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Una settimana a Tui

Una settimana a Tui

Ho trascorso questa rilassante settimana di inizio agosto nella nostra casa marista di Tui, un paesino che si trova proprio sul confine con il Portogallo, nel nord della Spagna. Siamo in Galizia e il fiume Mino separa proprio i due paesi; il centro di Tui si trova così di fronte alla fortificazione portoghese di Valença.

Nei ritagli di tempo libero ho potuto quindi visitare questo centro, davvero interessante. Piccolo abitato, non dovrebbe superare i 10mila abitanti, ma la sua storia e la sua configurazione, richiamano un numero notevole di turisti e visitatori. Il centro è tipicamente medievale, con un reticolo di stradine, archi, gallerie ed edifici dal sapore veramente affascinante. Il cuore della cittadina si articola intorno al grande edificio della Cattedrale, questa sì veramente degna di nota (anche se adesso la diocesi comprende Tui e Vigo).

Si giunge nella piazza centrale e si rimane stupiti dalla compattezza e idea di fortezza che emana dalla facciata. Perché proprio di fortezza si tratta e la storia di questo centro di confine non è diffiicle da comprendere. Visitarla richiama quel senso di mistico rispetto per le navate gotiche che si slanciano dal buio verso la luce, un fascino discreto e gratificante. Direttamente collegato alla cattedrale l’ampio chiostro, ben conservato ed utilizzato ancora oggi (proprio in questa settimana si svolgeva un festival di musica, dal flamenco al jazz, dal classico al folklore musicale di Capo verde). Un po’ nascosto nel lato più esposto del chiostro, l’ingresso per la torre fortilizia, edificata per avvistare, difendere e proteggere l’intera cittadina. Mura possenti, nel granito grigio che qui domina in tutte le costruzioni. Lo spettacolo del fiume e dello spazio “straniero” di fronte ora rimane solo un richiamo alla storia, perché i due paesi frontalieri sono oggi un esempio di cittadina europea sui generis, mi dicono che se preferisci avere le cure in Portogallo o concludere alcune pratiche in Spagna, qui è lo stesso, integrazione che per chi viene da Melilla sa di fantascienza. O di auspicato futuro!

Lasciando la cattedrale, è bello perdersi senza troppe mete nei vicoli del centro, alcuni davvero suggestivi, con una pavimentazione in lastroni grezzi che spesso lascia il posto alla nuda roccia, visto che il paese sfrutta una posizione elevata vicinissima al fiume, strategicamente scelta già dai tempi antichi quando i romani organizzarono questi territori… in questo borgo c’era persino un quartiere ebreo fiorente, che logicamente cambia faccia nel 1492, con la Reconquista e la cacciata degli ebrei (ma in molti restarono, in modalità semiclandestina o con altri escamotage). Di sera ogni ancolo si ripopola e spuntano bar e taperie nei luoghi più suggestivi e passeggiando si possono decifrare menu a base di pulpo alla gallega, mariscos e altri piatti tipici di Galizia. La birra? neanche a pensarci, qui trovi quasi solo la Estrella Galizia. E mi sembra logico…

I dintorni sono altrettanto interessanti; è possibile seguire il fiume fino al grande ponte ferroviario e automobilistico che collega le due cittadine. Interessante attraversare un confine senza nessuna guardia, controllo o altro. Il confronto con la mia Melilla e la frontiera di Beni Enzar è davvero impietoso; da un lato ore di attesa, timbri e controlli, qui il semplice calpestare una linea pitturata sul suolo e ci si ritrova in un altro luogo. E subito la lingua cambia, le scritte, i suggerimenti, non è così automatico passare dallo spagnolo al portoghese, anche se il gallego, la lingua di qui, è già un mix interessante di questi due mondi. Il piccolo centro fortificato di Valença è un brulicare di turisti, la strada centrale si trasforma in un mercatino attorniato da bar e ristoranti; ma uno la visita soprattutto per la sua incredibile fortificazione, creata nel 1600 a scopo difensivo. Mura, contromura, percorsi ad ostacoli, tunnel e soluzioni controintuive per ostacolare eventuali assalti e conquiste. E naturalmente, guerre su guerre, assalti, attacchi. Se non fosse che la cronaca di questi tempi è altrettanto infarcita di guerre e attacchi, sarebbe quasi romantico pensare ai tempi che furono… e che invece si ripropongono con rinnovata assurdità.

