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Passeggiando tra i ruderi di Megara Hyblaea

Passeggiando tra i ruderi di Megara Hyblaea

Megara Hyblaea, con la sua storia millenaria, è una delle più antiche colonie greche della Sicilia, nata intorno al 728 a.C. si è sviluppata gradualmente per circa due secoli, fino a quando la vicina Siracusa non la conquistò, distruggendone le mura, com’era allegra abitudine di quei tempi; entrò nella sfera siracusana fino alle guerre puniche e subì una nuova distruzione da parte del console Marcello (proprio quello che poi riuscirà a conquistare Siracusa e togliere di mezzo il grande Archimede). Poi la città vivacchiò senza grandi pretese e lentamente si spense, lasciandosi sommergere dall’incuria, dalla vegetazione e dall’oblio. Quando venne realizzata la ferrovia Catania-Siracusa, nel 1867, vennero alla luce la necropoli e poco alla volta, grazie a studi di archeologi francesi, l’impianto della città, abbandonato da secoli. Si parlò di una “Pompei” siciliana. Questa è stata un po’ la sua fortuna, visto che non c’erano state altre stratificazioni o costruzioni dopo il V-VI sec. d.C, insomma, osservare Megara permette di ricostruire in modo abbastanza fedele l’impianto di una città antica, greca e poi romana, senza tante modifiche urbanistiche. Una macchina del tempo da vedere e toccare. Per quanto possibile.

In questo territorio siracusano le memorie dei tempi antichi davvero si sprecano. Si possono trovare necropoli di 2500 anni fa nei parcheggi dei supermercati o le puoi ammirare, con il consueto contorno di cartacce lattine e bottiglie, come spartitraffico cittadino (trovi tutto nei pressi del Lidl di s. Panagia). Tombe e cavità antiche sono un po’ ovunque, zone archeologiche, spesso chiuse da anni, fanno bella mostra di sè in mezzo alla città o nelle immediate periferie. Abbiamo veramente troppi resti e troppi luoghi della memoria. Anzi, questa overdose rischia quasi di offuscarla, questa memoria.

la dea madre – Kuorotrophos

Ed è proprio un peccato che lo splendido luogo in cui sorga Megara sia oggi letteralmente circondato a tenaglia da fabbriche (Buzzi Unicem, a sud) e impianti energetici (centrale termoelettrica Enel di Augusta, a nord) che aggiungono ben poco splendore a questo luogo, anzi, sembrano quasi pronte a fagocitarlo definitivamente, visto che ormai è rimasta solo una piccola isola verde contesa dai capannoni, piazzali, infrastrutture e, cosa non da poco, un rumore continuo e persistente di sottofondo. Si salvano pochi ettari verdi, una necropoli solcata dalla ferrovia e vari edifici in rovina sparsi in questo territorio. I reperti migliori sono conservati e visibili presso il museo siracusano del Paolo Orsi e ha fatto notizia l’incredibile e selvaggia storia della statua dell’antica dea madre, la Kuorotrophos che allatta due gemelli, ritrovata ma subito distrutta con un martello pneumatico dagli operai, per evitare il blocco dei lavori; era stata frantumata in 936 pezzi, poi pazientemente ricostruiti! Si rimane senza parole ragionando sul fatto che questa vera e propria Pompei della Sicilia potrebbe diventare uno dei gioielli degli itinerari turistici. Per non parlare poi dell’importanza culturale di uno dei più famosi personaggi di questa città, quell’Epicarmo che a detta di molti è un po’ il padre della commedia greca (anche se delle sue opere rimangono solo frammenti). Ma tra il dire e il fare sembra che ci siano distese sterminate di altri verbi, tutti al condizionale.

