Sfogliato da
Categoria: personal-gb

A Entracque, escursione alle Gorge

A Entracque, escursione alle Gorge

In questi giorni di relax ho avuto l’opportunità di passare alcuni giorni ad Entracque, rivedere cari amici e cari luoghi. E fare qualche passeggiata in questo luogo davvero speciale.

Il primo giorno siamo andati al Rifugio Genova, con Marco e altri amici; il secondo giorno ho invitato Br. Jeff, John e Omar (della casa generalizia del Fratelli Maristi) ad una breve escursione, la “classica” che spesso si propone a chi deve rimettere un po’ in moto le gambe e iniziare ad apprezzare le bellezze di queste montagne: le Gorge della Reina.

E come ogni tanto mi capita ho buttato giù anche 2 righe per le solite recensioni di Google; ultimamente arrivano numerosi messaggi un poì enfatici, del tipo “Complimenti, le tue foto sono state viste da migliaia di persone… ” mi sembrano un po’ tanti, ma queste righe servono essenzialmente a fissare nella memoria (la mia, in questo caso!) e poco altro, se possono far piacere ed aiutare altre persone, perché no?

Ecco il testo che ho sottoposto per la recensione su Google:
La mia prima visita a questo luogo risale al luglio del 1969! Era un bambino di 5 elementare e ricordo ancora la gola interamente ostruita dalla neve/ghiaccio che durante l’inverno si era accumulata. Si entrava passando sotto la neve, e siccome si formava un tunnel per lo scioglimento, l’effetto “glaciale” era molto suggestivo. Ho visitato queste gole a più riprese, quasi sempre d’estate e con gli anni che passano ho visto il rapido cambio: negli ultimi 20 anni non ho mai più trovato la neve in estate e mi è capitato di andarci ai primi di dicembre e trovare ancora tutto vuoto e senza neve. Gola suggestiva, che non ti aspetti nel panorama montuoso di Entracque, ma da questa parte le rocce calcaree offrono scenari simili a quelli delle dolomiti (ho spesso sentito usare il termine “dolomiti di Entracque”, sono le montagne che si ammirano uscendo dalla chiesa principale del paese. Da Entracque ci si arriva in un’ora (occhio ai cartelli, il primo, vicino all’Hotel 3 Etoiles indica 40 minuti, dopo aver percorso quasi un quarto d’ora si incontra un secondo cartello che invece riporta…. 45 minuti !); il sentiero è questo tutto in ombra e l’ultimo tratto attraversa un fitto bosco di faggio, con un effetto molto suggestivo. La gola è lunga una 50ina di metri, ci sono anche alcune piccole cavità laterali, l’acqua filtra sotto le rocce e non sempre risulta visibile lungo il sentiero. Alla fine della gola si apre una sorta di vallata ad imbuto, molto gradevole e verdeggiante di arbusti. Prima dell’ingresso (o all’uscita), i fianchi dei monti sono molto ricchi di lavanda e di origano (ed è possibile raccoglierli, ovviamente con criterio e senza sradicare le piante). Nei pressi c’è anche una parete attrezzata per la palestra di roccia.

Ed ecco l’album delle foto di questa rapida escursione alle Gorge della Reina

Una meraviglia di vallata

Una meraviglia di vallata

Avevo un lungo conto in sospeso con la valle delle Meraviglie. Una storia che risale ormai a 36 anni fa. Era il 24 agosto del 1984. Con un gruppo di amici eravamo partiti proprio da Sanremo, in jeep, una bella campagnola Fiat, alla volta di questa famosa vallata. Io ero il piccolino del gruppo, insieme a me c’erano papà Graziano e mio fratello Franco, poi fr. Nito Moraldi, l’esperto botanico e conoscitore della zona (se non sbaglio gli endemismi della vallata erano l’oggetto della sua tesi di laurea), poi c’erano Giancarlo Rilla, allora impiegato al Comune di Sanremo (divenne poi il primo webmaster del sito di Sanremo), alla guida c’era Gerard, cognato di fr. Nito e gestore di un albergo proprio all’ombra della Madonnina di Milano e concludeva il drappello il fotografo Moreschi, che da poco ha chiuso il suo storico studio fotografico, a pochi passi dall’Ariston.

