame di italiano del C1, quindi …lo abbiamo preso.

Poi, come vuole il destino, il libro è rimasto sulla pila dei libri di Nina e la sua stanza è sempre un bel luogo di passaggio. Così, giusto per non fargli prendere polvere, ho provato a dargli un’occhiata. Anche un po’ come sfida, ogni tanto dallo schermo alla carta è anche giusto passare.

A questo punto entrano in gioco le alchimie del caso. Inizio a leggere le prime pagine e rimango agganciato ad una parola, una località: Manziana. Un luogo che conosco da tempo (diciamo dal 1976?), dove ho fatto diverse attività, incontri, campi estivi, visite… E proprio l’anno scorso ho avuto la fortuna di tornare in quei luoghi che hanno del magico: Monterano, Oriolo, il bosco, la Caldara… ne avevo parlato in numerosi post, dal 10 agosto 19 in poi…

Alcuni dettagli del libro sono freschi e precisi, come di chi ci deve essere stato almeno per un po’ di tempo. A fine serata avevo parlato un po’ con Nicola, l’autore, ma non sapendo ancora nulla della location del libro, ho perso l’occasione per sondare questo aspetto. Quando in un libro si parla di luoghi significativi, che conosci bene e che hai vissuto, cambia immediatamente la prospettiva della lettura.

Non saprei dire se il libro mi abbia entusiasmato molto; ma l’ho finito in un paio di ore (qualcosa vorrà pur dire!) anche se ogni tanto mi sembrava di avere tra le mani una storia con tratti abbastanza inverosimili, una quasi redenzione di un uomo distrutto dal dolore per la scomparsa di moglie e figlio, che cerca nell’isolamento una sorta di attenuazione della sofferenza, ma che ne frattempo si aggroviglia in una relazione sentimentale con una vicina che sembra quasi contraddire questo dolore di fondo. Poi irrompe nel libro un giovane ragazzo, praticamente uno dei figli del boss della zona, che implora quasi il protagonista, un tempo docente di lettere, di aiutarlo a superare l’esame di riparazione, nonostante il padre, violento e manesco, non sia della stessa idea. Varie vicende, qualche colpo di scena, sullo sfondo di tanti elementi tipici della campagna di Manziana.

Che però viene evocata in maniera un po’ distratta, nebulosa, quasi incerta. Alcuni riferimenti, strade e incroci sono ben definiti; ma altri elementi invece sfuggono, a cominciare dalla Solfara (che è sicuramente la Caldara di Manziana), il bosco, la strada del Sasso (lungo la quale per un incidente hanno perso la vita moglie e figlio del protagonista, il “motivo” di fondo che anima il libro).

Ma i luoghi dei libri hanno altre misure e altre coordinate, ci direbbe il buon Umberto Eco, non si misurano col GPS ma col cuore. E anche questo è vero. Io mi sarei sicuramente arrogato il diritto di evocare tombe etrusche, reperti antichi, il lago di Bracciano, il sottobosco lussureggiante, le gallerie e gli ipogei… Manziana offre veramente un ventaglio incredibile di scenari e suggestioni. Ma forse il libro diventerebbe una guida turistica…

Tanti elementi della storia risultano evanescenti, sembrano affidati al sogno (come si mantiene questo protagonista? come vive? dove trova i soldi, come riesce a non gestire una casa come quella descritta, chi cucina?, non di solo birra si può vivere, come gli arriva la posta se non ha fornito indirizzo, non ha telefono e usa persino quello della cabina di Manziana (e non credo che ne esistano più nemmeno in Piazza Tittoni, ma dovrei chiedere al mio amico di Manziana, il pittore Gaetano…). D’altra parte ogni libro deve fare i conti con qualche licenza poetica…

Ma nell’insieme il testo è apprezzabile, il linguaggio è raffinato e il ritmo, scandito dai tanti brevi capitoli, raggrumati sotto l’incedere delle stagioni, si fa leggere con piacere. L’inventio di gesti, manie del protagonista (collezionare insetti in barattoli di vetro e poi sott’alcool), piccoli riti familiari (il Babbo Natale, le compere ai centri commerciali…) risultano plausibili e coerenti con l’intreccio della storia.

