Quando è stata l’ultima volta che ho scritto una lettera, ripiegato il lembo della busta dopo aver inserito il foglio, leccato con cura la parte collosa e sigillato la busta?
E quando è stata l’ultima volta che mi sono fermato a leggere una lettera arrivata per posta, non recapitata via mail?
O quando ho dedicato del tempo alla carta, alla penna, ai pensieri, da stendere con calma sulla superficie della memoria?
Ho trovato per lo meno interessante leggere uno degli ultimi libri di Susanna Tamaro, questo particolare “Il vento soffia dove vuole“; nella mia libreria digitale ho aggiunto come tag “romanzo epistolare”, anche se come classificazione fa davvero un po’ acqua. Ma in pratica è proprio un libro formato da lettere, tre per la precisione. Lunghe, intense e impegnative.
Nella prima la scrittrice, perché in fin dei conti sempre lei che parla, si rivolge alla figlia adottiva, una ragazza ormai ventenne, originaria dell’India, dal carattere solare, serenamente integrata in una famiglia che non era la sua, ricca di energie, di voglia di vivere, di accondiscendente partecipazione alla vita di una famiglia ormai pienamente sua.
La seconda è decisamente più tempestosa, sofferta e tortuosa; si rivolge alla figlia naturale, arrivata quasi per caso dopo l’adozione della prima figlia, decisa perché sembrava ormai improbabile una nascita naturale. Ragazza dal carattere difficile, scontrosa e quasi aristocratica, quasi a racchiudere un’eredità ingombrante, quella della nonna, che per tutta la vita trascina un rapporto conflittuale con la propria figlia, una difficoltà che sembra riemergere e definire anche nel susseguirsi delle generazioni.
Infine una lettera al marito, una figura apparentemente agli antipodi della sensibilità, esperienza e tradizione dell’autrice; tanto fine, snob e delicata lei quanto semplice, energico e immediato lui.
Addentrandosi nel romanzo si comincia a svelare il quadro di questa famiglia italiana che raccoglie tante situazioni, sensibilità, avventure, impostazioni della nostra attuale società.
Si parla di scuola, di letteratura, di vita normale, di formazione al lavoro, la salute e la presenza del medico, il rapporto tra nord e sud, tra famiglie reduci da una certa aristocrazia e l’impatto con le famiglie del centro-sud italiano, persone asettiche e impregnate di una modernità che sfocia nel quasi isolamento delle persone di oggi alla sussistenza di un tessuto familiare allargato, intriso di religiosità semplice e popolare, di rapporti che si instaurano sulla cornice di una tavola e di un bicchiere di vino; si parla dell’invadenza e onnipresenza del cellulare e della comunicazione onnivora che ormai ci pervade.
E alla fine fa capolino anche l’ultimo arrivato, il figlio inatteso e insperato, quasi un sussulto della vita in tempo limite, con quel suo nome che evoca brezze bibliche.
Qualche dubbio mi sorge nel leggere gli episodi in cui rimane coinvolto, anzi, invischiato, il marito medico, per un episodio che sembra un tantino improbabile, ma la cronaca ci fornisce spesso storie apparentemente insolite eppure avvenute.
In ogni pagina si avverte chiaramente la passione per una vita non banale, la ricerca di un senso che non sia già ricevuto e solo da subire; interessanti anche le aperture che conducono persino a cambi di mentalità, di considerazione e, in fondo, di stili di vita. Il tutto senza toni enfatici o pretese assolute. un atteggiamento mite però deciso e determinato.
Uno pensa sempre che le cose e le persone restino lì per sempre, in attesa, semplicemente accantonate. Invece con il tempo passa anche la vita e ogni tanto restiamo scossi da questa quotidianità.
Con Giorgio Stracquadanio ci eravamo fatti solo questa foto, quasi alla fine della mia permanenza a Siracusa, nell’agosto dello scorso anno, a suggellare un incontro, quasi un sodalizio, che durava da almeno 3 anni. Eravamo una coppia domenicale affiatata, si potrebbe dire, lui alle tastiere e io alla chitarra, presso la parrocchia di san Martino, per dare una mano con i canti. Nel coro quasi sempre l’infaticabile amica Anna, spesso Laura (ed era inevitabile il refrain di Nek nelle domeniche in cui mancava: “Laura non c’è…”), ultimamente il buon Stefano che tentava in tutti i modi di guadagnarsi una sorta di prelatura per poter finalmente accedere allo scanno dell’organo… Qualche volta al duo si affiancava anche Sandro, con la fisarmonica (e l’effetto era davvero interessante); tanti bei momenti, alcuni matrimoni (in particolare quello di Chiara, figlia di Giorgio), abbiamo accompagnato don Salvo Musso e poi don Gianluca Belfiore. Insomma, pezzi di vita sparsi nel tempo, nel nostro tempo. La musica, si sà, è anche bella da realizzare al momento, condita con qualche inevitabile stecca, qualche ritardo per l’attacco (un sogno irrealizzato, regalare a Giorgio uno di quegli specchietti da bicicletta per consentirgli di vedere l’andamento della celebrazione senza dover continuamente girare il collo…).
