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Processioni a Melilla…

Processioni a Melilla…

Giornata originale, quella di sabato scorso, 7 ottobre. Vuoi per la festa della Madonna, la “Vittoria” (e forse non conviene approfondire di quale vittoria si tratti, visto che si deve risalire a Lepanto e qui il buon prof. Barbero avrebbe da sturare pagine e pagine di approfondimenti…) vuoi per il tiepido autunno che qui mi sembra ormai la norma; non vedi quasi mai giornate splendide e serene, sempre un po’ infiocchettate da nubi, ma la temperatura è decisamente tiepida, ben più che primaverile. E allora anche il Comune di Melilla si sbizzarrisce in visite al patrimonio architettonico di questa città.

Melilla, dopo Barcellona, è la seconda città testimonial del “modernismo”, un qualcosa che potremmo rendere con il nostro liberty ma con qualche innesto alla Gaudi. Solo che di cose alla Gaudi qui a Melilla ce ne sono poche, forse solo una piazzetta con sedute policrome che ricordano il parco Guell. Ma di palazzi carini ce ne sono invece davvero molti, più di mille e sono concentrati quasi tutti nella zona nostra, poco sotto il collegio La Salle.

Per questo sabato scorso era prevista una visita drammatizzata al nostro quartiere, per mostrare i principali palazzi e le cose più interessanti. Mi aspettavo così una brava e compassata guida con il suo altoparlante, forse un ombrello perché tutti potessero individuarla facilmente e invece…

Invece quando arrivo nella Piazza di Spagna, il punto di partenza, già da lontano sento una banda in perfetto stile jazz, allegro e scoppiettante, poi intravedo un altissimo pupazzo allampanato e tutto intorno una corte di personaggi variamente agghindati, molti in stile belle époque. Tutt’intorno una folla divertita e colorata, famiglie coi bambini, single col cagnolino al guinzaglio, coppie di anziane turiste estasiate, giovani marocchini in monopattino che si appostano ai margini, tanta gente curiosa. E la presentazione è già iniziata, guidata da una Guendalina frizzante che esalta i dettagli architettonici delle opere e dalla sua amica Dorita rosso vestita, petulante e pettoruta che non vede l’ora di concludere il giro per mettere sotto i denti qualcosa di buono. Insomma, la visita è tutta all’insegna dell’allegria, della vivacità e dello scambio ironico tra i personaggi, che man mano aumentano, chiamando in gioco la zia, la suorina del collegio, la cinese dell’emporio, il viaggiatore… e ad ogni tappa la banda si riprende rumorosamente la scena mentre la folla che circonda questo circo ambulante, con calma si sposta fino alla successiva fermata.

Molto allegro e divertente, un modo gradevole di girare anche il naso all’insù per ammirare i palazzi, le vetrate, le cupole, il faro costruito su un condominio, le porte dell’antica sinagoga, gli archi arabeggianti, le vetrate imponenti.

L’altro lato della medagli si è invece manifestato nel pomeriggio. Per la festa del 7/10 era prevista la processione del Cautivo, il Cristo prigioniero, portato in giro dalla relativa cofradia. Qui a Melilla, come in tutta Andalucia, il legame con le confraternite religiose è forte ed evidente, un elemento che connota le tradizione e la cultura, difficile per noi italiani avvertire con la medesima intensità questo senso di appartenenza ad un gruppo così marcatamente definito. Nemmeno le tifoserie calcistiche possono avvicinarsi a questa idea.

Che però rimane strettamente ancorata all’ambito religioso e probabilmente continua a marcarlo in modo fin troppo evidente. L’immagine del Cristo prigioniero mi ricordava molto il simulacro di s.Lucia, con la sua imponenza e sfarzo dell’argento profuso a piene mani. Una “macchina” imponente che viene mossa da decine e decine di portatori, debitamente coordinati per una coreografia dove nulla è lasciato al caso

Solo per fare la curva ad angolo retto richiede almeno 2 minuti di minuziosi piccoli passi, ondeggiature, calibrati ondeggi… insomma, uno spettacolo.