Poi ci sarebbero anche i dintorni di Tui, con il suo monte Aloia ricco di sentieri e punti panoramici, o i parchi con abbondanti zone umide che si incontrano vicino al fiume…

Insomma, valeva davvero la pena curiosare da queste parti.

Più che alle tante parole, meglio affidarsi allora a questa carrellata di immagini di Tui

Un battito di farfalla…

Un battito di farfalla…

Quando il climatologo Edward Lorenz, negli anni ’60 coniò in modo poetico il “principio farfalla”, il butterfly effect, voleva chiarire che a volte piccoli cambiamenti o impercettibili differenze, possono provocare disastri o mutamenti impressionanti, qualche tempo dopo e in località apparentemente scollegate dal luogo iniziale.

“Un battito di farfalla in Valtournanche può causare un tornado nelle contrade del Texas”… e in questi giorni di Dana, nubifragi sparsi e caldo torrido, la cosa non ci sconvolge più di tanto. L’abbiamo capita e metabolizzata.

Quello che invece non avevamo calcolato, ad esempio qui a Melilla, era che alcune decisioni e scelte politiche dell’impavido presidente degli USA avrebbe causato modifiche anche nelle nostre riunioni e tavoli operativi…

Nella piccola realtà di Melilla, avamposto dell’Europa in terra Africana, porta d’ingresso sognata e sperata da molti verso un Eldorado dei diritti civili, poi accuratamente richiusa e sprangata con una recinzione da film distopico, sono presenti numerose ONG, associazioni, gruppi d’impegno e volontariato per venire incontro alle numerose necessità di questo territorio.

Da anni abbiamo la consuetudine di riunirci, mensilmente, per discutere, informare, condividere notizie e modalità di intervento. Poche settimane fa gli amici di UNHCR (Acnur, come si dice qui) ci hanno informato che, a causa dei tagli provocati dall’amministrazione Trump, i loro fondi si erano drasticamente ridotti provocando di fatto un ridimensionamento rapido e inevitabile. In pratica, con il primo di settembre Acnur non sarà più presente a Melilla; a Malaga, dove erano maggiormente presenti si ridurrà l’organico e la stessa cosa succederà nelle Canarie (attualmente il principale canale di ingresso in Europa per tanti migranti e richiedeti asilo…). Di punto in bianco le cose cambiano e si dovrà far di necessità virtù.

Come mai? Il flusso di migranti si è notevolmente modificato da queste parti, dopo il tentativo di “assalo alla Valla”, culminato nel massacro noto con il nome di 24J (era proprio il 24 giugno del 2022). Varcare la recinzione è praticamente impossibile, gli unici accessi rimangono sul versante del mare, con qualche sporadico ingresso a nuoto, eludendo reti, controlli, motovedette e radar (quando chiedo ai ragazzi del Centro per Minori, ti rispondono con un certo orgoglio che loro ce l’hanno fatta e sono venuti proprio nuotando). Il Centro di accoglienza temporaneo (CETI) che un tempo ha superato le 1000 presente si sta rapidamente riducendo, adesso sono poco più di 450, un gruppetto di subsahariani del Mali (meno di 100), alcuni marocchini ma il grosso è rappresentato dai… latinos, cioè sudamericani. Cosa ci facciano qui a Melilla i venezuelani, colombiani, peruviani e dintorni è abbastanza insolito. Giungono in Spagna come turisti, iniziano le procedure per sollecitare la richiesta di asilo e poi si trasferiscono a Melilla perchè, stranamente, qui la trafila burocratica sembra (o sembrava) più rapida…

Ma ritorniamo alle nostre tavole rotonde con le associazioni. Da settembre ci ritroveremo senza l’interlocutore ufficiale per i migranti, una figura, quella dell’Acnur, che riveste uno spessore maggiore di qualunque altra entità di volontariato locale o anche solo nazionale. Erano loro ad interfacciarsi direttamente con il Ceti, verificare i casi difficili, promuovere l’attenzione verso situazioni spesso intricate, mediare con le altre realtà istituzionali. Un’esperienza di numerosi anni che adesso si interrompe e andrà nuovamente recuperata.