E così veniamo a luogo. Era da tempo che volevo andarlo a visitare. Scartata l’ipotesi bicicletta (da Siracusa dista oltre 25 km, non eccessivi, ma bisogna avere del tempo a disposizione, vedremo prossimamente…); la soluzione più semplice è l’autostrada Siracusa Catania, in meno di mezz’ora si arriva. Seguendo GMaps una volta usciti dallo svincolo indicato (il cartello è ben visibile), ci sono un paio di alternative, dopo aver provato penso sia meglio seguire le indicazioni proposte, perché andando a naso, quella che forse è la strada più rapida (anch’essa indicata con i cartelli), è piuttosto massacrata e in cattive condizioni, quasi una strada bianca con buche a iosa e sprazzi di asfalto. Si arriva quasi in vista del sito, che è molto pianeggiante, si supera uno stretto ponticello che sovrasta la ferrovia e si arriva al dunque. Un grande piazzale segnala la possibilità di lasciare la macchina per raggiungere, dopo poche decine di metri, una prima costruzione che dovrebbe essere la biglietteria. Scrivo queste righe alla fine di di febbraio 2022, tutti i cancelli che ho trovato erano rigorosamente chiusi, con tracce evidenti di semi-abbandono, o come minimo di poca frequenza. Nessuno in giro, deserto assoluto. Cartelli, numeri di telefono a cui rivolgersi, indicazioni recenti: nulla.

So che non è il massimo della saggezza, ma il recinto vicino ai cancelli è in parte divelto e la tentazione è troppo forte. Con la consueta attenzione a non combinare nulla che possa alterare le cose, entro tranquillamente, sfidando i cardi selvatici che non aspettano altro che accarezzarti pelle e vestiti.

Entrato nel sito giungo rapidamente alla zona dove iniziano gli scavi, ad una quota leggermente inferiore alla pianura circostante; il primo cartello indicatore non esiste nemmeno più, si è salvata solo la struttura metallica; troverò invece molti altri cartelli informativi in discreto stato lungo il percorso. Questo era un giro di prima conoscenza, non avevo idea della grandezza del sito e della ricchezza dei ritrovamenti. Così gironzolo per una mezz’oretta lungo gli assi principali, ammirando dettagli di colonne, trabeazioni decorate, giunture quasi perfette di massi notevoli, segni di opere idrauliche e resti di fortificazioni.

Vi sono numerose scalette in metallo per poter osservare meglio e raggiungere alcune zone, ma alcune di queste hanno dei pericolosi gradini rotti e semistaccati, occorre quindi fare un po’ di attenzione. Giungo così nella zona delle antiche terme greche e poi romane; ci sono ancora tracce di pavimenti in cocciopesto e qualche resto di decorazione geometrica a mosaico, il tutto a cielo aperto, ma in discreto stato di conservazione. Passeggiando tra i resti si avverte la compattezza dell’impianto urbano, ben raccolto intorno all’agorà; penso al parco archeologico di Naxos, sicuramente più vasto, ma anche più scarno. Qui le case, le stanze, il reticolato urbano è molto più evidente e conservato.

Siamo a febbraio, l’erba non dà fastidio, è ancora facile aggirarsi senza problemi; mi immagino però che con la primavera il rigoglio vegetale potrebbe presto riprendere il sopravvento.

Giunto fino alla porta occidentale, con i suoi bastioni di mura ben squadrate contemplo un po’ la città; essendo tutto al medesimo livello si fatica a cogliere l’ampiezza del sito. Allora mi addentro per un po’ lungo alcuni assi laterali. Pareti in pietra, in calcare, inserti di mattoni, sicuramente posteriori, pietre laviche lavorate. Cammino con la curiosità del quotidiano ma non possiedo la perizia dello storico esperto, comunque passeggiare in questo luogo ha il suo fascino. Se poi ci metti la solitudine, i voli rumorosi di tanti uccelli di grossa taglia, e se tenti anche di cancellare il rumore delle fabbriche vicine che si fa sentire a intervalli regolari, con notevole fastidio e prepotenza… lo scenario ha dell’incredibile.

Concludo il giro e getto uno sguardo anche agli edifici che dovrebbero essere il deposito di alcune delle opere più significative. Da quanto avevo letto le stanze sono chiuse da tempo; tutto sembra in buon ordine, ma il giardino e le pertinenze non danno certo una buona impressione, che potrebbe essere invece molto gradevole e interessante. Si può osservare anche la spiaggia sottostante, certamente utilizzata come porto di approdo della città antica, ma i moli commerciali e industriali che si intravvedono non sono certo una cornice gradevole al pur gradevole profilo roccioso della spiaggia.