Che termina on the road, sulle note del brano Rocket Man di Elton John, e sembra quasi di percepirlo in sottofondo come colonna sonora. Non è un caso che Nicosia lavori concretamente per la televisione e sappia gestire molto bene i ritmi che essa impone.

Tra l’altro è il suo 2 romanzo, il primo con Giunti e questo con Mondadori, insomma, non un editore qualunque. Auguri, Filippo, e buona strada.

Risalendo il fiume Cassibile

Risalendo il fiume Cassibile

Avevamo preparato questa uscita già da parecchio tempo con degli amici appassionati di montagna e di lunghe passeggiate; ci avevano proposto di esplorare la splendida zona dei laghetti di Cassibile, e curiosando in rete avevamo già scoperto di cosa si trattava e allora eccoci pronti, io, Nina e Rosa per il nostro viaggio di esplorazione.

Certo, permaneva qualche pizzico di dubbio perché ci avevano detto di procurarci degli zaini impermeabili e che probabilmente avremmo dovuto fare qualcosa di molto simile a Indiana Jones nell’esplorazione dei canyons tropicali… ma che problema sarà mai, pensavamo noi!

Il nostro gruppetto era formato da una quindicina di persone tutti amici o amici degli amici e ci siamo ritrovati intorno a Pippo che già ci avevano presentato come una mitica guida di questi splendidi luoghi della Sicilia. Quello che non ci avevano detto era che il buon Pippo pochi giorni prima aveva provato inc oncreto questa uscita, verificando che il sentiero fosse fattibile per tutti. E questo a dispetto dei suoi agili 71 anni e di un bel bypass (un semplice “tagliando”, diceva lui) e comunque sembrava ancora il più arzillo e dinamico del gruppo.

Abbiamo cominciato la discesa nella zona Mastra Ronna (chissà perché Mastra al femminile…) cominciando ad apprezzare dal cornicione nord la panoramica spettacolare della Vallata del Cassibile che si stava aprendo davanti ai nostri occhi; un vero e proprio canyon vasto e largo, luogo frequentato dai nostri antenati fin dalle epoche preistoriche.

La prima tappa è stata quella di soffermarci a dare un’occhiata alla splendida grotta del Brigante (con Nina e Rosa stiamo già pensando che probabilmente potrebbe essere una delle nostre prossime mete), un covo spettacolare e suggestivo (se non ci credete gustatevi questo video del Brigante Boncoraggio che in questo nido d’aquila ha vissuto parecchi anni tenendo in scacco l’esercito piemontese conquistatore), e poi abbiamo continuato la discesa, ripida ma tranquilla e ben segnalata, superato lo spiazzo erboso che a volte ospita l’elicottero di soccorso, poco lontano dall’antica casa del pastore, e finalmente si giunge ai laghetti.

Qui naturalmente in bagno non ce lo toglieva nessuno, eravamo arrivati molto presto (ti credo, l’appuntamento per la partenza da Siracusa era per le 7, ma sicilianamente “trattabili”) e non c’era ancora nessuno, anche perché l’ingresso più facile si trova dalla parte opposta, nella zona sud perché si arriva più comodamente in macchina fino alla zona attrezzata e servita da bar .

Noi alle 9 eravamo già lì a sguazzare nella freschissima acqua dei laghetti e a farci le Jacuzzi fornite dalle numerose cascatelle di questi luoghi spettacolari e pulitissimi.

Poi è cominciata la parte interessante perché invece di riprendere con la salita normale, abbiamo cominciato ad affrontare direttamente il fiume, che non è gigantesco, più torrente che altro, ma in alcuni tratti non è certo da trascurare.

