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Dalle Palme alla Pasqua

Dalle Palme alla Pasqua

Che dire di questi giorni così speciali e importanti. Tante cose, qualcuna molto di fretta e altre da vivere con la calma che respinge persino la voglia di metterle per iscritto…

Mi sono trovato nella splendida Malaga per un lungo fine settimana, dal giovedì al sabato sera; giusto il tempo per girovagare senza meta nel suo centro storico, proprio nei giorni speciali di chi si prepara alla Pasqua; tante confraternite sul… piede di guerra per gli ultimi preparativi e gli ultimi traslados (spostamenti dal loro centro-magazzino fino alla chiesa di riferimento). Resti antichi e modernissimi (dall’anfiteatro romano al variopinto Centre Pompidou…) in una città presa d’assalto dai turisti (quanti italiani ho incontrato, ad orecchio).

Chissà se oltre alle tante immagini di Malaga mi verranno anche delle parole…

Pensavo quasi di prolungare la visita anche per la Domenica delle Palme, ma l’amico Keko mi ha invitato ad andare con lui a Priego di Cordoba, per la processione del giorno. Pensavo alla solita processione che da noi in Italia si fa prima della messa, un festoso ingresso con rami di palme e di ulivo… quanto mi sbagliavo. In questa cittadina fino a pochi anni fa c’era una scuola marista e i contatti sono tuttora forti e vivaci; Keko era stato invitato proprio a questo titolo, come ultimo direttore marista della scuola. Ma la processione del giorno non si fa prima della messa, benì dopo e con una intensità e durata ben diverse da quanto potevo immaginare. Due bande, due grandi immagini da trasportare per il paese e quindi, mettere in conto almeno 3 ore! Processione di folla, ma la gente del paese era solo ai bordi, senza mettersi in coda, riservata alle confraternite, al clero, alle autorità. Davvero suggestivo e impegnativo. Trovato anche il tempo di dare uno sguardo a questo bel paese, dalla fontana con 139 cannelle alle viuzze interne curatissime e grondanti di fiori.

Anche in questo caso parlano (e qualcuna suona pure) le immagini e i video del giorno

E infine la settimana santa. Avevamo previsto di partecipare al ritiro marista di Fuentheridos; ma non avevamo calcolato tutta la pioggia che abbiamo incontrato in questi giorni di calma e di riflessione nella splendida cornice di Villa Onuba. Siamo arrivati con la pioggia e tranne la mattinata del venerdì santo siamo ripartiti con la stessa pioggia, quasi incessante per l’intera settimana. Giustamente l’occasione buona per non divagare o smarrirsi troppo in giro. Ma sappiamo che l’acqua serve e soprattutto qui in Spagna la siccità non è una vaga prospettiva, ma una situazione critica che coinvolge molte zone. Dopo questa settimana, speriamo, un po’ di meno.

Qualche immagine, tra una goccia e l’altra, sono riuscito a recuperarla…

Ascesa al monte Gurugu

Ascesa al monte Gurugu

Sembra il nome di un personaggio dei Puffi, o un cocktail esotico, invece si tratta semplicemente del massiccio montuoso che fa da cornice a Melilla. Una serie di cime, la più alta sfiora i 900 m., con un gradevole rivestimento verde che sa di boschi e in terra d’Africa, almeno a queste latitudini, fa decisamente piacere.

Già diverse volte Juan Antonio mi aveva parlato della sua ultima visita a questo piccolo massiccio. Lui è un appassionato di “aria aperta” e ci siamo già avvicendati in altre piccole uscite (dal Pino Rostrogordo, in pratica l’unicio spazio verde naturale di Melilla, al parco del Torcal, prima di Natale). E’ bello poter contare su queste piccole complicità.

Ma era dai tempi della pandermia che non era più riuscito ad andarci e aspettava proprio l’occasione buona. Il motivo principale è legato al passaggio di frontiera. Come minimo ci vuole un’ora per espletare tutte le formalità e questo incide parecchio. Ma mettendo insieme varie congiunture, il Ramadan iniziato da poco, l’allungarsi delle giornate, abbiamo colto la palla al balzo, così domenica scorsa, 17 marzo, ci siamo decisi per questa piccola uscita pomeridiana. Prima di salire in macchina JuanAntonio ha preso una manciata di noci nella speranza di poter avvicinare il protagonista speciale di questa montagna: il piccolo macaco africano, el mono del Gurugu.