Non so se sono previste aperture del sito nella bella stagione (ma qui nel Siracusano, la bella stagione è già iniziata, oggi è un giorno davvero gradevole, 20 gradi, poca brezza, cielo quasi sereno e pittoresco…) ma vedere questo luogo semiabbandonato non è certo un bel biglietto da visita, ne’ per i locali ne’ tantomeno per i potenziali turisti. Le notizie reperite in rete ricordano che gli uffici e i locali vicini agli scavi sono chiusi da tempo e non è dato sapere quando e se riapriranno. Da nessun cartello o avviso si riesce a rintracciare un telefono o una mail di riferimento. Sul sito di Italia nostra è presente una scheda molto dettagliata, che avrebbe bisogno di aggiornamento, visto che riporta la notizia che il sito è visitabile (a pagamento) durante tutta la settimana ma da varie recensioni sembra di capire che le ultime visite risalgono all’epoca pre-covid (2019).

Nonostante lo stato di semiabbandono (e la necessità di superare qualche recinzione per poterlo vedere), il luogo rimane un testimone prezioso del passato. Sarebbe bello potergli garantire anche un futuro altrettanto importante.

Una carrellata di immagini del sito di Megara Hyblaea – febbraio 2022

Il tempo e l’acqua e altre storie…

Il tempo e l’acqua e altre storie…

Ho finito da poco la lettura di questo testo, non so nemmeno io perché mi ha colpito in modo particolare fin dall’inizio, vuoi per l’immagine in copertina, vuoi per l’impronunciabile nome dell’autore, vuoi, sicuramente, per il modo diretto e personale di toccare il tema del cambio climatico in modo diretto, personale e convincente.

Il tempo e l’acqua, dell’autore islandese Andri Magnason
Difficile inquadrare questo libro in un genere specifico; una via di mezzo tra il saggio, la narrazione frammentata di una saga familiare islandese, il recupero di tradizioni antiche e suggestioni moderne, la riflessione e la narrazione poetica.

Ma lo scopo è molto diretto: l’autore manifesta un’accorata necessità di dare un preciso contributo al tema del cambio climatico che, ormai lo sappiamo, condizionerà la vita di tutti gli uomini sulla terra nei prossimi decenni: l’innalzamento delle temperature, la perdita dei ghiacciai, il tentativo coraggioso e disperato di ridurre le emissioni di CO2 per non compromettere in modo definitivo la vita umana dei nostri discendenti… sono le tematiche intorno al quale si sviluppa il testo, con una visione che sembra inizialmente troppo legata alla terra dell’autore, l’Islanda, ma che rapidamente abbraccia tutti i continenti.

Si legge con passione e si rimane rapidamente avviluppati dalle vicende della famiglia dell’autore e si rimane per lo meno stupiti che partendo da un luogo considerato periferico sotto vari aspetti come è l’Islanda, si arrivi invece rapidamente nel cuore di vicende e personaggi centrali e ben conosciuti, dal Dalai Lama a Tolkien, dai fratelli Wright al chirurgo di Oppenheimer…

Il drammatico tema del cambio climatico si snoda per tutto il testo e l’autore si domanda spesso come faccia l’uomo ad essere così ottuso e superficiale da sottovalutarlo in modo così sbrigativo (si prova quasi una sensazione simile a quella che può suscitare il film Don’t look up). Nei vari capitoli, legati da un filo geografico o biografico, presenta molte sfaccettature di questo problema e delle possibili soluzioni, a livello personale. Dalle escursioni sui ghiacciai islandesi compiute dai nonni alla passione sfrenata per i coccodrilli di uno zio, ogni argomento riconduce l’attenzione al fatto che la nostra responsabilità di persone potrà essere l’unica carta vincente per affrontare questa situazione.

Molti i dati forniti (e la bibliografia sulla quale l’autore si è documentato è davvero interessante e vasta), alcuni dei quali originali e pungenti, tanto da richiamare l’attenzione su fenomeni spesso affrontati in modo molto superficiale. Basterebbe questo libro a sfatare e demolire molte posizioni negazioniste; il tono è sempre personale, ragionato e partecipe. Interessante al proposito l’intervista con il Dalai Lama, incontrato quasi per caso a inizio libro e ricercato poi, su suo esplicito invito, nella parte finale. Dalla scienza alla religione, dalle tradizioni ai dati di fatto, tutto viene presentato in modo coerente e appassionato.

Ne emerge un testo prezioso, interessante, con molte sfaccettature e tonalità, utile per una riflessione personale su quanto possiamo noi fare, già da adesso, per guardare a questo problema ormai ineluttabile, con uno sguardo più attento e preparato.