Era mattina presto, un bel fresco, anche perché nella notte aveva piovuto; avevamo imboccato una delle strade militari che portavano alla valle, vero la Rocca dell’Abisso, una tipica strada sterrata, ben tratteggiata sui fianchi della montagna, ma senza nessun fronzolo o protezione a valle. Giancarlo per gustarsi il fresco si era abbarbicato all’esterno, e per essere più sicuro voleva quasi legarsi alla macchina. Meno male che la manovra era un po’ complicata e così ha desistito subito, restando aggrappato con le mani ai maniglioni. Noi dentro eravamo allegri come scolaretti in gita, Moreschi spiegava a Nito quali obiettivi utilizzava per le riprese macro, io guardavo il panorama. Poi ad un certo punto qualcosa è andato storto. Ricordo che la macchina ha iniziato a …rotolare, ci siamo adagiati su un fianco della scarpata piena di cespugli, forse la pioggia recente, il fondo poco solido, insomma la macchina ha iniziato a rotolare sul fianco verso il fondovalle. Ricordo ancora con un senso di stranissima attesa quel primo giro, poi il secondo e infine il terzo. A quel punto la macchina si è sfasciata, si è rotta la parte superiore imbullonata che non ha più retto e ci ha praticamente scodellati lungo il pendio, disseminandoci tra i cespugli, in un raggio di 40-50 metri, data la pendenza molto pronunciata. Poi la macchina ha continuato il suo ruzzolare fino a fondo valle, circa 300 metri più in fondo. Se penso alle jeep di oggi, con una scocca unica, so bene come sarebbe finita la storia. 6 funerali, perché Giancarlo, appena ha visto la macchina prendere la discesa è subito saltato a terra. E sarà proprio lui, dopo essersi sincerato che fossimo ancora vivi, pur nutrendo forti dubbi, andrà a chiamare i soccorsi.

Soccorsi che arrivano dopo circa 2 ore, da Cuneo; ricordo ancora la dottoressa, premurosa ma un po’ avventata che scivolando con le sue scarpe… se le era addirittura tolte e cercava di capire le nostre condizioni muovendosi praticamente scalza tra quei cespugli, rischiando anche lei di ruzzolare.

Morale della favola: papà Graziano ha avuto un paio di costole rotte, mio fratello una vertebra lombare incrinata, io una bella frattura alla scapola destra (che ancora oggi, di quando in quando, mi ricorda l’accaduto, anche se purtroppo non mi predice nessun cambiamento meteo); Nito con delle belle ferite alle gambe, Moreschi con qualche altra frattura e il povero Gerard, il più malconcio del gruppo, con trauma cranico e diverse fratture alle gambe. Diciamolo pure, un vero miracolo, soprattutto visto dalla prospettiva del rottame che si trovava a fondovalle!

Consultando l’Archivio de La Stampa sono riuscito a recuperare questi due articoli; pochi anni prima un certo Beppe Grillo aveva vissuto una vicenda simile e proprio nel 1984 si celebrò il processo per quell’incidente. Decisamente è una zona poco propizia ai…fuori strada!

Auto nel precipizio sei feriti a Limone
Nella stessa strada dell’incidente di Grillo Auto nel precipizio sei feriti a Limone Il più grave è un ligure, direttore d’albergo a Milano – Tra le vittime tre sacerdoti (due sono fratelli, originari di Pinerolo) LIMONE — Sei persone, fra cui tre sacerdoti, sono rimaste ferite in un Incidente…
La Stampa 25/08/1984 – numero 201 pagina 15

Leggi testo articolo – Articoli di questa paginaSi rovesciano con una jeep
Durante una gita a Limone Si rovesciano con una jeep Feriti albergatore e fotografo di Sanremo LIMONE — Bel persone, tra cui tre sacerdoti, sono rimaste ferite In un Incidente stradale avvenuto ieri mattina sulla strada militare che da Limone conduce al fortini, la stessa dove nel dicembre 1981 …
La Stampa 25/08/1984 – numero 201 pagina 16

