Deve esserci una certa forma di attrazione personale per Cuma. Ho realizzato che almeno 4-5 volte nel giorno di Pasqua mi sono poi ritrovato dalle parti di questo speciale sito archeologico Considerando che si tratta di uno dei più antichi insediamenti storici “importanti” del nostro piccolo continente, averlo così vicino a casa (in questo momento Giugliano) è un’ottima scusa per andarlo a visitare con una certa frequenza. Anche perché merita…
L’occasione di quest’anno era data dalla visita di mio fratello Paolo e della sua tribu 😉 e così nel pomeriggio di domenica, tutti in macchina e via verso Licola e dintorni. Questa volta ho risparmiato la visita alla Selva Cumana (chissà perché ancora perenemmente chiusa e semi-abbandonata) e ci siamo diretti subito alla Rocca; pochissime persone a visitare le rovine, quasi tutti stranieri a sbirciare nell’antro della Sibilla, sui passi della Via Sacra, tra le rovine di templi disegnati nientemeno che da Dedalo! Naturalmente dopo diventa un obbligo sostare presso la villa Vergiliana e far vedere cosa si nasconde nella campagna vicina: l’anfiteatro di Cuma, una costruzione che poteva ospitare oltre 5000 persone per i giochi del tempo. Vederla adesso, occupata da vigneti e piante da frutta, fa decisamente uno strano effetto. Ma forse così si è conservato più che altre vestigia (e siccome tra qualche giorno sarà la volta di Parigi e Notre Dame, il confronto è impietoso!). Per concludere la giornata si procede sotto l’arco Felice, si gira a destra per prendere via Scalandrone (così una prossima volta saprò ripetere questa scorciatoi!) e arrivare finalmente al lago d’Averno, per ammirare anche qui il bacino, la calma, lo sbocco delle gallerie militari (di 2000 anni fa!) e le rovine imponenti di un tempio che era secondo solo al Pantheon…verrebbe da aggiungere “bei tempi”, anche se l’invidia è molto relativa. Bei luoghi, direi comunque. Da assaporare con gli occhi e il cuore.
Questo invece era l’album fotografico realizzato poche settimane fa, in occasione di un’altra visita (era la volta di Silvia!); l’itinerario era praticamente lo stesso, a parte l’excursus iniziale sulla riva di Cuma, con tanto di immagini dell’acqua che esce dal condotto del depuratore (no comment! i colori dicono tutto) Album di foto Cumane
Ho concluso da poco il luminoso libro di Susanna Tamaro, Il tuo sguardo illumina il mondo. Testo illuminante, deciso e interessante. E siccome la Tamaro è un’autrice sempre controversa, che per ogni rigo scritto raccoglie critiche, condivisioni e divisioni, leggerla diventa anche una bella scorribanda per scoprire quanto collima coi propri gusti, quanti stimoli vi si possono scorgere, quante domande e risposte vi si possono scorgere. Come si può notare da una rapida ricerca sul web è anche il libro dove l’autrice parla della sua sindrome di Asperger, un fardello relazionale che senza dover giustificare nulla condiziona sicuramente tanti aspetti e lati della vita. Per fortuna non siamo semplicemente la somma dei nostri limiti o dei nostri problemi, anzi, a volte possono essere queste condizioni un valido alleato per raggiungere una maggior sicurezza e indipendenza. Il testo raccoglie l’itinerario di amicizia con Pierluigi Cappello, un poeta che ci ha lasciato nel 2017, costretto da tempo, per un incidente, sulla sedia a rotelle. Il loro scambio di lettere, di incontri e di riflessioni si dipana in modo naturale e semplice, toccando però quei temi importanti della vita che spesso releghiamo alla sfera più intima, più nostra. Si avverte nel lungo dialogo della Tamaro, quasi un monologo, attraversato in poche riprese da alcuni versi di Cappello, qualche frase del poeta, alcuni stralci dei loro incontri soprattutto della fase finale prima dell’estremo saluto, la passione per una vita che non sia di superficie, che non si accontenti del banale trascinare le giornate per riempirne il vuoto insostenibile. E’ persino evidente il richiamo ad un Assoluto personale, da raggiungere senza troppi giri di parole mediante una frequentazione attenta del vangelo. Sono tante le riflessioni che salgono a galla, sulle varie assurdità della nostra vita, che ci consuma senza procurarci senso, che tenta di assoggettarci denigrando le alternative che potremmo escogitare. In particolare si coglie l’attenzione a come oggi sia difficile recuperare quella lentezza e quella profondità di vita che ci aiuterebbero invece a gustarne il senso e il sapore. Ne emerge una Tamaro matura, pacata e capace di immersioni profonde nella vita, ricca di umanità, da assaporare con calma.