Facendo quasi parte del clero mi sono ritrovato con fr. Eulalio in prima fila, fianco a fianco con le altre congregazioni di suore presenti a Melilla (noi siamo l’unico gruppo maschile!), proprio davanti alla macchina che impediva qualunque visione, meglio allora spostarsi nelle sedie libere, che erano comunque tante…

Poi inizia la processione, in bell’ordine; noi accompagnavamo un bel gruppetto di bambini della primaria, con la loro semplice divisa, perché la scuola La Salle è una istituzione che ha più di 100 anni di presenza nella città; dietro di noi le ragazze del collegio delle suore, anche loro nella classica divisa, gonna scura e camicia bianca. Mi sembrava un tuffo in qualche deja vu alla Almodovar. A seguire altri piccoli gruppi, poi l’imponente macchina e il clero (a Melilla i preti e le parrocchie sono solo 4, si fa presto a conoscerli tutti, uno di loro è il vicario episcopale, visto che la diocesi di riferimento è Malaga) e quindi una banda davvero imponente per numero e potenza sonora. Poi, dietro, il nulla.

Piccola pausa, qualche passetto, la macchina si ferma per dare un momento di sosta ai portatori e così via, percorrendo l’Avenida centrale, fiancheggiata da tanti cittadini, ospiti, turisti, curiosi… Per quasi un’ora partecipiamo all’evento, poi anche i bambini possono tornare con le famiglie e il resto della processione continua il suo percorso, a suon di musica solenne.

Nell’insieme un vago sentore di parata, vetrina ed esibizione.
Mi piace ricordare quello che succede alla sfilata dell’infiorata di Genzano, il giorno dopo la processione, quando lo splendido mantello di fiori viene allegramente spazzato via dalla corsa dei bambini spensierati e divertiti.
E’ vero, abbiamo bisogno di riti ma quando l’acqua fresca si scalda troppo al sole, è inevitabile che la coca-cola diventi l’unico rimedio.

Già che ci siamo, ecco come presentano questi eventi la stampa locale:

Non potevano quindi mancare due immagini di queste diverse “processioni” per Melilla

E la vita Caterina, lo sai…

E la vita Caterina, lo sai…

E la vita Caterina, lo sai
Non è comoda per nessuno…

Chissà in quanti si ricorderanno, da questa striminzita citazione di De Gregori, la canzone intera, una tenera ballata del 1982 (noi si era da quelle parti, a Roma); poi succede che nella vita alcune frasi, alcune melodie, ritornino come sottofondo, stuzzicate ad esempio da un semplice nome. Caterina, in questo caso.

Ho terminato da poco il testo Il Sorriso di Caterina, di Carlo Vecce, docente di letteratura italiana presso l’Orientale di Napoli, su una possibile ricostruzione dell’albero genealogico di Leonardo da Vinci. In pratica la “scoperta” della possibile madre. Ero rimasto colpito da un articolo in prima pagina sul domenicale de Il Sole 24 ore (uno dei miei hobby domenicali, anche qui a Melilla, grazie al web) che presentava questo libro, nato dalla scoperta di un documento da cui traspare la notizia che la madre del grande genio rinascimentale probabilmente era una schiava proveniente dalle zone selvagge intorno al mar Nero (la Circassia).

Stimolato da questo spunto mi sono imbarcato nella lettura, tra l’altro interessante per il linguaggio utilizzato, un misto di italiano scorrevole infarcito di (tanti, a volte troppi) termini tardomedievali, molti desunti dalle pratiche mercantili o notarili. Altra curiosità è la voce narrante, che cambia in pratica ad ogni capitolo (e non sono pochi!), dando così la possibilità all’autore di toccare corde e modalità sempre diverse, anche se il risultato sicuramente non è così definito, le voci sono molto omogenee, tra l’altro tutte al maschile, anche se i personaggi femminili sono numerosi nel libro. Passano così in rassegna abili mercanti, ex-pirati, commercianti, nobili decaduti, notai (il padre di Leonardo), amici facoltosi, gente umilissima… uno spaccato di quella società gravida dell’uomo nuovo del rinascimento.