Quando Siracusa flirtava con gli inglesi…

Quando Siracusa flirtava con gli inglesi…

Pomeriggio di relax e di giri in bici non lontano dal centro. Siamo ancora in inverno e di luce non ce n’è ancora molta. Quindi bici e via verso la zona di Tremilia, verso sud, poco sotto la balza di Epipoli. Verso quello che qualcuno chiama Castello Bonanno, oppure villa Tremmilia, o anche villa Schinkel.

Mi ero dedicato a ricercare qualche info supplementare sul famoso acquedotto greco, un manufatto di …2500 anni fa che funziona ancora oggi, nella distratta superficialità dei nostri tempi. Persino i romani hanno tentato di boicottarlo e lo hanno danneggiato, verso il 200 a.C., fino al suo recupero dopo il 1500, per alimentare i mulini che gravitavano intorno al Teatro Greco (uno svettta ancora oggi, sopra la cavea).

Avevo rintracciato foto, segnali, indicazioni (o meglio, più che altro indizi). Ed ero già stato da quelle parti un paio di volte. Ma sempre frenato dal fatto che vicino alla villa Bonanno, ormai poco più che un rudere, c’è una sorta di officina ancora in funzione, due anni fa avevo chiesto se era possibile visitare o fare qualche foto alla casa, ma il diniego categorico lasciava poco spazio alle trattative. Sul web si leggeva che nemmeno le richieste di visitare le rovine dell’antica chiesa benedettina (e parliamo di resti del 4/5 sec. d.C) venivano esaudite, in quanto lo spazio occupato dalla chiesa era stato trasformato in stalla…

Le info che avevo raccolto erano abbastanza variegate, si iniziava dall’immancabile e prezioso sito di Antonio Randazzo: un vero must per chi si trova a Siracusa, per passare alle noticine del FAI, che non deve aver convinto molte persone, visto che ha raggranellato una ventina di voti qualche anno fa e non mi sembra che sia stato riproposto…

L’oggetto nemmeno tanto oscuro del desiderio, era proprio questo acquedotto, il Galermi, ma non era facile capire dove fosse esattamente questo sentiero e quale fosse il suo tracciato. Un articolo, piuttosto battagliero, su Siracusa Live, ne parlava come di una clamorosa occasione mancata per realizzare un itinerario ciclabile di grande respiro (e temo che la cosa sia abbastanza realistica). Insomma, lasciata la bicicletta mi ero messo di buzzo buono per cercare questo tracciato. E questa è la recensione su Google che ho buttato giù appena rientrato a casa, meravigliandomi, dopo poche ore, del fatto che fosse stata subito pubblicata.

Si tratta di una zona piuttosto impervia e di accesso non molto facile; la Villa in questione è definitivamente andata persa con l’incendio del 2014 (https://www.srlive.it/il-fuoco-divora-la-chiesa-paleocristiana-di-tremmilia/); in macchina è complicato arrivarci vicino perché la strada di accesso da alcuni mesi (da inizio autunno 2021) risulta “semi chiusa” da un palo in legno, come se fosse un luogo privato, ma si tratta invece di un luogo pubblico, persino visibile con Google Street; in bici è facile comunque passare. Superato il bivio che porta alla villa e all’adiacente costruzione che ospita macchinari e una sorta di autofficina (avevo chiesto mesi fa se era possibile dare un’occhiata alla villa ma mi è stato riferito che era un luogo privato, quindi niente da fare), ci si può inoltrar sulla destra, prima della serie di villette che si trovano dopo la villa. La strada è abbastanza rovinata e abbandonata, si può comunque accedere al sentiero che si dirige verso l’alto, in direzione della Via Epipoli. Si incontrano subito tracce di mura greche, di percorsi carrai ben evidenti; costeggiando il bordo superiore, nella zona che aggetta sul rudere della villa, si giunge facilmente ai resti della chiesetta del IV sec. d.C., la un tempo sede di un convento benedettino e ridotta ultimamente a stalla per gli animali (!). Il panorama verso il porto grande è suggestivo, l’ambiente campestre è abbastanza naturale e poco deturpato, molti cespugli, pini che hanno resistito all’incendio, mandorli contorti e ovunque tanti bossoli e cartucce in plastica, segno di una discreta presenza di cacciatori.
Proseguendo verso l’alto si giunge fino alla strada di Epipoli, nella zona del centro commerciale Fiera del sud (altra cattedrale nel deserto praticamente inutilizzata).
Costeggiando la strada in direzione Siracusa si giunge ad una strada asfaltata senza sbocco, che purtroppo è diventata una pericolosa discarica a cielo aperto, veramente sgradevole.
Cercavo le tracce dell’acquedotto greco; probabilmente vicino ai resti del convento si può ancora vedere un pozzo di aerazione discretamente profondo, con presenza di acqua, ma penso si tratti di opera non collegata all’opera idraulica, visto che il tracciato del sentiero Galermi, relativo all’antico acquedotto greco dovrebbe trovarsi più vicino alla strada di Epipoli..