I 2 rappresentanti dell’Acnur sono adesso “a spasso”, Lorenzo (che tra l’altro è uno dei pochi italiani presenti qui a Melilla) sta pensando di esplorare nuove realtà sempre coinvolte nel fenomeno migratorio; insomma, si perde un po’ di pelo ma il vizio rimane :-). Laura invece non sa ancora se potrà essere riassorbita nell’organico di altre sedi.

Alla fine dell’ultima riunione Lorenzo ha spalancato le porte dell’ufficio dove aveva sistemato tutto il materiale informativo che avevano a disposizione e che potrebbe ancora essere utile. Una piccola “eredità” che abbiamo condiviso e spartito… Perchè comunque la voglia di continuare rimane e di forze vive ce ne sono. Resta la necessità di saper fronteggiare queste situazioni in modo flessibile, perchè davvero le cose cambiano in fretta; se ne parlava proprio in questa riunione, durante la quale qualcuno ricordava i tempi in cui per le strade della città si incontravano facilmente minori che tentavano di vivere da soli. Oggi questo fenomeno sembra arginato e sotto controllo, ma chi frequente la zona di frontiera col Marocco ci racconta che dall’altra parte, a pochi metri da noi, non è poi così difficile incontrare situazioni ben diverse, che non si vedevano da tempo: ragazzini e bambini completamente da soli, a gruppetti, che cercano pericolosi passaggi sui camion, tanto da sembrare praticamente allo sbando…

Qui, da settembre, riprendiamo gli incontri, cercando di supplire un po’ a questo nuovo assetto, a questa “mancanza”. Vedremo come.

A travasare carrubi…

A travasare carrubi…

Siamo ormai in estate, il caldo si fa sentire, in compagnia pesante con l’umidità che qui a Melilla si attesta quasi sempre oltre il 60% (ecco perchè a Cordoba i 40 gradi si sopportano meglio… visto che lì il tasso di umidità è notevolmente inferiore, sui 15-20%) ma se vi capita di passare presso il Centro La Salle, anche con queste temperature, nel pomeriggio ci trovate sempre in attività con le nostre alunne del Progetto Alfa, Logicamente non si tratta delle solite “lezioni” di spagnolo, ma di iniziative di contorno: corsi di cucito, lettura, ginnastica, piscina… e tante altre cose. Ad esempio allegre uscite culturali per esplorare quello che ci offre il territorio.

E siccome il territorio è davvero piccolo (solo 12 km quadrati) bisogna proprio aguzzare l’ingegno per trovare qualcosa di originale. Almeno ciclicamente! Così lunedì scorso è stata la volta del Vivaio autogestito Guelaya. Nemmeno l’autista dell’autobus ne aveva mai sentito parlare e ha dovuto implorare Google Maps per localizzare il luogo esatto da raggiungere. Eppure è vicino, si trova quasi a ridosso della grande Valla, a fianco del percorso del Rio de Oro (che negli ultimi 2 anni si fatica davvero a riconoscere, visto che di acqua superficiale non se ne vede quasi mai).

Insomma, siamo partiti, allegre ed elettrizzate come al solito per questa escursione stile gita-di-classe; i primi 10 minuti su strada normale, che poi ha ceduto il passo allo sterrato e dovevate vederlo il bus a fare lo slalom tra i fossi e le buche… ad ogni sussulto un coro da stadio!