A dire il vero la storia è molto romanzata e la ricostruzione che ne fa l’autore è certamente molto personale, anche se suffragata da diverse prove. Ma è come ricomporre un puzzle con pochi pezzi e nel dubbio ritenerlo un quadro ormai completo; in rete non è difficile, ad esempio, trovare altre recensioni ben più critiche e documentate di quanto un semplice lettore potrebbe dedurre dalla pura lettura.
Ma con Leonardo, fantasticare non è di certo un grave misfatto, anzi…

La trama potrebbe essere semplice, una spedizione di soldati alla ricerca di schiavi e conquiste raggiunge le zone della Circassia, intercetta un drappello di soldati guidati dal coraggioso capo locale, un certo Jacob che si era portato appresso anche la figliola poco più che undicenne e camuffata da maschietto. Il padre viene ucciso e il giovane ragazzo viene catturato, inizia così una lunga odissea che la vedrà percorrere un lungo itinerario mercantile, dalla Tana (la zona di giurisdizione veneziana e genovese del Mar Nero) a Costantinopoli, poi Venezia, la laguna e infine le zone vicino a Firenze, Vinci, per concludere.

Ad ogni capitolo il narratore è anche la persona incaricata o il padrone o il benefattore di questa giovane fanciulla, strappata ad un mondo tra il magico e l’agreste, il selvaggio e l’arcaico. Ha già un nome, Caterina, un piccolo anello dono del padre (di quelli provenienti in gran quantità dal monastero di s. Caterina in Terra Santa, a quell’epoca molto diffusi), probabilmente è anche battezzata, ma è ormai destinata al ruolo di “schiava”, una cosa umana che può passare di proprietà come un mobile o un terreno.

Difficoltà, problemi economici, piccoli e grandi soprusi, intrecciati agli eventi dell’epoca, sempre presenti sullo sfondo. La storia appare molto ben documentata, la narrazione è accurata e stracolma di dettagli, elenchi, riferimenti normativi alla legislazione dell’epoca… l’erudizione e la tecnica non mancano di certo al nostro autore!

Il penultimo capitolo vede scendere in campo nientemeno che il figlio, Leonardo in persona (e non è certo facile mettersi nei suoi panni!) che intesse con questa donna un rapporto sicuramente forte e struggente. Non scendo ovviamente in altri particolari, oltre a quel sorriso che rimanda alla Gioconda e che nell’invenzione dell’autore nasconde forse il ricordo felice della madre.

Quello che mi ha colpito di più è invece la riflessione finale dell’autore, che riletta alla luce dei tempi che stiamo vivendo trovo ampiamente condivisibile e illuminante, nonostante un tono quasi omiletico. E’ un’accorato e forte richiamo alla necessità dell’accoglienza: riporto direttamente solo un passaggio:

 […]  è la gloria più bella di questo nostro meraviglioso Paese, di questa penisola slanciata nel Mediterraneo come un immenso ponte di popoli, culture, civiltà, lingue e arti, che senza sosta nei millenni si sono incontrate e invase e mescolate, da Nord a Sud e da Oriente a Occidente, dall’Europa all’Africa e viceversa, terre e isole naviganti, migranti che arrivano e partono, assetati di vita e di conoscenza. La civiltà italiana non esisterebbe se qualcuno avesse chiuso i nostri porti.  […]  


Ovviamente sono molto di parte (la stessa parte con la quale mi ritrovo), ma penso di essere in buona compagnia.