Bello anche l’organo, del 1800, ristrutturato da non molto. Che si faceva sentire anche (e soprattutto) quando le note tacevano, per colpa del compressore che doveva provvedere a dare fiato alle canne! A scanso di equivoci avevo portato anche la tastiera che ci avevano regalato al Ciao per le poche occasioni in cui si doveva suonare “dal basso” (penso che sia ancora lì, riporta in qualche angolo della sacrestia), ma niente da fare, lui preferiva l’organo antico, con la sua piccola tastiera, i suoi scarsi ma efficaci effetti.
Sul nome oltre che sulla provenienza (un siracusano nato a Sanremo, i casi della vita…) scherzavamo, ed era facile. Giorgio uno e Giorgio due, senza problemi di classifica e di ordine; una consuetudine settimanale senza pretese. Ci si vedeva qualche minuto prima della messa, uno sguardo al don e poi si stilava la scaletta dei canti. Alla fine, spesso, si divertiva a chiudere con qualche pezzo classico, un po’ di Bach, una melodia arcinota, un giro di accordi ad effetto. Era la nostra domenica.
E qualche rara volta che non arrivavo in bici (tempaccio o foratura, càpitava anche questo) mi dava un passaggio, facendomi vedere con quel pizzico di orgoglio locale, dove era riuscito ad infilare la macchina, nonostante le difficoltà di parcheggio di Ortigia.
La notizia del suo decesso, per il peggiorare rapido del tumore che da dicembre lo aveva assediato, mi è arrivato quasi per caso, sfogliando come ogni tanto capita le pagine di Facebook. Due rapide conferme da don Gianluca e Anna per fugare qualche dubbio e poi rimane la dura realtà: i funerali si sono svolti nel pomeriggio del 17 maggio…
Arrivederci Giorgio, per la prossima scaletta ti lascio carta bianca.
In Spagna è uscito da poco il film “El Salto” (poco dopo Pasqua, il 12 aprile), che racconta una storia tutta centrata sul tema dei migranti, ambientata in gran parte qui a Melilla. La recinzione che ci “avvolge” e ci separa dal Marrocco è il traguardo finale del protagonista. Riuscire a “saltarla”, superarla in qualche modo, significa mettere piede in Europa.
Domenica scorsa il mio amico, Juan Antonio, che ama passeggiare nei pochi spazi “naturali” della piccola enclave di Melilla, è tornato con un “oggetto speciale”, trovato per caso nella zona vicino alla grande recinzione. ci abbiamo messo un po’ a capire di cosa si trattava. Eccolo qui:
Solo collegandolo al film e alla recinzione siamo riusciti, dopo un po’, a capire di che si tratta, è un gancio per aiutarsi nella scalata di questa grande recinzione.
Il film è stato presentato a Melilla la settimana scorsa, nell’ambito del 16 festival del cine, nella sala del Perellò, il cinema “storico” della cittadina, tra l’altro anche il più vecchiotto, c’è ancora la maschera che ti accompagna a scoprire il tuo posto e all’ingresso meglio fare attenzione agli scalini, ben poco invitanti. Nella sera di martedì, quando hanno proiettato la pellicola, c’era persino coda per l’ingresso e non è che abbiano aspettato che tutti fossero entrati, nemmeno per sogno. Alle 21:30, come da programma, si spengono le luci e parte il film. Però dopo quasi mezz’ora si ferma tutto e qualcuno chiede al pubblico se non è forse meglio vedere la versione con i sottotitoli, visto che molti dialoghi sono in francese e per molti non è certo facile capire… E così, incredibilmente, si riparte da zero, la proiezione inizia nuovamente da capo. Con il mio vicino, Josè Luis, il parroco gesuita di Nador commentiamo che nemmeno nei cinema più scalcagnati di provincia succedono ‘ste cose. Ma forse basterebbe ricordare il prezzo del biglietto: 3 euro! E’ tutto dire.