Così siamo giunti al vivaio “Guelaya ecologista en accioon” un piccolo angolo di verde gestito da un gruppo di appassionati. Ad attenderci il responsabile, Manolo, insieme ad un paio di soci; lo scopo della visita era quello di conoscere questo piccolo spazio verde, scoprire piante che di solito si trovano solo… al mercato, sui banchi di vendita e sperimentare con mano qualche piccola attività “verde”. Il difficile era tenere tutte le donne nello stesso luogo, visto che la curiosità di esplorare i piccoli giardinetti autonomi che formano il vivaio era molto forte; così ogni tanto partiva una piccola spedizione per ammirare i pomodori quasi maturi, le piante di salvia, il rosmarino che dominava ovunque e altre specie verdi meno diffuse e più curiose.

L’attività proposta era molto semplice e utile: rinvasare un bel po` di piante da destinare alle prossime piantumazioni sul territorio; questo centro da anni propone le sue attività e battaglie per la protezione del verde e la sua cura, organizzando periodicamente il recupero di alcune parti degradate della nostra Melilla e preparare le piante è un lavoro che richiede passione, cura e tempo. Oggi abbiamo dato anche noi il nostro piccolo contributo. Si è trattato di preparare un centinaio di piccole piante di carrubo, che insieme abbiamo controllato, travasato e sistemato in nuovi vasi, lavoro semplice ma che fatto insieme diventa anche divertente. Immaginatevi le nostre 50 alunne intorno a una serie di tavoli, ad armeggiare con i sacchetti del terriccio, le cassette piene di piccoli germogli, infilare le mani nei vasetti, pigiare… un pasticcio davvero originale. C’era persino chi è riuscito a trapiantare… della semplice erbaccia, perchè faticava a riconoscere la pianta giusta! Ma ciascuno ha fatto la sua parte, con impegno e partecipazione, dalla piccola Maysa (7 anni) alle nostre decane over 60…

Naturalmente i più curiosi hanno tempestato di domande il buon Manolo, per sapere come fare per recuperare alcune piantine (qui non si compra niente, solo si scambiano piccoli lavoretti con le piantine), chiedere qualche foglia di aloe vera, sempre utile in famiglia…, un rametto di rosmarino o di lavanda. Sfacciatamente gli ho chiesto come fanno a procurarsi l’acqua per innaffiare, visto che non ci sono vasche o altri depositi nelle vicinanze. Semplice: hanno un pozzo che giunge fino alla falda freatica del Rio de Oro, che un po’ di acqua ovviamente la raccoglie e il ciclo rimane così ben concluso.

Ma ci stavamo anche chiedendo, perchè scegliere proprio il carrubo? Questa pianta è tipica proprio del nostro territorio (e di gran parte del Mediterraneo costiero, Sicilia compresa…) e si presta egregiamente per il recupero di zone aride, ricche di calcare e poco soggette a improvvise gelate… insomma, l’ideale per la zona di Melilla e gran parte del Marocco, dove in effetti è molto diffusa. E pensare che il suo frutto, molto pesante e omogeneo, nell’antichità serviva per misurare nientemeno che l’oro, non per niente questi semi si chiamano “carati”.

Digressioni a parte, il nostro lavoro è durato ben poco, meno di un’oretta e così abbiamo iniziato la seconda parte: il momento di festa e di condivisione. Dopo la conclusione del corso, tenutosi sabato scorso nel salone della scuola, erano avanzate ancora tante bevande, biscotti e dolci e così l’occasione per consumare gli “avanzi” era davvero propizia. Poi basta accendere le casse e mettere un po’ di musica e trovi subito chi inizia a danzare, a proporre balli di gruppo… piccole esibizioni ai confini tra l’etnico e la dance, insomma, grazie all’ombra delle piante e allo spazio ben raccolto, la festa si è subito accesa.