4 righe da Melilla

4 righe da Melilla

Un po’ per abitudine e quasi per deformazione (anche se poco professionale), mettere nero su bianco quello che si vive e si incontra per me è sempre un modo concreto di riflettere sulle cose, rivedere quanto incontrato, ragionare e, in fin dei conti, mettere legna in cascina.

Anche se viviamo nell’epoca dell’effimero e del rapidamente dimenticato, dei social e dei volontari isolati, ripercorrere con un pizzico di calma quanto appena vissuto può ancora essere significativo. Tra una cosa e l’altra saranno più di 20 anni che provo a farlo, con una regolarità decisamente bizzarra e approssimativa, ma sui tempi e sui gusti, ormai siamo tutti tolleranti.

Sarebbe bello riuscire ad alzarsi presto al mattino, come fanno alcuni, per iniziare con una riflessione scritta, qualche ricordo, qualche buon proposito. Nullo die sine linea ci ripetevano una volta i prof di italiano e soprattutto di latino. In effetti l’esercizio aiuta.
Va ancora bene quando ci si alza pimpanti al mattino, si inforca la bici e se non si hanno impegni, si fa presto a raggiungere qualche tratto della costa di Melilla, che ti fa pensare con calma: “l’Europa è da quell’altra parte…”

Qualche mese fa ho mostrato ad Happiness, una volenterosa studentessa che si stava preparando alla maturità, come si poteva facilmente barare per scrivere un testo. Vai su Chat-GPT e chiedi di scrivere un pezzo di 40-50 righe su un tema ben definito, chessoio, la produzione letteraria di Vittorini. In meno di mezzo minuto ti viene sciorinato sullo schermo un testo che un ragazzo delle superiori forse potrebbe racimolare a fatica in un paio di ore, sbirciando su libri e Wikipedia. Quasi mi divertivo ad osservare lo sguardo tra lo stupito e l’incredulo della ragazza, che si preparava a copiare e poi incollare su qualche suo compito. Ma da buon maestro ho chiuso subito la scheda per dirle che oggi è ancora meglio insegnare a pescare, piuttosto che regalare pesci alla gente. Per un po’ ci crederanno ancora.
O forse, tra non molto, potrebbe essere difficile trovare un pescatore capace di trasmettere la sua disciplina a qualcuno.

E proprio in questi giorni, qui a Melilla, cercavo di aiutare la piccola Jihan alle prese con un testo: sarà la scarsa preparazione, le difficoltà familiari di chi vive in una situazione precaria, ma un testo così frammentato, con numerose parole latitanti, pensieri inconcludenti e termini farciti di errori mi faceva pensare che proprio la scrittura realizza quel miracolo che ci aiuta a riflettere in modo più umano sulle cose.

Si arriva persino al punto di non comprendere cosa manca, dove sono gli sbagli, dove si blocca la comunicazione. Per accorgersi di queste difficoltà basta far leggere ad alta voce: ti accorgi subito se la persona ha per lo meno la situazione in pugno, se comprende il testo oppure…

Ma come al solito sto divagando: con queste righe volevo solo informare i 3-4 amici lettori di queste pagine che se gli fa piacere possono sorbirsi anche un piccolo supplemento. Ho preparato infatti una piccola cronaca di questa mia nuova esperienza. E’ possibile leggere questo primo numero qui, se poi qualcuno desidera riceverla direttamente nella mail, basta che me lo comunichi (al solito indirizzo gbanaudi@maristi.it).

Non di soli social

Non di soli social

Ogni tanto è saggio soffermarsi sulla cornice delle cose. Dedicare tempo e passione ai contenuti è fondamentale, ma senza dimenticare che spesso è il contesto a garantire la comunicazione e la visibilità.

Seguo il web da quando è nato, almeno qui in Italia, ed ho sempre cercato di mantenere uno sguardo attento a tutte le dinamiche comunicative che si appoggiano alle ormai tante strutture e metastrutture realizzate mediante internet. Da quando la parola stessa, internet, non era ancora ben definita ed era anzi persino fluida e poco stabile. Ma le disquisizioni di gender non erano ancora argomento dibattuto a quei tempi.