Ho terminato da poco la lettura di due testi particolarmente interessanti e “utili” per questi nostri tempi; mi piace raccogliere alcune riflessioni, per non dimenticarli troppo presto 🙂
Questo rapido libretto, una sorta di lunga lettera, è uscito a fine febbraio. Don Ciotti si rivolge direttamente a chi mette in atto pensieri, decisioni e comportamenti che purtroppo oggi ricevono l’avallo delle istituzioni e del Governo: chiusura dei porti, diffidenza nei confronti dei migranti, attribuzione di tutte le colpe delle attuali crisi al popolo del mare che starebbe mettendo in atto una nuova “invasione” dell’Italia e dell’Europa intera. Con pazienza, mitezza e dati alla mano, l’autore riprende alcune delle tematiche dibattute per metterne in evidenza la reale portata e dimensione. Vengono in pratica analizzati i vari slogan che sentiamo quotidianamente in tv e sui giornali (almeno, su alcuni giornali). Ecco rapidamente l’indice del testo, con i vari temi affrontati: Ingiustizie, razzismo, invasioni, “prima gli italiani”, diversi, memoria, muri, “Aiutiamoli a casa loro”, un uomo solo al comando, Speranza. In ciascun capitoletto vengono enunciati i problemi, snocciolati i dati reali che permettono di valutare personalmente la vastità del fenomeno, senza l’enfasi mediatica del talk-show e ricordata (quasi suggerita), la scelta che un cristiano dovrebbe considerare la via maestra, quella del vangelo. Nel finale don Ciotti ricorda l’impegno che ogni persona di buona volontà dovrebbe mettere in atto per rendere vera la Costituzione. Interessante la notizia che in sede di Costituente il senatore Dossetti aveva proposto di inserire persino la “disobbedienza civile” come forma alta di politica. E proprio a questo si richiama l’autore, considerando la deriva attuale e il clima di indifferenza che troppi stanno coltivando. Bella anche la chiusura, con la frase di don Tonino Bello che ci ricorda che “delle parole dette devo rispondere alla società e alle persone, ma del silenzio… devo rispondere a Dio“. Meglio dirle, allora, queste parole forti su un problema che non possiamo considerare passeggero o poco significativo.
Il secondo libro richiama e approfondisce in modo molto circostanziato il tema del “aiutiamoli a casa loro“; l’autore è padre Alex Zanotelli, che da tempo vive a Napoli, nel quartiere della Sanità. Conosce molto bene l’Africa, da dentro, per aver vissuto nelle baraccopoli di Nairobi per lunghi anni, senza però dimenticare l’impegno di testimonianza e informazione nei confronti della società (perché anche questo è necessario, soprattutto oggi). Anche sulla cover ritorna il termine “razzismo”, forse un indicatore che sul valore delle parole e sul loro peso dobbiamo tutti riflettere con particolare attenzione. Nel testo vengono analizzati numerosi fatti ed eventi per comprendere meglio il fenomeno migratorio attualmente in corso, con particolare riferimento alla situazione italiana. Spesso ci si limita a fare echo di alcuni slogan diffusi dai media, senza il dovuto approfondimento. Sarà per questo che le mezze bugie sbandierate in piazza finiscono col diventare le verità del sistema… L’analisi si avvale di documentazione precisa e dati concreti. Non ha molto senso giudicare i fatti senza tenere in debita considerazione le cause. Ecco allora che p.Alex ci ricorda i motivi storici che sono alla base di gran parte dei fenomeni migratori. In particolare si sofferma sul colonialismo classico e moderno che l’Europa ha realizzato nei paesi del sud del mondo. Approfondisce la situazione africana, con numerosi richiami alle condizioni attuali e alle nuove forme di sfruttamento, dal land grabbing al drenaggio di risorse minerarie per consentire la nostra corsa hi-tech (mai sentito parlare del coltan?). Ci ricorda inoltre che da bravi italiani non siamo stati poi così “brava gente” nel nostro passato coloniale… Ho utilizzato questo testo e le sue notizie durante le ore di geografia, per ricordare ai ragazzi di 3a media anche queste cose, sicuramente necessarie per conoscere le cause del nostro mondo di oggi. Testo agile, rapido e molto concreto.
poche volte capita l’occasione di incontri così speciali che poi li cataloghi nel risicato mucchietto del “questo valeva proprio la pena”. Il convegno di lunedì 1 aprile, presso il seminario di Napoli, con l’ambasciatore ONU Staffan de Mistura è proprio uno di questi.