Il film è ben fatto, semplice, bastano i fatti a spiegare la tragicità della situazione. Non so se e quando arriverà anche in Italia nel caso, scusate l’eccessivo spoileraggio… Un migrante senza documenti che lavora da tempo in Spagna, come muratore, con i documenti di un altro, ovviamente in nero, ma è laborioso e tranquillo, sta già pensando a come sistemare il suo futuro; la sua donna è già in attesa di un bambino, anche se neppure lei è in regola con i documenti. Per un accanimento della sfiga il protagonista viene fermato dalla polizia, controllo della sua situazione e immediato trasferimento in carcere (dico sempre al mio vicino: in 4 anni di Sicilia mai ho visto o sentito di un intervento simile sui migranti in Italia…); l’accanimento prosegue e l’uomo viene immediatamente espulso e rispedito al paese di origine (Senegal). Con un decreto di espulsione le sue possibilità di riunirsi con la moglie e il figlio sono praticamente cancellate. Ma è comprensibile il suo desiderio di tornare quanto prima possibile. Dall’Africa è dura, lo ritroviamo dopo alcuni mesi nei pressi di Melilla. C’è un bosco alle spalle della città, sulle pendici del monte Gurugù; vi si ritrovano in tanti i migranti che stanno tentando “il salto”, pur sapendo che è un’impresa tra il disperato e l’impossibile. La recinzione è costantemente vigilata, altissima, piena di ostacoli, filo spinato… La polizia marocchina spesso perlustra la montagna rastrellando i migranti che vi si nascondono; a suon di manganellate dissuadono i fuggitivi. Prima del grande evento assume un senso quasi di redenzione la preghiera della guida musulmana e del responsabile sub-sahariano, cristiano; si alternano le invocazioni ad Allah e i richiami alla vita di Cristo. Alla fine solo in pochi riusciranno nel folle progetto.
A dire il vero pensavo che il film volesse raccontare il tragico episodio avvenuto nell’estate del 2022, il tragico “incidente” (o massacro) di Melilla… Invece niente di tutto questo, semplicemente una storia emblematica, senza altri approfondimenti o temi politici, diplomatici, sociologici. Ma ciascuno sa, se vuole, approfondire anche queste cose.
Dopo il Covid, Melilla, su questi aspetti, è completamente cambiata. Abbiamo un centro di accoglienza rifugiati quasi pieno (il CETI), ma pieno di sudamericani, non di africani. Perchè la frontiera e la recinzione sono ancora più intoccabili e controllati. Sul lato marrocchino ogni centro metri vedi una guardia, una garitta, i rotoli di filo spinato sono aumentati, gli ostacoli ancora più difficili da superare. Sono anni che nessuno tenta più questa strada. Al massimo qualche disperato tenta la via del mare, ma in tutto il 2023 ne sono arrivati… solo 13. Se ripenso ai numeri che vedevo lo scorso anno per l’Italia questi dati non rientrerebbero nemmeno nelle statistiche. Ma è anche vero che le statistiche attuali sono notevolmente cambiate dallo scorso anno. A dare uno sguardo qui (cliccando sul cruscotto del giorno) ci si rende conto dei rapidi mutamenti e di come possano cambiare dall’oggi all’indomani questi flussi. Se poi si approfondisce un po’ e si scopre che l’Italia ha allargato il novero dei “paesi sicuri”, i conti vengono presto fatti e si rimane per lo meno sconcertati.
Purtroppo, una risposta seria, concreta e realistica al problema dei flussi migratori sembra essere costantemente evitata. Si cercano rimedi provvisori e inconcludenti per “nascondere” e rinviare il problema. Ma la strategia dello struzzo non servirà certo a risolvere le cose.
Il trailer del film è visibile qui (con i sottotitoli in spagnolo, molti dei dialoghi del film sono in francese)
Come è ormai consuetudine del nostro gruppo di fratelli maristi (nella fascia tra i 50 e 70), quasi ogni anno riusciamo a ritagliarci una pausa significativa, tra fine aprile e inizio maggio, per condividere alcuni giorni insieme e visitare, quasi con infantile gusto di scoperta, una nuova zona della Spagna. Quest’anno la scelta è caduta sulle Asturie. Che fino a pochi mesi fa nella mia inconsapevole ignoranza situavo poco a sud di Madrid… forse per assonanza con l’Estremadura, mentre invece…
Per la cronaca ecco qui una rassegna di queste nostre scorribande “fraterne”
Ci siamo incontrati a Madrid a fine aprile e dal sabato 27 fino al 30 siamo andati alla scoperta. Un itinerario interessante e vario, preparato dal nostro affidabilissimo due Pedro Sanchez e Serafin, che sono riusciti a concentrare in pochi giorni l’anima e l’essenziale di questa terra, mixando con gusto e fantasia tra cattedrali, degustazioni, città in espansione, esempi di pedagogia sociale del tempo appena passato e scorci marini mozzafiato.