Oggi i paradigmi della comunicazione si concentrano in modo evidente sui social, alcuni strumenti della rete si sono ampiamente evoluti e altri hanno subito modifiche notevoli. Un tempo sul cellulare si amavano alla follia gli SMS, oggi retaggio quasi esclusivo delle notifiche OTP; un tempo l’account Gmail era una sorta di consociazione carbonara, a cui si poteva accedere solo mediante inviti ricevuti da altri fortunati.

Alcuni social hanno vissuto un’esplosione incredibile, Facebook in primo luogo, tanto che sembra quasi un azzardo affermare che “non sono su FB” oppure che “mi interessa poco”. La sua facilità d’uso e la pervasività dei messaggi che ne sostengono la stessa struttura sono ben evidenti. Perché come diceva (probabilmente) Kafka, “un cretino è un cretino, due cretini sono due cretini, ma diecimila cretini sono un partito politico”. E su FB i numeri degli iscritti (partecipanti?) superano i 2 miliardi. Ma preferisco tenere nel mio piccolo orticello queste considerazioni, prima di regalarle (o relegarle?) al grande pentolone dei media mainstream.

Ed è curioso che ancora oggi, se svolgo una ricerca testuale tra le mie foto, se scrivo semplicemente web mi si piazzano in pole-position le tante ragnatele che, rarefatte, compaioni nei miei album di foto 🙂

Oggi sembra normale utilizzare FB come vetrina indispensabile per le numerose anteprime che si svolgono, bacheca generale per raggiungere un pubblico ben più vasto. Quando parliamo dei nostri “amici” molto spesso diamo per scontato che corrispondano almeno in parte ai nostri contatti su FB. Ma davvero riusciamo a considerare amici le centinaia di persone che ci hanno chiesto “l’amicizia”?

Qualcosa di analogo lo vediamo replicarsi su Instagram (che è sempre di Meta, il grande ombrello sotto il quale gravita FB). E forse, fino a qualche tempo fa, si poteva dire lo stesso di Twitter, mentre ora stiamo assistendo al rapido suicidio di una piattaforma diffusissima e snella; da quando ha cambiato nome e strategia si assiste ad un discreto guazzabuglio di opinioni e conseguenze. Durerà? Potrebbe chiudere? Che fine faranno tutti i contenuti e le energie dispiegate su questo strumento negli anni passati? Dove finirà la conoscenza versata come olocausto a questi media?

Ma i tempi cambiano, e gli anni, effettivamente, stanno passando e le cose cambiano così in fretta nel mondo di Internet da rendere quasi difficile la stratificazione dei comportamenti, degli strumenti e dei modelli in un immaginario collettivo chiaro e condiviso. Sembra quasi che quanto abbiamo appreso agli inizi sia ormai non solo superato, ma inutile, quasi dannoso. Sapendo che tutto cambia velocemente sembra quasi inutile conservare memoria delle pratiche ormai superate o in via di trasformazione.

Per noi che abbiamo vissuto questa epoca di guado, dall’analogico al digitale, dalla macchina da scrivere al PC, dai post-it a Chat-GPT il percorso sembra se non chiaro almeno evidente. Per chi arriva invece oggi che senso potrebbe avere dedicare tempo a questa archeologia post-industriale?

Di solito scrivo queste cose per rifletterci con più calma, senza nessuno scopo pubblico; in un certo senso ho già dato, nei diversi anni in cui pubblicavo periodicamente riflessioni e brevi pezzi sul ruolo di Internet nel nostro mutevole mondo, ma ho trovato interessante notare che se scrivevo qualche post su questo piccolo ed insignificante blog, il traffico generato era decisamente ridicolo: un paio di accaniti lettori, più amici che lettori, e poco più.

