Siamo assediati dalle sigle, ma alcune si rivelano più efficaci di altre. Da quando mi trovo in Spagna ho messo nell’elenco delle sigle necessarie l’11-M, la serie di attentati terroristici che sfociarono in particolare nella tragedia della stazione di Atocha. Da quando sono a Melilla tocca invece confrontarsi con questa nuova sigla: 24-J, corrisponde alla data e al mese (l’anno era il 2022) in cui si verificó il tragico assalto alla recinzione di Melilla e il conseguente massacro, da parte militare, di un numero ancora oggi non ben precisato. 77 sono le vittime di cui non si sa ancora nulla… A questo assalto parteciparono in massa, si parla di 500, 1000 o piú migranti, che si erano preparati a lungo, rintanandosi sulle pendici del vicino monte Gurugù.
Per un chiarimento di quanto successo rimando alle pagine di Wikipedia, visto che questa vicenda è ancora una ferita molto viva e non conclusa della nostra storia.
Insieme ad alcuni amci venuti proprio in questi giorni a Melilla per conoscere meglio la realtà locale e darci una graditissima mano nello svolgere alcune delle attività che portiamo avanti sul fronte della solidarietà, avevamo rivisto il film “El Salto” diretto da B. Zambrano, che avevo avuto la fortuna di ascoltare dal vivo quando, lo scorso anno, aveva presenziato e parlato in occasione della prima proiezione della pellicola. Non racconta direttamente questo evento, ma in sintesi ricorda molto da vicino l’ambiente, i fatti, il clima in cui tutto ciò è successo.
Lo scorso anno non si erano svolte iniziative particolari, ma quest’anno gli amici delle ONG Mec de la Rue e di Geum Dodousi sono attivati con particolare attenzione, organizzando 2 momenti speciali. Il primo di “raccolta” sul luogo dove si svolsero i fatti e, in serata, un “circolo del silenzio” per ricordare insieme.
Ho potuto partecipare all’incontro della mattinata, alle 12, sotto un sole davvero africano e impetuoso. Non troppo numerosi i partecipanti, eravamo un gruppo di 20-30 persone, in proporzione giornalisti e media erano quasi più in evidenza. In questi casi aiuta!
Insolito: a questo evento eravamo presenti ben 3 italiani, una ragazza in visita per alcuni giorni e l’immancabile Lorenzo, rappresentante di UNHCR. Piccolo dettaglio: ad agosto la sede locale di UNHCR chiude, inesorabilmente. I tagli di Trump (con la chiusura di USAID) producono ricadute molto concrete e rapide sugli equilibri delle ong e della solidarietà…
Ci siamo radunati davanti a quello che era il passo di frontiera del Barrio Chino; a pochi metri di distanza, in territorio marocchino, la vita continuava imperterrita il suo corso, nessuna memoria evidente dell’evento (sul notiziario web di Nador ho rintracciato solo questo articolo, scritto un anno dopo l’evento), traffico normale, vociare dalle case vicine, la vita che scorre…
Abbiamo atteso che arrivassero anche alcuni ospiti del CETI, un gruppo di ragazzi del Mali che si trovano a Melilla da alcuni mesi, in attesa delle procedure per l’asilo internazionale; ma si tratta di persone che sono giunte qui seguendo le vie ufficiali, traghetto o aereo, per iniziare le pratiche. Oggi nessuno prova nemmeno a pensare di passare dalla Valla, questa recinzione ormai impenetrabile, palizzate in metallo alte 6 metri, filo spinato, barriere multiple, controlli via telecamere, presenza costante e cospicua di militari marocchini sul proprio versante.
Nella mia piccola esperienza di questi ultimi due anni, ho toccato con mano che gli unici ingressi irregolari sono stati quelli di alcuni ragazzi arrivati qui a nuoto, durante la bella stagione, eludendo i controlli, ma si tratta di piccoli numeri, 20-30 in un anno. Alcuni di questi ragazzi li incontriamo spesso, a qualcuno offriamo persino momenti di svago e di alfabetizzazione… ma non ne parlano molto di questo “passaggio di frontiera”.
L’incontro è stato veloce, anche per il caldo intenso che invitava a sveltire il tutto. Maite ha rivolto brevi parole, poi ha passato il microfono ad un parroco di Madrid giunto per l’occasione, infine alcuni ragazzi del Mali hanno letto i nomi delle vittime. Poi abbiamo infilato alcuni fiori nella recinzione.
Chiaro il messaggio: non possiamo cambiare il corso del passato, ma dimenticare sarebbe come considerare normale, anzi, inevitabile quanto successo. Cerchiamo insomma di realizzare un mondo dove questo genere di cose non possa più avere luogo.
E dopo qualche rinvio e l’attesa del comodo ponte del 12 ottobre (ottima idea quella di sottolineare il giorno della Hispanidad nell’anniversario della scoperta di Colombo; e io sono uno dei pochi che ha vissuto anche in Italia un 12 ottobre di vacanza scolastica, ma era …nel 1992, in occasione dei 500 anni!) eccoci pronti per la nostra prima escursione in terra di Marocco.