Esattamente dopo 30 anni ci siamo ritrovati ancora tutti quanti per festeggiare questo evento così incredibile, con una bella cena preparata da papà Graziano, avevamo persino tirato fuori il bottiglione di vino e quello di alpestre che altrettanto miracolosamente erano scampati all’incidente… Non li abbiamo nemmeno assaggiati, rimandando la degustazione ad un prossimo incontro… ma ormai l’equipaggio comincia a perdere pezzi…

Insomma, io questa Valle delle Meraviglie non ero più riuscito ad andare a vederla. Una volta ci sono arrivato vicino, da Entracque, durante le vacanze, ma con la scusa che di solito ero impegnato con i campi e con i ragazzi, non era facile staccarsi per altre divagazioni. Unica volta che si era pensato di organizzare un’uscita insieme… sono persino riuscito ad ammalarmi per un paio di giorni. Insomma, questa meraviglia si faceva troppo desiderare.

Come parziale consolazione qualche anno fa, approfittando di un itinerario tranquillo verso casa, passando da Tenda, mi ero soffermato a visitare il Museo delle Meraviglie… almeno per contemplare da vicino qualche iscrizione rupestre…

E finalmente venerdì scorso, 14 agosto, con un fratello e due cugini, mi sono tolto questa soddisfazione. Insomma, quasi un affare di famiglia…

Sveglia all’alba, o poco prima, appuntamento al campo Ippico di Sanremo e poi in macchina si oltrepassa Ventimiglia, si entra nella Val Roya e si prende la deviazione per Casterino, lasciamo la macchina nei pressi della diga e della centrale EDF e iniziamo finalmente il nostro viaggio.
Rigorosamente a piedi, penso che questa volta ce la possiamo fare. 🙂

Gianfranco, la nostra guida, è l’esperto del gruppo, con tante escursioni sulle spalle (e sulle gambe), noi altri, per forza di cose, escursionisti del fine settimana, senza pretese ma con discreto impegno e poi la strada è davvero bella. Saliamo gradualmente immersi nei boschi di larici del Parco. Giunti al primo fontanile del sentiero prendiamo la deviazione nel canalone per evitare l’ampio giro della carozzabile. Verso quota 2000 iniziano i pratoni e poi le grandi distese di roccia, i sabbioni tipici di queste montagne (non siamo lontani dal parco delle Alpi Marittime, che sicuramente conosco meglio).

Arriviamo al Rifugio delle Meraviglie, pittorescamente collocato sopra un bacino artificiale che in questo paesaggio è perfettamente inserito, tra i tanti laghetti naturali. Numerosi i turisti, i viandanti, le comitive. Ma con grande attenzione al covid, soprattutto presso il rifugio; d’altra parte siamo tutti equipaggiati di mascherina e ci vuole un attimo a recuperarla, anche se qui in montagna sembra quasi un’assurdità. Meglio assurdi che ingenui.

Dopo il rifugio si moltiplicano i cartelli e le segnalazioni , ma le prime iscrizioni rupestri sono abbastanza lontane, quasi un’ora di cammino dalla casa. Tante le raccomandazioni, anche a chi utilizza i bastoncini ferrati (obbligo di utilizzare i puntali di plastica, per evitare “involontarie” aggiunte ai graffiti, un divertimento che purtroppo è stato molto diffuso negli ultimi 2 secoli). Quando finalmente arriviamo vicino a queste tracce che hanno sfidato i secoli (risalgono per la maggior parte all’età del Rame, 3-4000 anni fa) ci dedichiamo finalmente a contemplare queste scritture che il tempo e i nostri avi ci hanno tramandato. Ci sentiamo un po’ tutti più liguri, in questi frangenti, e tutto sommato questo slancio localista ci può anche stare. Me ne ricorderò quando tornerò in quel di Cassibile o nella necropoli iblea di Pantalica…

A dire il vero le iscrizioni visibili non sono tantissime, molte sono al riparo dei curiosi e il sentiero va rispettato con cura; ma quanto si vede è sicuramente sufficiente per giocare con la fantasia e immaginarsi alle prese di queste popolazioni antiche, soggiogate dal monte Bego (che con i suoi depositi ferrosi era uno di quelli che attirava più fulmini di tutti gli altri e un fulmine in montagna fa sempre un certo effetto, ne so qualcosa!); un temporale in montagna ti fa sentire davvero piccolo e insignificante, diventa quasi automatico aggrapparsi a qualcosa di più grande… ed era proprio in questa zona il cuore sacro degli antichi liguri.