Ultimamente ho provato a segnalare la scrittura di un post su FB e dopo nemmeno una giornata, l’effetto leva era più che evidente. I 5 lettori di manzoniana memoria si moltiplicavano per 10, se non per 20. Insomma, è la grancassa che spesso serve per alzare il volume delle informazioni. Anche queste righe, le ho pubblicate la mattina del 12 settembre e alla mattina dopo le visualizzazioni erano… solo 2 (devo avere un fratello molto attento e fedele ;-). Il giorno dopo ho messo un post su FB e la sera del 13 le visualizzazioni erano: 44. Evidentemente qualcosa è cambiato…
Mi viene quasi da pensare alla burla operata in Belgio pochi giorni fa, in occasione di un prestigioso premio vinicolo, avevano travasato un tavernello qualsiasi (che comunque è più dignitoso di tanti altri vini sedicenti doc) in una bottiglia stellata e … hanno vinto il primo premio.

Ma come spesso affermo, i social passano mentre i siti rimangono. Da anni seguo e gestisco con distratta attenzione alcune pagine web. Non sono più i tempi d’oro in cui avere una pagina web col proprio dominio era una sorta di status symbol e non è più nemmeno immaginabile costruire in modo artigianale qualcosa del genere. Le prime presenze sul web che avevo realizzato modificando i primi modelli in html erano certamente spartane e poco attraenti, ma sicuramente la finalità comunicativa era abbastanza facile da raggiungere. Il focus era sempre sulle notizie, sui contenuti, lo strumento era essenzialmente …strumento, poco più.

Oggi il paradigma è quasi rovesciato e conta soprattutto l’aspetto, il feeling, l’appeal grafico… La mia esperienza si misurava agli inizi con la richiesta di semplici siti scolastici, di qualche associazione (la prima versione del sito Agidae è del giugno del 1999, poco prima quella del sito Maristi.it), pagine di società al primo approdo sul web; a corollario di queste esperienze quasi da pioniere era sempre viva l’attenzione alle derive didattiche di tutto questo, già iniziata nel lontano 1985 in collaborazione con il centro ITD del Cnr di Genova e per lungo tempo ho continuato su questa scia, divulgando e mettendo a disposizione materiali, software e informazioni su questo ambito, percorso che ho poi continuato per numerosi anni collaborando con la rivista Tuttoscuola.

Erano i tempi in cui nemmeno i giornali avevano una presenza ben definita sul web (sto parlando dei primi anni ’90, ovviamente, roba del secolo scorso!), quando i bbs erano ancora la punta di diamante della nuova tecnologia e le chat delle poche realtà presenti (Fidonet, MC, Agorà) raccoglievano i primi drappelli dei cultori della materia. Persone che poi sono approdate nei luoghi nevralgici del web nascente, ricordo un amministratore di un bbs (sysop, come si diceva allor) che poi è diventato l’esperto di sicurezza informatica del Vaticano, o il giornalista appassionato che poi ha dato il primo vero impulso al giornale più attento a questa nuova frontiera, Repubblica. Tempi andati, che sono stati però la base di quelli attuali e ogni percorso visto in retrospettiva svela molti aspetti spesso dimenticati.

Interessante, ogni tanto (almeno per me), riprendere considerazioni di questo tipo.

Eccoci a Melilla, prima settimana

Eccoci a Melilla, prima settimana

Ormai ci siamo, è esattamente da una settimana che mi trovo qui a Melilla, Africa del Nord, quasi Marocco, propaggine della penisola spagnola…

Sono arrivato praticamente all’inizio di settembre, ancora piena estate, nonostante abbia già visto che la pioggia qui non è una rarità: abbiamo avuto due giorni di pioggia abbastanza intensa, certo, niente a che vedere con le inondazioni che hanno colpito altre località spagnole del sud, ma pioggia era. Controllando i dati storici sulle precipitazioni del luogo vedo che grosso modo non siamo tanto lontani da quelli di Siracusa…