Con l’esperienza che hanno ormai da tempo i fratelli lasalliani, abbiamo deciso di lasciare la macchina vicino alla frontiera, passare a piedi e poi prendere il bus per andare fino alla città di Nador, il centro urbano più importante che si trova nei dintorni di Melilla. Con i suoi 150mila e oltre abitanti, le sue infrastrutture economiche, bancarie (è la terza piazza del Marocco, grazie alle rimesse dei migranti), minerarie (nei suoi pressi si trova il principale polo siderurgico nazionale, può ben considerarsi un “grande” centro. Si trova ai bordi di una grande laguna (il Marchica, che ancora risente dell’influsso spagnolo, visto che tutta la zona e la città stessa si sono sviluppate quando tutto questo territorio era protettorato spagnolo) e ospita un grande porto, sia per commercio che per il traffico di passeggeri. Sta vivendo una fase di rilancio e di progresso, sfruttando anche il territorio a profonda vocazione agricola. Insomma, ben più grande e imponente di Melilla, ma…
Ma dopo la nostra oretta tranquilla di trafila burocratica per entrare in Marocco (e non c’era nemmeno molta coda, di solito di ore ce ne vogliono almeno un paio) e dopo aver preso il bus (questo sì bello moderno e al passo coi tempi) poco a poco la realtà che ti si presenta lascia emergere tante differenze. A cominciare dai marciapiedi che ti obbligano a camminare con molta attenzione per non inciampare, alla segnaletica un po’ evanescente, alle insegne dei negozi molto naif, alle merci che strabordano sui marciapiedi, alle moschee affollate (era venerdì) con tanto di fedeli sui tappeti nelle zone antistanti l’ingresso… Ma per tutte queste cose la Sicilia mi ha sicuramente vaccinato 😉
La nostra però non era una visita turistica senza una meta precisa. A Nador abbiamo dei contatti molto stretti, tutti concentrati nella parrocchia dei gesuiti, che tra l’altro è l’unica parrocchia di tutta la città! Mi viene da pensare a Giugliano in Campania, che come abitanti è quasi equivalente! Una sola presenza cattolica che raccoglie la comunità dei Gesuiti e 2 altre comunità religiose femminili, quella delle Schiave della Bambina Immacolata, più note con il termine di Divina Infantita (povero me, mi ritornano le reminiscenze di Faletti con le sue Piccole Madri Addolorate del Beato Albergo del Viandante e del Pellegrino…), il gruppo più numeroso e poi le suore della carità (s.Vincenzo) che sono solo 2. Se ci metti che i gesuiti sono 2-3 i conti si fanno presto, una dozzina di religiosi in tutto. La chiesa cattolica è nel centro cittadino, presidiata costantemente dalla polizia, con una guardia e una automobile sempre presenti. A sancire l’ufficialità della presenza non manca il cartello che riserva almeno un parcheggio alla parrocchia. Ma basta leggere per comprendere che… Tra l’altro l’ingresso della chiesa è piuttosto defilato, due porte laterali, nessun ingresso centrale; aggiungi pure che il campanile c’è, ma in Marocco come in tutti i paesi musulmani è vietato l’uso delle campane!
Ma nemmeno questo mi sembra rilevante, il bello che ci attende è proprio dentro il sacro recinto che sembra così marginalizzato. Intorno alla chiesa si muovono infatti 2 realtà molto significative: il centro Baraka e l’ufficio diocesano per i migranti.
Il Centro Baraka mi ha subito fatto pensare al nostro Ciao siracusano, ma in un contesto ben diverso. Si rivolge soprattutto al mondo marocchino, in particolare alle donne ma non solo, svolge da anni un prezioso servizio di formazione e di orientamento lavorativo, offre corsi di alfabetizzazione, cucina, ristorazione, istruzione professionale (per elettricisti e idraulici), taglio e cucito, laboratori artistici, ceramica, informatica… si mantiene grazie a progetti internazionali e soprattutto grazie alle sovvenzioni e donazioni di grosse ONG spagnole, dalla Caritas a Mani Unite, dal centro sociale dei Gesuiti alla diocesi di Tangeri, a cui appartiene. Ovviamente conta su uno staff di operatori nutrito e numeroso, non solo su base volontaria, perché una simile macchina organizzativa ha bisogno di una stabilità istituzionale.
Oltre alle classi e alla formazione forniscono anche un pasto a circa 80 bambini al giorno e poi supportano questi bambini (quasi tutti a livello della primaria) con un rinforzo scolastico. Abbiamo curiosato un po’ nelle classi, insieme ad altri volontari di una ONG tedesca anche lei in visita (una cosa che capita spesso, ci dicono!), visitando i vari angoli di questa realtà, che. come dicevo, è tutta realizzata all’interno dello spazio della parrocchia. Insomma, immaginatevi una chiesetta al centro e sui due lati queste due realtà, perché non c’è solo il centro Baraka!