Ma per dare almeno un filo cronologico a questi giorni, andiamo con ordine:
Arrivati nel pomeriggio ad Oviedo (con il treno, attraversando una Spagna baciata dalla pioggia) il nostro primo appuntamento è stato la visita della cattedrale. La nostra guida, Regina Buitrago, fin dall’inizio ha dato prova di una conoscenza approfondita e una capacità empatica notevole, facendoci così non solo apprezzare il bello che a profusione si svelava davanti a noi, ma stuzzicando anche la curiosità, i ricordi e la voglia di approfondire, in seguito, per nostro conto. Abbiamo così subito fatto conoscenza con i personaggi storici alle radici di questa terra, il grande re Pelayo, che nei giorni successivi avremmo ritrovato un po’ ovunque. Della cattedrale, una delle tante con una sola torre residua (come Genova, Malaga e altre) abbiamo apprezzato soprattutto gli angoli più antichi, le varie cappelle e la camera santa, nella quale si conserva anche il famoso sudario (e per un appassionato di Sindone il richiamo è sempre interessante), tra le curiosità si annovera anche una delle anfore delle nozze di Cana….
Suggestivo e folgorante il chiostro. Uscendo dalla cattedrale ci siamo immersi nel centro cittadino, sfiorando la statua della Regenta (protagonista di uno dei romanzi più classici della cultura spagnola del 1800, ambientato proprio ad Oviedo) e ricercando le tracce delle antiche mura. Nelle Asturie si colloca il primo guizzo di riscossa che ha portato la Spagna alla reconquista, e la genealogia dei primi re è uno degli archetipi forti della identità spagnola. Insomma, re Pelayo ci avrebbe accompagnato anche per i giorni successivi.
Domenica è stato il giorno del parco di Cavadonga e del Santuario della Santina; passando vicino a questo santuario (manco a dirlo, teatro della famosa vittoria che il re Pelayo aveva strappato ai mori che cercavno di conquistare tutta la pensiola iberica) abbiamo iniziato a salire, poco alla volta il verde esuberante dei boschi lasciavo spazio ai prati e ai cespugli, ma sempre verde e umido (fortunatamente abbiamo incontrato pochissima pioggia, in queste zone solitamente umide), poi con pulmini più piccoli siamo giunti in quota, quasi sui 1200, dove si trovano i laghi glaciali della zona e gli alpeggi dove si produce un tipico e famoso formaggio.
Bello rivedere nelle zone a nord di queste montagne ancora qualche tracca di neve e di ghiaccio; è stata anche l’occasione per qualche passo in montagna. Poi siamo tornati presso il santuario, visitando la cappella nella grotta e assistendo alla messa nella grande chiesa. La Vergine qui viene venerata qui con il nome familiare di Santina e la nostra guida cercava di insegnarci anche rapidamente l’inno, ma il grosso del nostro gruppo provenendo dal sud della Spagna, aveva un repertorio ben diverso.