Il difficile sarà trovare altre mete e iniziative altrettanto interessanti…

Per il momento ci accontentiamo delle foto di questa serata allegra e … fruttifera

Come chiudere un corso… del Progetto ALFA

Come chiudere un corso… del Progetto ALFA

In queste pagine ho raccontato già diverse volte le nostre “avventure” e passeggiate insieme alle amiche del Progetto ALFA.
Come Comunità Fratelli di Melilla siamo tutti coinvolti (siamo in 5, compreso il sempre giovane Eulalio, con le sue 87 primavere…) in questo progetto di alfabetizzazione e di accompagnamento di un bel gruppo di cittadine di Melilla.

Da ormai quasi 20 anni il progetto si incarica di aiutare le tante donne che vivono situazioni complicate e dopo il Covid la situazione è diventata ancora più difficile per la chiusura delle frontiere.

Nell’attesa che le grandi soluzioni politiche facciano il loro corso, il volontariato e la passione di tante persone, in particolare tutti gli operatori del Progetto ALFA cercano di affrontare quotidianamente questa situazione e dare un piccolo aiuto.

Durante tutto l’anno scolastico, al termine delle normali lezioni degli 800 alunni del Collegio La Salle, nelle aule entrano proprio queste donne, che con coraggio si rimettono sui banchi e si impegnano in questa sfida per imparare a leggere, scrivere, parlare… in una lingua, lo spagnolo, che è necessaria ma spesso straniera. Perchè la maggioranza parla arabo o tamazight, due lingue ben diverse (il tamazight è lingua ufficiale del Marocco solo dal 2011!). Ogni tanto proviamo anche noi “prof” ad imparare da loro qualche espressione, qualche parola, così ci rendiamo conto delle difficoltà che provano le nostre alunne. Ma nel confronto noi siamo decisamente più imbranati e in difficoltà…

Questa settimana è stata l’ultima di “scuola” regolare, con luglio iniziano le attività estive, meno formali e più rilassanti. Così lo staff organizzatore ha pensato ad una bella scampagnata sotto i pini del parco di Rostrogordo, il nostro avamposto per le uscite “plein air”.

Le “alunne” non vedevano l’ora di prendere l’autobus e uscire dal solito tran tran. Salire con loro mi ricordava le tante gite fatte con gli alunni delle mie classi, sempre curiosi e frizzanti, si respirava la stessa aria di festa!

Un tragitto davvero breve (ma la salita e il caldo rendevano molto saggio l’idea dell’autobus) e poi la sistemazione sotto i pini di Rostrogordo, il polmone verde che sovrasta Melilla. Noi eravamo presenti con tutta la comunità e i nostri 2 amici di Jaen e Cordoba, Ana e Manolo, che hanno condiviso una settimana insieme a noi. Sembrava proprio la classica gita di fine anno.

Appena arrivati sono subito iniziati i preparativi per la merenda… Apriti cielo! I tavolini pieghevoli portati per l’occasione si sono riempiti subito di una quantità impressionante di cibo: jeringos (sono parenti prossimi delle crêpes ma senza uovo, solo farina), dolci al miele, dolci alle mandorle, ai datteri, empanadas, biscotti artigianali, pizze, patatine… thermos di thè moruno (quello con la deliziosa erba buena in infusione, insomma, la nostra menta), bevande, cubetti di ghiaccio (qui è una tradizione onnipresente). Farida, la leader indiscussa di tutto il gruppo, girava tra i tavoli, le sedie, i gruppi, invitando a provare le varie delizie, infilando cubetti di ghiaccio nei bicchieri, stimolando i canti berberi, la sezione ritmica (tamburi, tamburelli e djembè)…

Così ci siamo uniti anche noi ai festeggiamenti, azzardando persino qualche canto in italiano (indovina quale, uno che riscuote oggi grande seguito è proprio Bella Ciao! e quindi via con le strofe…), una sevillana suonata da Ventura e ballata da Ana… a dare man forte al coro anche Loli, Alba… insomma, aria di festa.