Cominciamo a scendere nell’acqua, quasi tutti con le normali scarpe, per ripercorrere tutto il percorso del fiume (tranquilli, il percorso non è molto viscido, la natura delle pietre calcaree e del’acqua aiuta anche in questo); in breve l’acqua ti arriva alle ginocchia, poi alla vita poi sempre più su fino quasi a sommergerti e devi proseguire a nuoto per diversi tratti. Qui si è vista la capacità e l’ingegno di chi non si era equipaggiato con i famosi zaini “impermeabili” e ha fatto di tutto per salvare il salvabile, con sacchetti di plastica o portandoli in testa, tipo sherpa tibetani, cercando di passare nei luoghi meno profondi, aggrappandosi alle liane (pardon, fichi e altre piante locali), per fortuna che ad ogni tratto guadagnato lo spettacolo ripagava le fatiche, le scivolate e le piccole contusioni (a volte veri e propri tonfi nell’acqua). Il buon Pippo naturalmente ci precedeva e ogni tanto (anzi, ogni spesso) ci immortalava con la scusa di preparare il suo prossimo scoop sul National Geographic.

In questo modo abbiamo risalito un bel tratto del fiume giungendo fino alla nostra successiva tappa, un altro laghetto verde smeraldo e raggiungibile anche dalle zone superiori oltre che dal corso del fiume, anche se non sembrano essere molte le persone appassionate di torrentismo da queste parti.

Qui finalmente ci si ferma per davvero, sotto un sole che riscalda e che ci asciuga deliziosamente, per consumare il nostro pranzo, controllando quanto dei nostri panini si fosse salvato dalle molteplici immersioni nell’acqua. Ma poco dopo Pippo ci riporta con i piedi in acqua per andare a a vedere gli splendidi laghetti di Venere famosi, dice lui, per le loro virtù taumaturgiche tipo la ricrescita dei capelli per i calvi e il recupero delle forme femminili ecc. ecc.

Peccato che nessuno avesse voglia di provarci, perché è vero che non avremmo più rimesso i piedi in acqua, ma il tempo si stava preparando per un’altra sorpresa, infatti cominciando la risalita ecco un bel acquazzone estivo (da quanto tempo non camminavo con lo zaino sotto l’acqua?), pochi minuti e la pioggia ci avvolge fornendo un’ottima distrazione per sentire meno la fatica di quella risalita tra sassi scivolosi, erba tagliente, rami che grondano docce appena li afferri…. e altre piacevoli amenità.

Ma ormai ci siamo, giungiamo al Pianoro dell’ingresso nord, attraversiamo le pecore e le capre sparse vicine alla masseria e ci godiamo ancora un po’ di questa vita selvaggia.

Sono ormai le 16 quando riprendiamo la strada del ritorno, umidi, accaldati, stanchi ma veramente soddisfatti e pieni di immagini incredibili. A questo punto blocco la registrazione del percorso (fatta con Komoot) per avere un po’ di elementi utili per una prossima volta. Il tempo di marcia sicuramente è un po’ ballerino, visto che il nostro percorso è iniziato verso le 8 del mattino e a parte qualche sosta panoramica e il pranzo, non ci sono stati momenti di effettivo stop. Pippo parlava di 6 ore di marcia. mi sa che ci sono state tutte!

Ovviamente l’album con le foto di Cavagrande del Cassibile è visibile qui, anche se durante la parte migliore, spesso immersi sott’acqua, possiamo contare solo sulle foto di Pippo (quando arriveranno)

4 salti nel passato

4 salti nel passato

Domenica 12 – la nostra casa al 4 piano di via Enna è stranamente deserta, Nina e Rosa sono a Palermo e ci siamo solo io e Ricky: il caffè, un po’ di lavoretti, qualche lavatrice, il nuovo rubinetto flessibile per sfruttare l’acqua del serbatoio sul tetto (ogni tanto succede che in questo quartiere la distribuzione dell’acqua segua il calendario maya!)