Ci fermiamo con più calma davanti all’iconico Cristo delle Meraviglie e quasi dispiace scoprire che in partenza forse altro non era che il ricordo di un recinto per gli animali, poi trasformato in figura antropomorfa. E poi le leggende camminano da sole…

Pranziamo vicino al laghetto, siamo a quota 2400, il sole picchia, ma tenere i piedi a mollo per qualche minuto è una sfida, ma di quelle rinfrescanti che si fanno volentieri. Poi con calma riprendiamo la via del ritorno, guardiamo con aria di sufficienza le numerose jeep parcheggiate vicino al rifugio e seguiamo con pazienza lo stradone, quasi tutto all’ombra. A ben vedere le ore di marcia si stanno accumulando. A conti fatti, al nostro arrivo, saranno quasi 8 ore di camminata, per un totale di circa 24 km (qui le nostre app fornivano dati un po’ discordanti, la mia indicava “solo” 20 km, quella di Gianfranco almeno 25, preferiamo andare un po’ a spanne, dando la colpa al segnale GPS piuttosto ballerino a queste quote).

Verso le 16, dopo un italianissimo caffè preso in terra francese, riprendiamo la strada di casa. Ora possiamo iniziare a ricordare, rivedere, commentare, condividere le foto… adesso la valle delle Meraviglie può passare dalla ToDoList all’archivio delle esperienze completate. Ne valeva la pena.

Un po’ di sitografia:
la pagina sulla Valle delle Meraviglie – da Wikipedia
L’arte rupestre nell’età del Rame: il Monte Bego – di Andrea Arcà dell’Univ. di Pisa
Il grande anello dei graffiti rupestri del Monte Bego, Valle delle Meraviglie, Parco Nazionale del Mercantour – dal sito Sentieritaliani.it
Siti di incisioni rupestri – Valle delle Meraviglie
Le iscrizioni rupestri del monte Bego – da Online Rock Art Bulletin

E naturalmente ecco qui l’album con le foto dell’escursione alla Valle delle Meraviglie

A spasso per Pompei

A spasso per Pompei

Dal 1 agosto al 4 ci siamo dedicati ad un po’ di relax. Con Nina e Rosa abbiamo preparato un itinerario a partire da Napoli, perché tra una cosa e l’altra, pur essendoci loro passate un po’ di sfuggita, troppi sogni e desideri erano rimasti in sospeso. E così abbiamo cercato di realizzarne almeno qualcuno.

Il primo della lista era la visita a Pompei. Sapendo quanto è vasto questo parco archeologico e quante sono le cose interessanti da vedere, ci siamo accontentati di una semplice “passeggiata” senza nessuna particolare meta. E sinceramente Pompei si apprezza benissimo anche così. La prenotazione della visita (obbligatoria per il covid) era già pronta da diverse settimane. Abbiamo anche avuto la fortuna di parcheggiare praticamente davanti all’ingresso dell’Anfiteatro. E così scopriamo subito che le indicazioni sui vari siti sono ancora piuttosto pasticciate. Su quello ufficiale si dice che c’è una sola entrata, su altri si continua a dire che è operativo anche l’altro ingresso di Porta Marina. Semplicemente ci dicono che per le prenotazioni si può accedere solo dall’Anfiteatro, ma chi arriva senza… procede come al solito. Nel frattempo Nina e Rosa scoprono che ogni negozio, ogni persona, anche quelli che sembrano “istituzionali”, in pratica cercano di venderti qualcosa, una mappa, una guida, un souvenir… marketing selvaggio.
Ma questa è Napoli, ragazze ….

Iniziamo il nostro giro proprio da questo enorme anfiteatro: 20mila posti a sedere, uno stadio niente male; immaginarlo tutto ricoperto da cenere e lapilli dopo la tremenda eruzione del 79 d.C. fa veramente impressione.