Abbiamo condiviso così questa serata semplice e sbarazzina, con le donne a vociare, cantare, battere il ritmo con le mani, ripetere i tipici gorgheggi berberi, assaggiare prodotti diversi a più non posso. Per loro è un’occasione preziosa per stare insieme, senza la presenza spesso invadente e vigilante dei mariti e degli uomini di famiglia…

Abbiamo limitato un po’ le foto, perchè non tutte gradiscono che vengano diffuse in internet e comprendiamo benissimo questa inclinazione alla riservatezza, ma già dai gruppi si nota l’allegria e la voglia di stare insieme. Anche questo è il contributo prezioso del Progetto ALFA.

24/6/25 – Ecco la rassegna di foto di questa serata di festa con il Progetto Alfa

Quanto è profondo l’Oceano

Quanto è profondo l’Oceano

Se mio nonno fosse un pesce e si chiamasse Marmolada, qualche domanda me la farei…

Spesso mi capita di cercare e prendere libri che al momento non penso proprio di leggere, poi vengono i momenti in cui la lettura reclama il suo tributo… mi è capitato così per Oceano, di Francesco Vidotto. Motivo? Chissà, spesso su Instagram mi capitava di vedere qualcuno dei suoi interventi, di solito skippo veloce, ma nel suo caso mi sembrava di avvertire qualche consonanza, quello che leggevo mi sembrava logico, sensato e “normale”. Il che non è poco. Così mi sono persino avventurato a chiedere consigli e siccome ultimamente sto esplorando anche un po’ i vari bot di IA, ne ho confrontati alcuni… poi alla fine mi sono lasciato guidare dalle immagini e forse dalla reminiscenza con il romanzo di Baricco, Oceano mare. Che ovviamente non c’entra nulla.

Perchè questo Oceano protagonista del libro è un semplice uomo, un montanaro, una persona anziana sul crinale della vita che racconta allo scrittore la sua storia.

L’escamotage, che regge bene per l’intero racconto, è quello di un vecchio signore che si rivolge a Vidotto stesso per chiedergli di scrivere la storia che lui, poco alla volta, intende raccontargli. E così inizia il racconto.

La vita di Oceano, che spiegherà ben presto il motivo di questo insolito nome, per un montanaro che vivrà praticamente in mezzo alle malghe e ai boschi, si spalma lungo quasi tutto il secolo del 900. Gli agganci con la cronaca (o la storia) si incontrano con le storie di migrazioni degli inizi, con l’avvento del fascismo, la sfortunata spedizione in Russia a cui il protagonista partecipa drammaticamente, i complicati tempi presenti, con lo sgretolarsi delle famiglie, delle coppie, il pesante lascito della droga… insomma, molta concretezza.

Il racconto prende il via e diventa più intenso quando la storia d’amore che si avverte in filigrana per tutto il libro, riesce finalmente a decollare; apparentemente sembra un’impresa sconsigliabile, il piccolo Oceano era stato accolto come orfano da una famiglia del paese senza figli, ma poi nasce una bambina, la piccola Italia. Non essendo veri fratelli ma avendo vissuto a lungo in questa dimensione, è facile intuire le difficoltà, le remore, gli stigmi sociali quando il loro affetto si trasforma in amore evidente e manifesto.

Un amore che però sarà sempre una storia in salita, nella pausa della guerra per una violenza subita la giovane diventa madre, mentre Oceano viene dato per disperso in Russia. Fortunosamente riesce a tornare e si trova di fronte ad una nuova e lacerante verità. Ma anche in questo caso la vita prende il sopravvento e al rancore o alla delusione subentra una capacità di accogliere la vita davvero profonda e duratura.

Nel finale si scopre il motivo che spinge questa persona, ormai anziana e spesso vittima di lacune di memoria e intoppi vari di salute a mettere la sua vita nero su bianco e consegnare, come un’eredità, il suo percorso ad ostacoli, caparbiamente affrontati.

Positivo, sensato e godibilissimo, si legge davvero in poco tempo, la storia ti prende e ti conquista. La montagna, che è sempre presente, fa da cornice assoluta e necessaria ad una storia rude ma vitale.

E che le montagne abbiano un fascino davvero speciale… si vede qui