Nella mattinata c’è con noi Omar per le battute finali di preparazione al suo esame da privatista, cerchiamo insieme di scrivere un testo, ripassando gli ultimi argomenti. E’ ammirevole questo giovane gambiano, perché anche ieri sera è andato a lavorare nel locale dove arrotonda un po’ gli spiccioli (fin dopo la mezzanotte) e anche questa sera farà lo stesso. Nonostante la difficoltà dell’esame e la scarsa vicinanza dei docenti (uno dei quali ha mandato solo ieri alcune indicazioni per le prove d’esame…).
Lo invitiamo a pranzo, preparazione rapidissima, una pasta allo scoglio e un trancio di salmone alla piastra (sigh, abbiamo dimenticato la carta di alluminio presso il campo, saranno dolori ripulirla!).

Poi con Ricky partiamo per la nostra esplorazione domenicale, alla volta del teatro greco di Palazzolo Acreide; lo raggiungiamo facilmente (ma ci vuole più di mezz’ora di macchina) e ce lo godiamo in beata tranquillità, approfittando della quasi totale assenza di turisti. Oltre a noi 2 c’è solo una coppia e il personale del sito archeologico, 6 persone in tutto.
E io che pensavo che Palazzolo fosse un appannaggio della Brianza…

Il sito è veloce da visitare, il teatro adagiato sulla collina è grazioso e molto semplice, non ha certo l’imponenza di quello di Siracusa, anche se l’abitato era sorto proprio come prima colonia siracusana. Ma le cose più interessanti non sono nella cavea e nella scena ben conservate e ancora oggi utilizzate, il bello viene… all’intorno.

Sono infatti molto interessanti le due latomie adiacenti, quella dell’Intagliata (liberamente visitabile) e quella dell’Intagliatella (chiusa al pubblico, avendo reperti più delicati). Ripenso ai diversi commenti trovati su GMaps dove molte famiglie ricordano con piacere l’avventura di esplorazione con i propri ragazzi, una visita all’Indiana Jones, per intenderci.

E in effetti è davvero interessante entrare nelle cave, scendere nelle tombe, visitare i vari loculi ricavati nel tempo. Se non altro, data la forte calura estiva, il fresco era godibilissimo. Mi ricordano da vicino le impressioni provate nella necroppoli di Castel d’Appio a Viterbo, con scenari molto simili…. e le stesse mosche a sciabolare nel buio traiettorie musicali.

Ma avevamo anche un piano B: vedere dove si trovava la necropoli di Pantalica. Pensavo ad un luogo molto circoscritto e puntuale, non ci aspettavamo una estensione così vasta.

Ci siamo prima fermati presso il fiume Anapo, dove un tempo passava anche la ferrovia (oggi il sentiero che la sostituisce è percorribile a piedi o in bici, previa autorizzazione). C’è una sorta di gabbiotto con tanto di personale, gentilissimo, che fornisce rapide informazioni sul luogo e le modalità di accesso.

Dopo uno sguardo al fiume, limpido e fresco, riprendiamo la strada e facciamo rotta verso Pantalica (anche se come al solito i siciliani sono avari di indicazioni e cartelli).

Boschi, tornanti, brughiere, tracce di incendi, ponti nuovissimi, colline assolate e b&b dai nomi esotici; ma la strada continuava e allora continuiamo a seguirla fino al parcheggio conclusivo, dove troviamo una bella folla di turisti di ritorno dai sottostanti laghetti (una mezz’oretta di strada, ci hanno detto).

Lungo il percorso si potevano scorgere numerosi, in lontananza, i luoghi con necropoli, grotte, abitazioni e segni della preistoria. Sono oltre 5000 nel parco, che si rivela davvero suggestivo. Ma servirebbe più tempo e calma per esplorarlo con gusto. Ci potremo tornare (ma Ricky conferma che fino ai laghetti… neanche a pensarci!).

Rientriamo in serata a casa, dopo aver macinato in tutto quasi un centinaio di km e conservando negli occhi i paesaggi suggestivi di questo pomeriggio.

Ed ecco qui una carrellata di immagini di questa domenica pomeriggio, a zonzo tra il sito archeologico di Palazzolo Acreide e Pantalica.