E quante sorprese nell’approfondire anche un semplice itinerario, davvero Siracusa ne nasconde molte, sotto l’incuria un po’ generale che la sostiene. Non sapevo proprio che questa città, ex-aequo con Costantinopoli, è stata a lungo capitale dell’Impero Romano d’Oriente, e che in epoca Napoleonica ha rischiato di passare non solo simbolicamente sotto il controllo della Gran Bretagna, complice il buon Oratio Nelson che da queste parti aveva messo stabili radici.

Per non parlare degli artisti, letterati e architetti che si sono avvicendati proprio in quella zona, dove sorgeva una delle ville più iconiche della Sicilia. E guardando la riproduzione della villa disegnata dal tedesco Schinkel, si fa presto a sognare… E pensare che oggi passeggiavo proprio sulla cornice superiore, che guarda dall’alto questa costruzione. Non stupisce più di tanto se vi ha passato momenti indimenticabili anche il grande Coleridge ed è stata un centro di riferimento per gli inglesi (e persino gli americani) che giungevano da queste parti, vuoi per emulare il mito del grand tour o semplicemente per occasioni commerciali.

Mi consola il fatto che, pur non essendo entrato nella villa, su Internet, tramite il Sito dei Beni Culturali, si riesce anche a curiosare all’interno di questo edificio, ormai pericolante e costantemente chiuso; con tanto di mappe e dettagli in alta risoluzione!

La prossima tappa sarà sicuramente dalle parti di questo sentiero dell’acquedotto…

Intanto, con lo sguardo, ancora qualche immagine di questi posti

Purtroppo abbiamo anche questo…

Purtroppo abbiamo anche questo…

Una bella domenica di sole, in controtendenza con l’inverno nel pieno del suo corso. L’ideale per una uscita in bici, verso zone verdi e deliziose, che non mancano qui vicino a Siracusa. Ma le sorprese tendono l’agguato e questa volta in chiave ben poco gradevole.

Ero andato a colpo sicuro, verso il fiume Ciane; un percorso nel verde, accessibile e decisamente piacevole. Una strada già percorsa varie volte, e con il poco tempo a disposizione poteva essere la soluzione ideale. Pregustavo già i colori, il verde, l’ambiente bucolico (nel vero senso del termine…!)

Ma appena giunto all’ingresso del sentiero, un lucchetto e un cartello. “A causa delle intense precipitazioni e dell’allagamento del sentiero… Vietato l’accesso”. Conosco ormai il posto e varie volte mi è toccato pedalare in mezzo a pozzanghere anche molto estese. Vabbe’, ci può stare e a volte può anche avere il suo fascino. Ma capisco l’esigenza dovuta a evidenti problemi di sicurezza.

Anche se le forti precipitazioni di questo periodo mi sembrano veramente poca cosa. Finora (gennaio 22) abbiamo avuto solo un paio di giorni di precipitazioni, con un totale di 42,5 mm di pioggia; nel mese di dicembre ancora meno, solo 8 mm di acqua. Sarà un lodevole senso di protezione… Comunque, si cambia itinerario e si continua a pedalare in quella zona. Aggiro il terreno e controllo anche la parte finale, proprio vicino alle sorgenti. Anche qui trovo il cartello per la sicurezza e così provo a riprendere la via di casa continuando la strada che costeggia il B&B del Papyrus (e mi segno l’indicazione che parla di un “museo contadino”, sarà per una prossima volta).

Traversa Testa Pisima da GMaps – car at work?

Mi ritrovo così a percorrere una strada bianca, di campagna, la toponomastica e Google mi informano del nome: Trasversa Testa Pisima. Siamo nel bel mezzo della campagna, pianura vasta, molte zone ben tenute, coltivate e lavorate da poco.

