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Aver capito un’H

Aver capito un’H

Libro particolare quello che mi sono un po’ forzato a iniziare, leggere e concludere. Non adoro i gialli o le trame che mirano a scoprire qualcosa o qualcuno. Mi sono convinto a leggere il libro H, di Lidia Calvano una volta letto, tra le varie recensioni onnipresenti su Amzn, in base ai protagonisti, anzi, AL protagonista. Un giovanissimo portatore di quel tipo di handicap che non ci si augura mai di incontrare: il quasi totale isolamento sensoriale e quindi la difficilissima situazione comunicativa.

I genitori di H, soprattutto la madre, sono i veri protagonisti. Il racconto sembra un collage delle frasi, pensieri e riflessioni materne, che narrano la insolita storia. Un piccolo crimine di provincia, l’uccisione di una ragazza che per un lungo periodo era stata la tata di questo bambino, da accudire e seguire, stimolare sensorialmente e coccolare. Perché fin quando restano bambini le cose sono ancora tollerabili e meno complesse. Intorno a questo omicidio prende forma la vicenda del commissario incaricato di indagare su questa storia. Vari elementi che fanno pensare a un delitto di gelosia, tradimenti e sotterfugi. La coppia dei genitori traballa fin dagli inizi, per poi sfaldarsi rapidamente. La madre vive questa situazione come una evidente occasione di indipendenza e di maggior legame col figlio. Per un bel po’ di pagine ci si culla nell’idea del padre-amante che cerca di eliminare un personaggio scomodo.

Il finale, ovviamente, è un po’ diverso e più intrigante.

Ma ho apprezzato il testo non tanto per la vicenda o l’originalità (o forse nemmeno tanto originale, la vita ci sorprende ogni giorno con vicende insolite) quanto per l’attenzione e la capacità nel descrivere questo rapporto quasi simbiotico tra la madre e un figlio che non ha praticamente mezzi per relazionarsi.

Ho incontrato in alcune occasioni situazioni simili, provando l’impotenza e la difficoltà nel capire e ritenere sensate queste vite, apparentemente bloccata, quasi ridotte al solo livello vegetale, eppure in grado di entrare in relazione. Quanto è importante l’atteggiamento di chi si mette in rapporto con queste persone, più della gravità stessa dell’handicap presente.

Nel libro si avverte spesso il fatto che le conclusioni della madre più che dati oggettivi sembrano raccontare il suo desiderio di comprendere il figlio. Vivere a stretto contatto con una creatura che dispone solo del battito degli occhi per comunicare è sicuramente un’impresa, solo chi vi è abituato, giorno dopo giorno, riesce a comprendere la differenza tra un riflesso indesiderato e un tentativo di comunicazione. Interessante soprattutto per questa attenzione al dettaglio, all’incredibile capacità umana di superare le difficoltà più impervie, all’ostinazione di una madre. Anche quando la realtà sembra accanirsi e bloccare ogni possibilità di esprimersi, rimane una via di fuga, una speranza al comprendere, un senso alla vita.