Ma quante belle ville…

Ma quante belle ville…

E lasciamo pure perdere Madama Dorè, non si tratta in questo caso di uno dei suoi sogni. Qui in Sicilia le vestigia romane antiche davvero si sprecano e come spesso accade sono così numerose, insieme a quelle greche e dei popoli anteriori, che non si riescono a valorizzare appieno…

Terminato il lockdown anche i siti archeologici si sono ripresi il loro spazio e la Regione Sicilia si è data da fare per ricordarlo un po’ a tutti. Banner, giornata del Fai, siti istituzionali che invitavano a tornare in luoghi speciali… Mi era caduta l’attenzione su una proposta che sembrava allettante: la Villa del Tellaro, tra Avola e Noto, poco lontano dalla mia Siracusa. Non potrà certo competere con Villa Armerina (che mi manca ancora da visitare) ma la vicinanza giocava a suo favore.

Così approfittando della calma di una domenica pomerigigo siamo andati con Ricky a visitarla. O almeno, questa era l’intenzione, perché con la scusa che da Catania in giù l’autostrada è gratis (ma spesso anche le condizioni lasciano molto a desiderare, tra segnaletica e apparente abbandono…) dopo aver imboccato la E45 all’altezza di Cassibile e avendo “calcolato” che l’uscita migliore doveva essere quella dopo Noto…. siamo arrivati fino alla fine ontologica di questa autostrada, a Rosolini (mi sembrava quasi di essere a Cuneo, dove un troncone giustamente si conclude) e tra indicazioni un po’ ballerine e bislacche… ce ne siamo tornati indietro per quella che era invece l’uscita giusta: Noto. Poco danno, solo una ventina di km in più, su strada deserta, ampia, assolata… benvenuti in Sicilia.

Ma finalmente siamo arrivati alla Villa. Si tratta in pratica di una vecchia masseria del ‘7/800, costruita sui resti di una villa romana; nel secolo scorso hanno iniziato gli scavi perché affioravano alcune evidenze interessanti e così sono venuti alla luce dei mosaici veramente notevoli. Sono stati riparati con una grande tettoia, ma con ampie aperture alla base. Il “pezzo forte” è quindi la passeggiata sotto questa tettoia, un ventina di metri, per ammirare quanto rimane dei mosaici. Essendo comunque all’aria aperta il caldo e la polvere possono ancora infierire. Infatti la prima cosa che mi ha fatto notare Ricky, facendo un rapido confronto con Villa Armerina, è proprio questa forte differenza di conservazione, qui piuttosto approssimativa e in balia di vari agenti atmosferici (salvo pioggia e grandine!), i mosaici risultano quasi “sbiaditi” e questo non aiuta a coglierne la bellezza. Per il resto l’estensione dei mosaici di Villa Armerina, secondo Ricky, è almeno una ventina di volte maggiore!

Ci sono alcune rappresentazioni mitologiche e altre parti con motivi ornamentali e floreali. Indubbiamente doveva essere una villa di prestigio. Tutt’intorno si vedono altri resti portati alla luce; le dimensioni della villa sono ancora maggiori e non tutto è stato ripristinato. Ma a conti fatti il sito si visita in poche manciate di minuti. Ricky dopo 10 era già uscito, io, con maggior pignoleria e con la scusa di qualche foto, in meno di mezz’ora avevo esaurito gli spazi da vedere e gli scorci da immortalare.

Altre cose da vedere, all’interno, sono i recuperi di alcuni locali, scavi delle fondamenta e delle tubature, un forno, pochi altri resti,che erano stati sommersi ed inglobati nella masseria.

Quando siamo usciti stava arrivando un’altra piccola comitiva. Al personale d’ingresso ho chiesto quante persone erano già venute nella mattinata, in tutto una ventina. Per una piccola realtà era comunque il numero “giusto”. Insomma, passando da Noto, capitale del Barocco e curiosando nella zona di Avola, una piccola digressione per questo sito ci può stare davvero bene.

Ma ecco l‘album fotografico per la Villa del Tellaro