Non eravamo sicuri di incontrare queste piccole scimmiette, perché non sempre si mostrano nei pressi della strada, ma un po’ di speranza c’era. Appena varcata la frontiera e iniziato il percorso in terra marocchina, il panorama urbano cambia davvero in fretta. Ragazzini aggrappati al retro dei camion, pecore sparse in mezzo alla strada, gente in motorino senza casco, doppia attenzione alla guida (non si sa mai come vengono interpretate le rotonde!). Ma la nostra strada si inerpicava rapidamente verso l’alto, e il traffico poco alla volta si andava riducendo.

Rapidamente ci siamo avvicinati alle pendici del Gurugu, strada un po’ di montagna ma tutto sommato ben praticabile; salendo si inizia presto a scorgere qualcosa di interessante. Dopo alcuni tornanti ecco sul ciglio della strada un venditore … di uova, poco distante una piccola fattoria, con oche, pavoni e altri animali che transitano liberamente sulla strada. Ma senza tanti preavvisi ecco spuntare alcune scimmie, piccoline, che si fermano tranquillamente a bordo strada. Qualche visitatore ha appena lanciato del cibo verso di loro e senza tanti problemi eccole avvicinarsi.

Noi procediamo alla volta del forte che si staglia ben visibile su una delle punte. Parcheggiamo e ci avviciniamo a piedi. Tutto libero e semidistrutto; il forte in cemento è sicuramente di epoca spagnola (quando tutta la zona era un protettorato) e i trascorsi storici sono stati piuttosto turbolenti (con assalti, massacri, invasioni, sbarchi…); il tutto risale alle prime decadi del ‘900.
Dalla cima del forte, che si mantiene ancora solido e resistente, si gode di uno spettacolo ampio; tutta la zona di Melilla, fin verso a quella di Nador e oltre; l’ampia laguna costiera che protegge Nador, un ampio tratto di costa. Da lassù non si nota davvero il taglio forzato delle recinzioni, la valla imponente che separa Melilla dal territorio marocchino (e proprio nella zona marocchina si nota una intensificazione delle protezioni, con ampie zone recintate e rotoli di filo spinato quasi ovunque).

Riprendiamo la strada, puntando verso un altro fortino, solo segnato sulle mappe, che proprio non si vede scrutando il profilo del monte. Quando però lasciamo la strada asfaltata per tentare un percorso un po’ più accidentato, ecco che le scimmie si fanno davvero numerose. Ci fermiamo e la nostra razione di noci diventa subito una forte attrazione per questi piccoli animali, che prima si mettono a distanza, poi, poco alla volta, si lasciano attrarre da questo cibo fino a raggiungerci e prendere le noci direttamente dalle nostre mani, velocissime e titubanti. Si vedono in pratica intere famigliole raggruppate di questi piccoli macachi… e qualcuno si allontana arrampicandosi rapidamente sui rami dei pini. Sembra proprio di essere… in Africa! In questa zona le scimmie sono state reintrodotte (dovrebbe essere la stessa specie che si trova anche a Gibilterra, l’unica scimmia in territorio europeo), ma tra Ceuta e altre zone del Rif (la zona montuosa in cui ci troviamo, in questo nord Africa) la loro presenza è abbastanza naturale.

Il fortino che incontriamo sulla cima di questo secondo luogo è davvero singolare. molto ampio, con un fossato che sa tanto di epoca medievale (ma è in cemento, quindi anche questo è di epoca moderna) e probabilmente tutto sviluppato sotto copertura. Forse un centro sicuro a presidio di queste zone di confine.

L’ultima tappa è nuovamente nei pressi di un forte; a quanto mi riferisce Juan Antonio le fondamente sono sul luogo in cui sorgeva già un antico forte romano. Quando vediamo la zona, che può controllare un’ampia vallata interna, diventa facile cogliere l’importanza strategica di un tale posto. Dopo la prima presenza fenicia, il controllo romano di queste zone non poteva che passare dal controllo accurato delle vie di comunicazione.

Rientriamo in serata, dopo aver percorso vari km nell’entroterra marocchino, tra paesini semi deserti e altre zone in cui la gente cominciava a radunarsi per la rottura del digiuno del Ramadan (l’orario in cui si può iniziare a mangiare era intorno alle 19:15), ogni tanto un somarello bardato di tutto punto sembra parcheggiato al bordo della strada. Decisamente insolita la presenza di tanta polizia, visibile quasi ad ogni incrocio importante.

Torniamo a Melilla che è ormai scuro, sono quasi le 20 (ma in Marocco con il Ramadan cambia anche l’ora, con la nostra Pasqua la differenza sarà di addirittura 2 ore sul fuso orario) e la frontiera è praticamente vuota, ma per le solite formalità non riusciamo a cavarcela con meno di mezz’ora. Però rispetto alle altre volte, siamo stati quasi dei fulmini per la velocità.