Poi ci immergiamo nell’intrico di strade ortogonali di questa grande città, “congelata” per sempre in quella data feroce. Pochi anni prima c’era stato un forte terremoto, nel 62 d.C. e molti palazzi erano lesionati e in fase di ristrutturazione. Pensavo alle tante ricostruzioni dei nostri giorni, dell’Aquila, di Amatrice, e ancora di Avellino (aver visto gli effetti del terremoto del 1981 dal vivo lascia certamente il segno….). Non stupisce che ancora oggi dopo decenni non sia ancora concluso il lavoro di ripristino, in logica coerenza con Pompei, che dopo quasi 20anni rivela ancora i lavori di ristrutturazione per quel terremoto.

Con Nina e Rosa giriamo tranquilli, entriamo nelle splendide case visitabili (molte sono chiuse), ammiriamo l’impluvium, le colonne, i locali affrescati, i mosaici del pavimento. C’è da restare ammirati nel vedere come 2000 anni fa il gusto per il bello, il senso della casa come bene personale e da esibire, siano rimasti quasi intatti. Pensiamo al nostro appartamento, alla cura nel riverniciarlo e sistemarlo. Gesti comuni da secoli.

Ci sono restrizioni nella visita, per evitare assembramenti, alcuni siti interessanti sono per forza chiusi, così non mi dilungo troppo nel mostrare il Lupanare (chiuso anche lui) o altre case 🙂 In pratica dall’Anfiteatro siamo andati a sinistra fino al Foro, lungo la classica e centralissima Via dell’Abbondanza, la “vasca” della Pompei antica.

Ci divertiamo a gironzolare nel grande spazio del Foro, con le sue colonne, le statue ricostruite, i templi. Difficile immaginare come poteva essere veramente. E il caldo si fa sentire, cerchiamo con attenzione di seguire le zone d’ombra, che per fortuna non mancano. Apprezziamo persino le fontanelle (poche ma sufficienti) che attirano numerosi turisti…

Nina, come al solito, viene immortalata nella sua posa preferita: il salto panoramico!

Poi ce ne andiamo tranquillamente a perderci nelle stradine, immergendoci in questo scenario magico e surreale. Verrebbe da immaginare che al prossimo incrocio, nella prossima taberna, si potrebbero incontrare senza difficoltà le persone di un tempo, sembra quasi di sentire il vociare dei cittadini antichi. Se solo non fosse per i tetti assenti, qualche cartello, qualche nastro segnaletico.

Cerco anche di andare verso la Villa dei Misteri, ma prima mi informo e scopro che è chiusa; mi rifaccio con la casa del Fauno, poi con le terme Stabiane, il piccolo teatro (piccolo: 5000 posti!), il suggestivo teatrino per le poesie e per le piccole recite….

Sulla strada del ritorno mi fermo a curiosare lungo gli stand della mostra Vanity, alloggiata nella Palestra grande, un’enorme chiostro ombreggiato e gradevole. Ammirare i piccoli oggetti, i preziosi, i resti del cibo e gli alimenti che utilizzavano gli antichi pompeiani (una bella zuppa di orzo, miglio, farro…) spinge a riflettere su quante cose in comune ancora possediamo con questa gente di 20 secoli fa.Un tuffo nella storia da cui si esce sicuramente più attenti e consapevoli.

https://www.instagram.com/p/CDWG979IkVV/?utm_source=ig_web_button_share_sheet
Ecco il video realizzato da Rosa

Ed ecco l’album di foto di questo breve itinerario in Pompei

leggere su carta “Come un animale”

leggere su carta “Come un animale”

Sono ormai 8 anni, forse più, che ho saltato quasi definitivamente il fosso. Dalla carta allo schermo. Categorico e quasi implacabile. Non ho più comprato un libro di carta se non per regalarlo a qualcuno o per necessità di altro tipo. Con la scusa del Kindle ho iniziato a dedicare il tempo della lettura sempre più spesso allo schermo che alla carta. Pensavo persino di …leggere di meno. Mi sono poi ritrovato che per una scusa o l’altra, un’offerta del giorno speciale o l’altra (questo non lo leggo subito ma… non si sa mai, intanto prendiamolo), nel giro di un anno, a conti fatti, i libri acquistati o presi superavano di gran lunga il centinaio.