Ci siamo poi recati nel paese vicino, Cangas De Onìs, dove un antico ponte romano (anche se un po’ a posteriori) fa ancora bella mostra di sè sulle tumultuose acque di questi torrenti sempre in piena. Anche il pranzo è stato un ricco catalogo di piatti e ricordi culturali della zona, a cominciare dalla fabada e compango, il mix di affettati iberici… insomma, ben poco dietetico! Ma il bello della tavola, oltre al cibo, era l’occasione di stare insieme, con amici che per un anno intero si trovano altrove. E subito dopo siamo andati fino alla costa, in zone rinomate e spettacolari, la zona di villeggiatura di Ribadesella, dove le dimore più imponenti ed esotiche erano quelle degli stranieri, generalmente indicati come “indiani”. Nelle acque ancora fredde e ventose erano già numerosi gli amanti del surf…
Lunedì le previsioni erano promettenti: sole. E sole fu, per tutto il giorno, incredibilmente. La prima tappa era presso il famoso villaggio di pescatori, Cudillero. Ci si arriva dopo una discesa folle tra boschi di eucalipto e rocce a strapiombo, poi il semicerchio delle case, ora belle colarate e sfavillanti (ma un tempo, ci diceva la guida, i colori erano molto meno pittoreschi…). Ci siamo inerpicati tra gli stretti passaggi, immaginandoci che no, proprio non era un villaggio per ginocchia artritiche, vista la pendenza e l’altezzza degli scalini. Ma il panorama e gli scorci che si potevano cogliere valevano bene una arrampicata tra i caruggi. Dopo ci siamo diretti verso la città di Gijon e dopo una visita alla zona del porto e del centro (a sorpresa la guida ci ha accompagnati a visitare, nel coro di una chiesa che dominava il golfo e le spiagge, una serie di mosaici recentissimi, opera del controverso Rupnik), poi ci siamo diretti verso l’università laboral, dal programma non riuscivo proprio a capire di cosa si trattasse. Quando poi si è materializzato davanti a noi l’immensa costruzione che ospita questo progetto educativo degli anni 50 ci siamo resi conto delle proporzioni e di come cambiano i tempi. Nato come grande colloggio per studenti dei corsi professionali, sotto il periodo franchista ha rappresentato un centro di eccellenza per la formazione di tanti spagnoli, che qui vivevano come interni; questo paradigma ha poi perso mordente dopo gli anni 80 e adesso si sta cercando di dargli una destinazione, sempre come centro educativo, adatto ai tempi. Nel solo cortile centrale possono entrare comodamente due campi da calcio e la torre centrale, una via di mezzo tra il campanile e un missile, svetta su tutta la pianura circosyante! Dopo l’ottimo pranzo al Parador siamo andati a visitare l’ultima meta del giorno, un altro paesino a vocazione estiva e marinara, il piccolo borgo di Tazones. Sotto le carezze del sole pomeridiano, quasi insperato, le piccole case dei pescatori, gli strumenti della pesca alla balena, la storia suggestiva di questo borgo (che nel 1500 aveva ostacolato persino l’arrivo del re Carlo V credendo si trattasse di…invasori) erano gli ingredienti per completare il quadro del giorno.
L’ultimo giorno, martedì era prevista la visita all’istituto marista Auseva di Oviedo (lo strano nome ricorda la montagna presso il quale si trova la scuola), una scuola che va dai cucciolotti della scuola dell’infanzia fino ai grandi del bachillerato; visita rapida anche per non disturbare, ed era bello sentire il prof di motoria parlare tranquillamente in inglese con gli alunni della scuola primaria per spiegare il da farsi. Poi visita alla comunità marista, ma l’idea di visitare anche l’opera sociale che i maristi portano avanti oltre alla scuola “normale” si è arenata per il fatto che il responsabile era stato chiamato per una riunione progettuale e in questi casi non poteva mancare… anche in Oviedo è forte la presenza di stranieri, migranti e persone in difficoltà, spesso irregolari per quanto riguarda i documenti e in questo centro si viene incontro a tale emergenza con corsi di vario tipo, quasi sempre di alfabetizzazione e rinforzo scolastico.
E poi, dopo il pranzo, raffinato e apprezzato da tutti quanti, siamo di nuovo ripartiti in treno alla volta di Madrid. Qui gli ultimi saluti in vista del rientro, ciascuno nella propria scuola. Melilla per il momento attende, visto che ci tornerò a breve e per il 1 maggio Madrid è sicuramente più interessante. Dopo i saluti e i ringraziamenti per gli organizzatori, la domanda che aleggia è evidente: dove andremo l’anno prossimo???
In questo album ho riunito solo le mie foto, visto che nel nostro gruppo gli appassionati di ricordi erano numerosi e in questo modo abbiamo conservato una traccia minuziosa e dettagliata di quanto visto; ma nell’album collettivo le foto sono quasi un migliaio…
Che Melilla fosse una base piuttosto comoda per gli spostamenti, lo avevo già capito. E l’ultimo incontro speciale è proprio di questi giorni.
Siamo a Madrid, a pochi km dalla città, guardando dalle finestre del refettorio si vede questa grande oasi verde in cui siamo e sullo sfondo la skyline dei primi grattacieli, in bella vista le 4 torri principali (che una ventina di anni fa ho visto proprio costruire e crescere, prima del salto in Ecuador!); siamo nella casa dei cappuccini, il Cristo del Pardo. Pochi decenni fa questa zona, ben preservata, era la riserva di caccia del Caudillo, così come nel 1600 era il parco riservato di Filippo III.