La “colpa” è stata un po’ del rettore del Seminario, l’amico gesuita Francesco Beneduce (con il quale abbiamo condiviso diversi incontri con la Fidae, a proposito di scuola cattolica); dopo aver ricevuto l’invito e le locandine mi sembrava l’occasione ideale per rivederlo e sentire una persona che sul tema della Siria e dei conflitti internazionali ha molto da raccontare. Così con alcuni amici siamo arrivati nella splendida cornice del Seminario (scendere e salire per la zona di Posillipo ha il suo fascino!), pronti per ascoltare questo personaggio. E sarà che quando si parla di ONU si fanno spesso slalom verbali per evidenziarne limiti e problemi, ma forse vale la pena considerare anche i suoi indubbi vantaggi e potenzialità.
Il lungo intervento dell’ambasciatore si è articolato su molti fronti; dal riconoscimento del valore di una scuola formativa come quella dei Gesuiti (fa una certa impressione sentire che tra i suoi compagni di classe ci sono un certo Luca Cordero di Montezemolo o Mario Draghi!) alla scelta di un “mestiere” piuttosto insolito (ci ha confessato che “ma io volevo fare il pompiere”, persino Padre Pio gli dirà un giorno, profeticamente, “spegnerari molti fuochi”); poi è subito entrato nel cuore del problema, raccontando il suo impegno come incaricato Onu di mediare al tavolo del conflitto, affrontando ben 11 paesi in contrasto, rilevando l’impegno che era stato del Nobel Kofi Annhan e portando, dopo 4 anni e mezzo, se non proprio una pace, almeno una relativa pacificazione tra le parti.
Situazione complessa e spesso poco nota in occidente, dove le semplificazioni la fanno da padrona. Ci ha narrato i suoi incontri con le persone, le autorità, i dilemmi da affrontare, le sofferenze delle popolazioni e le crudeltà della guerra. Ha lasciato poi spazio alle domande, alle quali ha risposto con precisione e affabilità, nonostante la posta in gioco (cosa rispondere a chi mette in campo il conflitto tra Israele e i Palestinesi, o il ruolo dei grandi paesi come Russia e Usa, il problema delle armi che i pacifici paesi d’Europa vendono un po’ a tutti…). Ci ha insomma mostrato l complessità dei problemi in corso. E la dedizione di una persona speciale che li ha affrontati da una prospettiva etica e personale di chiara ispirazione cristiana. Bello sapere che il mondo può contare su tante persone di buona volontà, talvolta nel momento giusto al posto giusto.
Sono appena tornato (si fa per dire, giocavo in casa!), dall’incontro organizzato dall’associazione Minerva per la presentazione del libro Dove sei, di Alessandro Flora.
Si tratta di un libretto scomodo, racconta l’esperienza di un padre che perde la figlia di 9 anni, nel giro di poche ore. E deve farsi una ragione che da quel momento le cose cambiano profondamente. Lui è un ingegnere geotecnico, insegna all’Università di Napoli e da persona non credente rivendica un suo personalissimo percorso di senso in tutto ciò. Eravamo un bel gruppetto, perché la responsabile dell’associazione mi aveva chiesto di introdurre l’autore e il libro, visto che lei si sentiva, conoscendolo, troppo emotivamente ingarbugliata.
Così il libro me lo sono letto durante i giorni di Natale e all’inizio del nuovo anno. Un’esperienza toccante, seria, sofferta. Riporto qui semplicemente le domande che ho cercato di porgli, come filo narrativo per la serata, che poi si è trasformata felicemente in uno scambio di esperienze tra i vari presenti.
Dove
sei? Di Alessandro Flora, EDB
Associazione Minerva, 26 marzo 2019
Incontrare l’autore di un libro è
un’occasione ghiotta per andare al di là del testo, condividere un’esperienza,
ma l’esperienza narrata in questo libro è molto particolare; l’autore si
racconta, ci lascia entrare nell’intimità della sua vita, della sua famiglia,
per farci parte di un’esperienza che
nessuno di noi vorrebbe mai incontrare: la perdita di un figlio. Sara a 9 anni,
in un batter d’ali viene sottratta al padre, alla sua famiglia. Tutto sembra
crollare. Dopo un anno questo dolore si trasforma in un libro… come è stata
questa gestazione…?
Spesso ci lasciamo travolgere dalla vita e
dai suoi impegni, e solo quando ci cadono addosso macigni come questo cogliamo
veramente il peso e il senso della vita,
è proprio vero che non siamo mai pronti o preparati a situazioni del genere? E
la mia esperienza potrà essere un dono, un aiuto, una guida, per altri?