Certo non li leggevo tutti, ma lamia biblioteca si è rapidamente spostata prima su hard-disk, poi sul GDrive. E grazie a Calibre e al sacrosanto diritto di possedere almeno una copia dei libri che ho acquistato, anno dopo anno la biblioteca è cresciuta considerevolmente. Siamo ormai oltre al migliaio di testi in digitale.

Ma ogni tanto succede, non vale la pena essere apocalittici o digitali a senso unico. Questa volta galeotta fu la serata in piazza a s.Lucia. Per vivacizzare un po’ il quartiere alcune associazioni si erano date da fare per lanciare alcune iniziative. Mercoledì 22 c’era la presentazione del libro “Come un animale”, di Filippo Nicosia. Un perfetto sconosciuto, ma quando poi te lo ritrovi davanti, lo ascolti e ci parli il tenue confine dell’indifferenza inizia a slabbrarsi. E siccome le “ragazze del CIAO” 🙂 erano tra le organizzatrici non potevamo certo andarcene senza almeno prendere il libro.

Luisa, la promoter che aveva organizzato l’evento, voleva regalarcelo d’ufficio, ma ci sembrava bello come gruppo contribuire alla serata. Inutile dire che a chiedere la firma e la dedica sul libro sono andato io (a nome o forse come rappresentante … delle ragazze del CIAO, cosa ci tocca fare…).
La scusa, poi, era semplice, se non duplice: Nina è appassionata di libri italiani e Rosa ha appena superato l’esame di italiano del C1, quindi …lo abbiamo preso.

Poi, come vuole il destino, il libro è rimasto sulla pila dei libri di Nina e la sua stanza è sempre un bel luogo di passaggio. Così, giusto per non fargli prendere polvere, ho provato a dargli un’occhiata. Anche un po’ come sfida, ogni tanto dallo schermo alla carta è anche giusto passare.

A questo punto entrano in gioco le alchimie del caso. Inizio a leggere le prime pagine e rimango agganciato ad una parola, una località: Manziana. Un luogo che conosco da tempo (diciamo dal 1976?), dove ho fatto diverse attività, incontri, campi estivi, visite… E proprio l’anno scorso ho avuto la fortuna di tornare in quei luoghi che hanno del magico: Monterano, Oriolo, il bosco, la Caldara… ne avevo parlato in numerosi post, dal 10 agosto 19 in poi…

Alcuni dettagli del libro sono freschi e precisi, come di chi ci deve essere stato almeno per un po’ di tempo. A fine serata avevo parlato un po’ con Nicola, l’autore, ma non sapendo ancora nulla della location del libro, ho perso l’occasione per sondare questo aspetto. Quando in un libro si parla di luoghi significativi, che conosci bene e che hai vissuto, cambia immediatamente la prospettiva della lettura.

Non saprei dire se il libro mi abbia entusiasmato molto; ma l’ho finito in un paio di ore (qualcosa vorrà pur dire!) anche se ogni tanto mi sembrava di avere tra le mani una storia con tratti abbastanza inverosimili, una quasi redenzione di un uomo distrutto dal dolore per la scomparsa di moglie e figlio, che cerca nell’isolamento una sorta di attenuazione della sofferenza, ma che ne frattempo si aggroviglia in una relazione sentimentale con una vicina che sembra quasi contraddire questo dolore di fondo. Poi irrompe nel libro un giovane ragazzo, praticamente uno dei figli del boss della zona, che implora quasi il protagonista, un tempo docente di lettere, di aiutarlo a superare l’esame di riparazione, nonostante il padre, violento e manesco, non sia della stessa idea. Varie vicende, qualche colpo di scena, sullo sfondo di tanti elementi tipici della campagna di Manziana.

Che però viene evocata in maniera un po’ distratta, nebulosa, quasi incerta. Alcuni riferimenti, strade e incroci sono ben definiti; ma altri elementi invece sfuggono, a cominciare dalla Solfara (che è sicuramente la Caldara di Manziana), il bosco, la strada del Sasso (lungo la quale per un incidente hanno perso la vita moglie e figlio del protagonista, il “motivo” di fondo che anima il libro).