Siamo qui con una sessantina di ragazzi, 15 dall’Italia e gli altri spagnoli. Vengono dalle scuole mariste della nostra Provincia e l’assemblea che si è deciso di organizzare è una cosa abbastanza insolita. Un meeting dove i protagonisti sono proprio loro, i ragazzi e le ragazzi, il più grande sfiora i 17 anni e la più piccolina qualche briciola più dei 13. Insomma, dalla 3a media al biennio, per farla breve. Lo slogan è già rivelatore: “la tua voce conta”. Ma non è tutto, sull’altro lato del Mediterraneo, in Libano, nella cittadina di Faraya, ci sono gli altri ragazzi di questa assemblea condivisa: ci sono alunni dalle 2 scuole mariste di Beiruth e di Jbeil e un gruppetto di scout della nostra città di Aleppo, dove sono presenti i Maristi blu (perché in Siria non possiamo aprire scuole, ma almeno la presenza in mezzo ai giovani è ben radicata). Il clou di ogni giornata è l’appuntamento in videoconferenza tra i due gruppi, che si salutano, si incontrano e condividono una tabella di marcia serrata e coinvolgente.
E’ la prima volta per noi maristi che viene dato spazio e protagonismo in questo modo quasi esagerato ai ragazzi. Su quale argomento? I diritti dei minori. Per noi europei forse una banalità che non riserva molte sorprese. Ma basta ascoltare le esperienze dei nostri amici in Siria per ricordarci che il nostro sguardo sul mondo non può limitarsi al nostro piccolo cortile.
L’idea di fondo è proprio quella di ascoltare i ragazzi, senza tanti filtri, senza manipolazioni studiate a tavolino, senza imbeccare le loro riflessioni. Rischioso, ma anche interessante. I ragazzi presenti sono stati votati dai loro compagni di classe e di scuola, e vivono questa responsabilità in modo ben evidente.
3 giornate piene di laboratori, incontri, scambio e condivisione, cercando di superare gli ostacoli della lingua, perché è vero che gli italiani studiano spagnolo, ma tra il libro di testo e la partecipazione ad una discussione ne scorre di acqua (e per la geografia, il Manzanarre è proprio qui, sotto di noi!); per questo eravamo presenti anche con un supporto per le traduzioni (insieme a me c’era anche fr. Claudio). Ma la presenza di noi grandi si è sempre mantenuta discreta, di servizio, a contorno dell’incontro.
Cosa ne è uscito fuori? Forse proposte semplici, richieste quotidiane, suggerimenti di piccola portata, però tutte con il sigillo della loro voce, che verranno recepite anche ai “piani alti” di chi poi dovrà inserire queste richieste nelle prossime programmazioni “serie”.
E qualche proposta si rivela interessante, bella da ascoltare da queste ragazze e ragazzi che prendono sul serio il loro ruolo. Suggeriscono ad esempio una figura inedita, il “mediatore” per i conflitti, un alunno delle classi più grandi della loro scuola, responsabile e adatto, che possa intervenire quando le litigate e le incomprensioni superano il livello dell’accettabile. O il ricorso ad una figura adulta, magari un’insegnante della materna (che forse ha già incontrato proprio quegli stessi ragazzi, anni prima) e che rimane come un protagonista mitico ma raggiungibile. Oppure i corsi da fare insieme ai genitori, sulle nuove tecnologie digitali, le attività formative da percorrere con i docenti, tutti allo stesso livello… Ne faremo tesoro e serviranno per esportare in alcune scuole le buone pratiche già avviate in altre. Altre proposte sono già condivise da molti dei nostri centri: la buca delle richieste (anonime, ovviamente) per segnalare problemi e disagi, gli incontri col tutor e le lezioni formative su temi trasversali, la figura dello psicologo o dello specialista in determinati ambiti…
L’incontro è durato dal venerdì sera fino alla mattina del martedì, con un ritmo davvero serrato; siamo “usciti” dalla grande casa che ci accoglie solo domenica sera, per prendere un po’ di respiro (ma giocava il Real contro il Barça… quindi per molti ragazzi l’uscita era molto interessata!) e tra poco inizia l’ultima serata: la preparano direttamente i ragazzi, ogni gruppetto deve organizzare un gioco o un’attività per tutti… e domani i saluti, le lacrime, ma prima la nottata, gli scambi, le chiacchiere interminabili, il girovagare tra le camere, la firma sulla maglietta… Sono i loro giorni, bello che li vivano fino in fondo.