Ma poi la strada si ammanta di quel vizio tipico del cittadino del XX secolo …andato a male e si iniziano a vedere mucchi di spazzatura sui bordi e pian piano la strada si trasforma in una vera e propria discarica a cielo aperto. Buttiamo pure a cielo aperto, ma ben lontano da casa nostra, tutto quello che fa problemi, chissenefrega… Ma “casa nostra” ci sta già presentando il conto, ormai ce ne rendiamo conto.

Sembra di attraversare il luogo di raduno di numerosi e piccoli “cantieri conclusi”; pezzi di amianto, bidoni di pittura, mobili, numerose tracce di incendio. Insomma, uno spettacolo già visto ma che non mi sarei davvero aspettato da queste parti.

E curiosamente, sbirciando da Google Maps, si vede persino immortalata una macchina che sembra quasi impegnata in un momento di “scarico” materiali…

Sicuramente la vastità del territorio comporta anche la possibilità di questo degrado, anche i pochi residenti della zona certamente possono fare ben poco (e vedo ben poche case, lungo la strada). Mi tornano in mente i vari luoghi incontrati altrove, nelle mie scorribande in bici e la memoria va ovviamente alla Terra dei Fuochi, vicino a Giugliano. Ma lì ormai il degrado sembra connaturato al panorama. Qui a Siracusa speravo che ci fossero solo delle sporadiche e passeggero presenze di questo vizio. Qui le dimensioni del fenomeno sono veramente imponenti e le foto sono impietose, documentando un panorama veramente squallido. Un segno pesante.

Più che segnalare la cosa (già, ma a chi? allo sportello del cittadino sul sito del Comune? ci proveremo, visto che nella sezione relativa alla gestione rifiuti non sembra possibile segnalare simili inconvenienti) resta la delusione e la rabbia dell’impotenza.

detto fatto, ecco la risposta (in giornata, e questo non è un dettaglio da poco):

sportellocittadino@comune.siracusa.it -> 14:48
Gentile utente abbiamo inoltrato la sua richiesta all’ufficio di competenza
CORDIALMENTE – Sportello del Cittadino

staremo a vedere…

Ecco le foto di questa discarica a cielo aperto – Traversa Testa Pisima

Un briefing sul meteo del ’21

Un briefing sul meteo del ’21

E anche oggi un po’ di pioggia, nemmeno tanta ad essere onesti, certamente nulla al confronto dei mesi autunnali del 2021. Nel solo mese di ottobre qui a Siracusa è caduta più acqua di quanta solitamente non ne cade in un intero anno!. E pensare che una settimana fa, a metà gennaio, c’era gente in spiaggia a prendere il sole…

Ho appena finito di organizzare e rielaborare un po’ i dati della piccola stazione meteo che ho sistemato sul tetto del nostro palazzo, qui nel cuore della Borgata di Siracusa nel mese di aprile 21.

Niente di astronomico e forse nemmeno di affidabilissimo… ma almeno è un aiuto per verificare l’andamento del tempo con qualche dato di supporto, perché spesso siamo così distratti e smemorati che dimentichiamo in fretta, approssimiamo alla grande e talvolta enfatizziamo senza remore i dati del tempo. Mettici poi le scaramucce sul cambio climatico e il gioco è fatto: meglio ancorare il discorso a qualche numero preciso.

Chi non ricorda i 48.8 gradi registrati a Siracusa nel mese di agosto del 2021? In quei giorni, mi trovavo altrove e “dal vivo” non ho sperimentato quella ondata di calore. Tra l’altro registrata nei pressi di Floridia, visto che qui dove siamo noi in quella giornata siamo stati addirittura sotto i 40 gradi… il mare qui vicino ha un grande effetto mitigante, per fortuna.

Ma sicuramente la scorsa estate ha fatto davvero caldo; praticamente da giugno a settembre abbiamo quasi sempre viaggiato su una media non lontana dai 30 gradi. E una temperatura simile si avverta spesso con fastidio, soprattutto di notte.

E ricordo molto bene l’insegna vicino al parcheggio Von Platen, il giorno 10 agosto, mentre aspettavo il bus per l’aeroporto.

42 gradi si fanno davvero sentire!

E per chi si vuole divertire con un po’ di numeri, ecco i dati raccolti dalla stazione meteo, in pratica da maggio fino alla fine di dicembre 2021, qui una tabella sintetica e sotto si possono prelevare i dati, in formato excel.