Ma i luoghi dei libri hanno altre misure e altre coordinate, ci direbbe il buon Umberto Eco, non si misurano col GPS ma col cuore. E anche questo è vero. Io mi sarei sicuramente arrogato il diritto di evocare tombe etrusche, reperti antichi, il lago di Bracciano, il sottobosco lussureggiante, le gallerie e gli ipogei… Manziana offre veramente un ventaglio incredibile di scenari e suggestioni. Ma forse il libro diventerebbe una guida turistica…

Tanti elementi della storia risultano evanescenti, sembrano affidati al sogno (come si mantiene questo protagonista? come vive? dove trova i soldi, come riesce a non gestire una casa come quella descritta, chi cucina?, non di solo birra si può vivere, come gli arriva la posta se non ha fornito indirizzo, non ha telefono e usa persino quello della cabina di Manziana (e non credo che ne esistano più nemmeno in Piazza Tittoni, ma dovrei chiedere al mio amico di Manziana, il pittore Gaetano…). D’altra parte ogni libro deve fare i conti con qualche licenza poetica…

Ma nell’insieme il testo è apprezzabile, il linguaggio è raffinato e il ritmo, scandito dai tanti brevi capitoli, raggrumati sotto l’incedere delle stagioni, si fa leggere con piacere. L’inventio di gesti, manie del protagonista (collezionare insetti in barattoli di vetro e poi sott’alcool), piccoli riti familiari (il Babbo Natale, le compere ai centri commerciali…) risultano plausibili e coerenti con l’intreccio della storia.

Che termina on the road, sulle note del brano Rocket Man di Elton John, e sembra quasi di percepirlo in sottofondo come colonna sonora. Non è un caso che Nicosia lavori concretamente per la televisione e sappia gestire molto bene i ritmi che essa impone.

Tra l’altro è il suo 2 romanzo, il primo con Giunti e questo con Mondadori, insomma, non un editore qualunque. Auguri, Filippo, e buona strada.

Risalendo il fiume Cassibile

Risalendo il fiume Cassibile

Avevamo preparato questa uscita già da parecchio tempo con degli amici appassionati di montagna e di lunghe passeggiate; ci avevano proposto di esplorare la splendida zona dei laghetti di Cassibile, e curiosando in rete avevamo già scoperto di cosa si trattava e allora eccoci pronti, io, Nina e Rosa per il nostro viaggio di esplorazione.

Certo, permaneva qualche pizzico di dubbio perché ci avevano detto di procurarci degli zaini impermeabili e che probabilmente avremmo dovuto fare qualcosa di molto simile a Indiana Jones nell’esplorazione dei canyons tropicali… ma che problema sarà mai, pensavamo noi!

Il nostro gruppetto era formato da una quindicina di persone tutti amici o amici degli amici e ci siamo ritrovati intorno a Pippo che già ci avevano presentato come una mitica guida di questi splendidi luoghi della Sicilia. Quello che non ci avevano detto era che il buon Pippo pochi giorni prima aveva provato inc oncreto questa uscita, verificando che il sentiero fosse fattibile per tutti. E questo a dispetto dei suoi agili 71 anni e di un bel bypass (un semplice “tagliando”, diceva lui) e comunque sembrava ancora il più arzillo e dinamico del gruppo.

Abbiamo cominciato la discesa nella zona Mastra Ronna (chissà perché Mastra al femminile…) cominciando ad apprezzare dal cornicione nord la panoramica spettacolare della Vallata del Cassibile che si stava aprendo davanti ai nostri occhi; un vero e proprio canyon vasto e largo, luogo frequentato dai nostri antenati fin dalle epoche preistoriche.

La prima tappa è stata quella di soffermarci a dare un’occhiata alla splendida grotta del Brigante (con Nina e Rosa stiamo già pensando che probabilmente potrebbe essere una delle nostre prossime mete), un covo spettacolare e suggestivo (se non ci credete gustatevi questo video del Brigante Boncoraggio che in questo nido d’aquila ha vissuto parecchi anni tenendo in scacco l’esercito piemontese conquistatore), e poi abbiamo continuato la discesa, ripida ma tranquilla e ben segnalata, superato lo spiazzo erboso che a volte ospita l’elicottero di soccorso, poco lontano dall’antica casa del pastore, e finalmente si giunge ai laghetti.