La mia nuova casa è la sede dell’Istituto Lasalliano del Carmen, molto vicina al centro e al porto (qui, grosso modo, tutto è vicino al porto, fulcro ideale di questo territorio a mezzaluna che ha un raggio di poco più di 3-4 km), si trova già nella parte “alta” della città (che ha numerosi saliscendi collinari, come tante città di mare) e da qui in poco tempo si raggiungono facilmente i vari luoghi necessari: gli uffici centrali del Comune, il porto, la città vecchia, qualche bel parco, i primi negozi utili. Per il centro commerciale più grande occorre prendersi per tempo e camminare per un paio di km.

Faccio parte della comunità “Fratelli” di Melilla, un’esperienza di vita insieme che da qualche anno i maristi e i lasalliani portano avanti (e non solo qui, la prima è stata realizzata in Libano, la seconda a Bonanza e poi a Melilla). Siamo in 5 persone, due maristi (io e Ventura) e poi fr. Eulalio, il “decano” (con le sue 85 primavere), Jesus, l’animatore della comunità (qui si usa ancora il termine “direttore”) e Juan Antonio.

Sono impegnati con l’insegnamento nella scuola (l’istituto comprende primaria e secondaria ed è diretto da laici) e in varie altre iniziative solidarie, la principale delle quali inizieremo presto a conoscere: il progetto Alfa per l’alfabetizzazione di donne marrocchine… Qualche giorno fa c’è stata la prima riunione del corpo docente, con una simpatica animazione per l’avvio del nuovo anno scolastico e poi, nei giorni successivi, le classiche riunioni di inizio anno. Abbiamo partecipato anche io e Ventura che comunque non saremo direttamente coinvolti con l’impegno scolastico della scuola.

Con Juan Antonio sono già salito in collina per giungere alla “fine del mondo” zona-nord, l’ultimo punto di osservazione prima del confine marocchino, con mezz’ora di marcia ci si arriva, attraversando i quartieri marginali della città e passando per alcune zone forestate a pino marittimo; si arriva fino al mirador, il punto panoramico, da cui si osserva la costa e si può notare anche l’impianto dissalatore che fornisce acqua potabile alla città (come è facile immaginare, in questa piccola penisola che ospita Melilla, di torrenti ce ne sono proprio pochi e l’acqua è un problema serio). Abbarbicati alle rocce e in mezzo a scampoli di natura non proprio selvaggia, il panorama era suggestivo, l’unico rumore era quello del mare. Peccato che proprio davanti inizia quella muraglia in metallo e filo spinato che avvolge tutta la città…

Inutile nasconderlo, Melilla deve fare sempre i conti con la sua situazione molto particolare; è interamente circondata da questa rete protettiva, oltre la quale si dovrebbe stendere una porzione di terra di nessuno che però è stata assorbita immediatamente dal governo marocchino, che da parte sua ha eretto un’ulteriore baluardo a poca distanza. L’effetto è imponente e sicuramente drammatico. Fino all’epoca pre-covid, mi raccontano, nella città giungevano ogni giorno tantissimi lavoratori giornalieri dal vicino Marocco e poi anche molti che tentavano l’ingresso in Europa. Poi i numerosi assalti, l’ultimo dei quali nel giugno dello scorso anno, finito in tragedia. Adesso apparentemente è tutto calmo. Il numero di migranti in arrivo è calato drasticamente (dal migliaio a poche decine), ma la tensione è evidente. Non è un fenomeno solo locale, lo si comprende bene allargando la visuale a tutto il Mediterraneo. Una realtà che ormai conosco abbastanza bene. In fin dei conti siamo qui anche per questo.

Ma tra le tante cose da scoprire, Melilla è anche un posto davvero caratteristico. Ho solo iniziato ad esplorarla, con una passeggiata nella città vecchia. Ne vale davvero la pena.

Qualche immagine di questa prima settimana?
Ovviamente sono impressioni di settembre 😉