L’altra presenza è quella della Delegazione Diocesana per i Migranti (DDM) . Come ho già avuto modo di vedere in questo territorio marocchino non si “vedono” molti migranti come invece capita nella nostra Sicilia (e non solo a Siracusa); e questa assenza si avverte ancora di più con il dopo-pandemia; non ci sono sbarchi, non ci sono passaggi evidenti, la polizia e l’esercito marocchino svolgono molto bene il silente compito contenitivo assegnato dall’Europa. Ma qualcuno arriva comunque. Sui notiziari di Melilla era presente la notizia che durante il 2023 sono stati “fermati” 3000 migranti che hanno tentato di entrare in Europa a nuoto, fermati e gentilmente rispediti in Marrocco. Quindi un po’ di arrivi ci sono comunque.
In questo centro parrocchiale si fanno carico proprio di questa realtà, hanno messo a disposizione delle stanze, una decina, per una prima accoglienza di emergenza, uno sportello di aiuto legale, una presenza durante le ore del mattino, la possibilità di una doccia; così nel centro si incontrano numerose presenze di “passaggio”, famiglie o mamme con bambini piccoli. E tutta questa realtà viene portata avanti dalla comunità delle suore e da qualche volontario. Interessante ascoltare dalla voce diretta di chi vive questa esperienza quali sono gli snodi principali, le difficoltà, le sfide…
Ed è quello che abbiamo poi continuato anche dopo il pranzo. Per l’occasione erano presenti alcune suore messicane “di passaggio” e 3 novizie in fase di apprendimento della lingua (sembra paradossale, ma due novizie parlano il francese e una l’inglese, mentre la maestra delle novizie non conosce nessuna di queste lingue…); davanti a due spettacolari piatti di couscous e a una sfilata di dolci locali ci siamo davvero scambiati anche le rispettive esperienze.
Sembra proprio che proprio nelle periferie si riesca a realizzare e a respirare un’aria di chiesa più concreta e vitale; e non dipende certo dall’età, visto che a gestire le cose ci sono suore arzille di 80 e 92 anni! Anche in questo caso pensavo alle nostre inossidabili Fidelma ed Edoarda di Scampia. Quando la realtà gronda di emergenze, non è difficile tralasciare le cose meno essenziali e concentrarsi su quelle importanti.
Ci diceva padre ***, il gesuita che è parroco da non molto di questa realtà (in precedenza c’erano i francescani) che la domenica ci vuole poco a rendere viva la celebrazione. I numeri sono decisamente ridotti e l’assemblea si aggira di solito sulle 30-40 persone; ci si conosce tutti, la realtà è ben nota, le situazioni serie sono condivise da tutti perché in un modo o nell’altro si è tutti parte di questi vari progetti. L’intera diocesi di Tangeri conta 8 parrocchie, se guardo sul sito della diocesi di Siracusa trovo un elenco di oltre 40 parrocchie per restare leggeri… certo i numeri contano. Ma soprattutto le persone.
Al ritorno sr. Carmen (Figlie della Carità) ci dà uno strappo in macchina; lungo il percorso entra di straforo (ma lei conosce un po’ tutti qui e tutti la salutano, il velo della suora ha questo potere) in un resort con campo di golf e ville di alto livello, tutto pensato per i turisti stranieri, ma tutto praticamente vuoto (ci dice che il re ha quasi costretto ogni ministro a comprarsi uno di questi residence), sembra un paesaggio da favola e poco lontano c’è un’altra residenza lussuosa del Re, ma ci fa poi notare la presenza di diversi ragazzini, tra i 10 e i 15 anni, spesso seminascosti agli incroci, che aspetta o provano a salire su qualche camion nella speranza di riuscire ad eludere i controlli e giungere a Melilla. Praticamente non ci riesce nessuno; vivono qui in giro, da soli, spesso strafatti di colla e altre sostanze, lei ogni tanto porta qualcosa da mangiare… restiamo decisamente impressionati. Poi, prima di fermarci alla frontiera, ci fa vedere la “muraglia”, la grande recinzione, dalla parte marocchina. Una presenza costante di militari armati, in certi punti quasi ogni 25 m., ci mostrala zona del Barrio Chino, dove nel 2022 è avvenuto il massacro di numerosi migranti. In alcuni punti i due sbarramenti sono così vicini che si può parlare con le persone della zona opposta, ma solitamente c’è un ampio fossato che rende questa zona impenetrabile. Anche questa è Melilla, sull’altro lato di militari spagnoli non ne vedi neanche uno. Torniamo alla frontiera che, stranamente, è libera e velocissima da attraversare. Ultimo timbro sul passaporto ed eccoci di nuovo a casa. Giornata intensa di persone e di esperienze.