Qui naturalmente in bagno non ce lo toglieva nessuno, eravamo arrivati molto presto (ti credo, l’appuntamento per la partenza da Siracusa era per le 7, ma sicilianamente “trattabili”) e non c’era ancora nessuno, anche perché l’ingresso più facile si trova dalla parte opposta, nella zona sud perché si arriva più comodamente in macchina fino alla zona attrezzata e servita da bar .

Noi alle 9 eravamo già lì a sguazzare nella freschissima acqua dei laghetti e a farci le Jacuzzi fornite dalle numerose cascatelle di questi luoghi spettacolari e pulitissimi.

Poi è cominciata la parte interessante perché invece di riprendere con la salita normale, abbiamo cominciato ad affrontare direttamente il fiume, che non è gigantesco, più torrente che altro, ma in alcuni tratti non è certo da trascurare.

Cominciamo a scendere nell’acqua, quasi tutti con le normali scarpe, per ripercorrere tutto il percorso del fiume (tranquilli, il percorso non è molto viscido, la natura delle pietre calcaree e del’acqua aiuta anche in questo); in breve l’acqua ti arriva alle ginocchia, poi alla vita poi sempre più su fino quasi a sommergerti e devi proseguire a nuoto per diversi tratti. Qui si è vista la capacità e l’ingegno di chi non si era equipaggiato con i famosi zaini “impermeabili” e ha fatto di tutto per salvare il salvabile, con sacchetti di plastica o portandoli in testa, tipo sherpa tibetani, cercando di passare nei luoghi meno profondi, aggrappandosi alle liane (pardon, fichi e altre piante locali), per fortuna che ad ogni tratto guadagnato lo spettacolo ripagava le fatiche, le scivolate e le piccole contusioni (a volte veri e propri tonfi nell’acqua). Il buon Pippo naturalmente ci precedeva e ogni tanto (anzi, ogni spesso) ci immortalava con la scusa di preparare il suo prossimo scoop sul National Geographic.

In questo modo abbiamo risalito un bel tratto del fiume giungendo fino alla nostra successiva tappa, un altro laghetto verde smeraldo e raggiungibile anche dalle zone superiori oltre che dal corso del fiume, anche se non sembrano essere molte le persone appassionate di torrentismo da queste parti.

Qui finalmente ci si ferma per davvero, sotto un sole che riscalda e che ci asciuga deliziosamente, per consumare il nostro pranzo, controllando quanto dei nostri panini si fosse salvato dalle molteplici immersioni nell’acqua. Ma poco dopo Pippo ci riporta con i piedi in acqua per andare a a vedere gli splendidi laghetti di Venere famosi, dice lui, per le loro virtù taumaturgiche tipo la ricrescita dei capelli per i calvi e il recupero delle forme femminili ecc. ecc.

Peccato che nessuno avesse voglia di provarci, perché è vero che non avremmo più rimesso i piedi in acqua, ma il tempo si stava preparando per un’altra sorpresa, infatti cominciando la risalita ecco un bel acquazzone estivo (da quanto tempo non camminavo con lo zaino sotto l’acqua?), pochi minuti e la pioggia ci avvolge fornendo un’ottima distrazione per sentire meno la fatica di quella risalita tra sassi scivolosi, erba tagliente, rami che grondano docce appena li afferri…. e altre piacevoli amenità.

Ma ormai ci siamo, giungiamo al Pianoro dell’ingresso nord, attraversiamo le pecore e le capre sparse vicine alla masseria e ci godiamo ancora un po’ di questa vita selvaggia.

Sono ormai le 16 quando riprendiamo la strada del ritorno, umidi, accaldati, stanchi ma veramente soddisfatti e pieni di immagini incredibili. A questo punto blocco la registrazione del percorso (fatta con Komoot) per avere un po’ di elementi utili per una prossima volta. Il tempo di marcia sicuramente è un po’ ballerino, visto che il nostro percorso è iniziato verso le 8 del mattino e a parte qualche sosta panoramica e il pranzo, non ci sono stati momenti di effettivo stop. Pippo parlava di 6 ore di marcia. mi sa che ci sono state tutte!

Ovviamente l’album con le foto di Cavagrande del Cassibile è visibile qui, anche se durante la parte migliore, spesso immersi sott’acqua, possiamo contare solo sulle foto di Pippo (quando arriveranno)