Tante le domande che ci piacerebbe
rivolgere, ma un libro così intimo ci obbliga ad entrare in punta di piedi, o
forse questo è un tentativo di seduta
terapeutica aperta, per rielaborare questo evento in modo pubblico, quasi
per obbligarci ad andare fino in fondo, avendo chiamato a raccolta tanti
testimoni? In questa epoca così social ma così rarefatta nei rapporti veri,, “raccontarsi”
aiuta veramente? O lo facciamo per obbligarci a riflettere, quasi un parlare a
noi stessi?
Quando tutto ci sembra crollare, solo una famiglia forte ci aiuta a superare
questi momenti, a rielaborarli senza perdere l’equilibrio; emerge nel libro un
forte ruolo della famiglia, degli affetti, della condivisione di un percorso. La
moglie e i figli grandi sono un punto di riferimento… Diamo sempre tante colpe
alla famiglia (noi prof, soprattutto!), ma senza questa presenza, come avremmo
portato il peso? Quanto è ancora importante la famiglia oggi?
Nel libro emerge fin da subito
e in forma seria il “senso ultimo”
o definitivo che la vita umana ha, o dovrebbe, o vorremmo che avesse. La realtà
narrata non consente sconti. O affronti questo tema o perdi il senso della tua
vita… Ma guardandosi intorno non trovi molta gente che si pone queste domande;
troppe volte ne facciamo a meno, forse si può vivere ugualmente? Cambia
qualcosa? E come?
L’uomo di oggi non accetta volentieri il
confronto su queste situazioni, trova anzi mille modi per eludere queste domande, e ovviamente anche tutte le possibili
risposte. Forse questa ricerca è un nostro tentativo di continuare un dialogo
con la persona cara ora assente, prolungare la presenza di chi ci è stato
tolto? Insomma, una forma di illusione per mitigare il dolore?
Nel suo percorso si è imbattuto in uomini di fede che hanno saputo, se non
dare risposte, almeno accompagnare in modo delicato nel dolore. Penso a don
Gennaro Matino, molto presente nel testo; in queste situazioni conta di più la
persona o il ruolo che uno riveste? Più l’uomo o il sacerdote?
Il tema
religioso traspare in filigrana, in questi momenti se cerchi veramente una
risposta non puoi eluderlo e quindi lo affronti con le capacità che ti sei
costruito nel tuo percorso di formazione. Ma in tante famiglie questo discorso
ormai riveste un’importanza marginale, una sorta di spazio per le tradizioni da
conservare… e poco più; in questo viaggio, che scoperte ha fatto al questo
riguardo?
Per chi ha il dono della fede queste
situazioni suscitano domande non meno lancinanti (anzi! Il “perchè proprio a me?”
sembra ancora più inevitabile), e sono altrettanto impegnative. Viene da chieddersi
se sul versante del semplicemente umano
esistono risposte soddisfacenti?E bastano?
Nel libro ci scappa una battuta sul dialogo
(strano per un prete), un tempo la cultura era quasi solo targata “cristianesimo”,
oggi siamo forse giunti ad un capolinea dove il religioso è quasi emarginato; speriamo
di tornare ad un dibattito più equilibrato; se ne vedono le premesse oppure
siamo destinati a restare su steccati contrapposti?
Dietrich Bonhoeffer assassinato nel 1945: aveva preso parte alle
cospirazioni antihitleriane. la sua colpa? Avere “detto la verità”.
Ma che cos’è, la verità? Ecco le sue parole (da Etica, uno dei libri capitali
del Novecento): «Dal
momento in cui impariamo a parlare, ci sì insegna che le nostre parole devono essere veritiere.
Che cosa vuoi dire? Che cosa significa: “dire la verità”? Che cosa ci viene richiesto? Quando la vita ci inchioda con la sua parola Fine, abbiamo solo bisogno della verità, e vogliamo dobbiamo cercarla. E’ questo che ha cercato, che cerchiamo?
Nella Bibbia incontriamo un uomo che vive
tragicamente l’assenza di un figlio, anzi, di vari familiari: Giobbe, un protagonista di primo piano
che però sembra accettare rassegnato che le cose avvengano; ma la fede non ci chiede rassegnazione, è
troppo poco. Come “ribellarsi” a certi modelli di fede?
E quasi alla fine diamo spazio anche alla piccola Sara: come sta andando avanti la fondazione Naposole, di cui si accenna nel libro?
Mi piace concludere con una sua frase che può
essere una preghiera, o una richiesta di maggior coerenza per chi si impegna a
seguire il vangelo: la fede dei
cristiani è la mia speranza. E’ ancora così oggi? Ma questo libro non è già
un segno di speranza …?