Meritava davvero passare da queste parti un pomeriggio del genere.

Ecco l’album delle foto di questo pomeriggio domenicale sul Gurugu

Diario di Natale… il Torcal

Diario di Natale… il Torcal

Vacanze di Natale 2023, queste me le ricorderò, sicuramente in modo speciale e proprio per non dimenticarle troppo presto, magari qualche riga e qualche foto ci possono anche stare.

Partiamo da Melilla il 22 sera, notte fonda, con il traghetto, una barca gigante che ingoia macchine e camion e gente. Si dorme un po’ alla buona sulle poltrone, mentre in molti preferiscono sdraiarsi sulla moquette (e tutto sommato l’idea non è poi così malvagia). Siamo io e Juan Antonio perché in vista dell’arrivo in serata a Granada, avevamo pensato di fare una piccola escursione, nel parco del Torcal. Siccome non conosco praticamente nulla di queste zone, vado sulla fiducia …. e faccio bene.

La fase più lunga è lo sbarco dal traghetto, quasi un’ora di lungaggini per mostrare i documenti (Melilla, a tutti gli effetti, è terra di frontiera e quindi la dogana è inevitabile). Poi ci dirigiamo verso il parco del Torcal di Antequera, una zona dalle incredibili rocce carsiche e nella prima mattinata, dopo una fermata per una colazione a base di churros (anzi, porras, quelli più grossi e casarecci), ci arriviamo verso le 10.

E’ una giornata splendida, tersa e senza vento, l’ideale per questi giorni di dicembre, che rimangono comunque belli freschi. La temperatura è bassina, siamo di poco sopra i 0 gradi, ma al sole è davvero gradevole fare come le lucertole. Iniziamo così il nostro giro tra le rocce, seguendo uno dei sentieri lunghi che si dipanano dal parcheggio del centro di visita.

Uno spettacolo davvero lunare, o forse marziano, dove ogni roccia potrebbe facilmente ricevere un nome per l’incredibile configurazione che rappresenta: case, palazzi, architetture aliene, statue surreali, imitazioni naturali… ci si trova di tutto, camminando con calma lungo il sentiero. All’inizio siamo stati persino scortati dalle capre di montagna (ma forse si tratta proprio dello stambecco iberico!), che non sono poi così diverse dai nostri camosci, solo più tranquille e domestiche, quasi a suggerire pose fotografiche da calendario.

Questa volta poi sono venuto attrezzato, ho ripreso da poco la macchina fotografica, una semplice Canon con zoom 40x, e invece dell’onnipresente cellulare utilizzo un obiettivo un po’ più flessibile. Piccolo dettaglio: non mi sono portato dietro il lettore di schede e per il momento mi devo accontentare delle foto che mi ha fatto Juan Antonio. Poco danno, così la memoria si esercita un po’ di più. Vuol dire che l’album fotografico potrà aspettare.

Ma dopo la scarpinata sui monti (siamo sopra i 1100) ci aspetta la parte archeologica, con i Dolmen di Antequera, 3 antichissime tracce della presenza umana, tombe megalitiche imponenti e suggestive, che troviamo a pochi km. di distanza. L’ultima è quella che ci riserva la sorpresa più luminosa…. alcune di queste costruzioni sono anteriori ai cerchi di Stonehenge e forse l’idea riduttiva di “tombe” per importanti personaggi è decisamente poco. Giunti nei pressi del tholos del Romeral ci siamo bloccati perché la visita era stata “requisita” da un piccolo gruppetto di appassionati, non avevamo fatto molto caso al calendario, ma essendo proprio il 23 dicembre, eravamo ancora a ridosso del solstizio d’inverno e questa giornata era davvero speciale, visto che proprio in questa occasione la luce del sole penetrava fino all’interno del monumento, in modo davvero suggestivo. In pratica senza nessuna luce era possibile, giunti all’interno del sacrario, usufruire dei raggi del sole. Pensare che oltre 3000 anni fa ci fossero persone disposte a realizzare una simile opera, con questa precisa inclinazione e orientamento (tra l’altro anomalo), non può certo lasciare indifferenti. Nella foto qui sotto, realizzata senza flash, siamo proprio al fondo della costruzione, mentre il lungo cortile d’ingresso, interamente realizzata in pietra a secco è lungo una quindicina di metri.

E dopo qualche giorno, ecco pronto anche l‘album con le foto della giornata passata al Torcal e tra i dolmen di Antequera

Perdersi alla fonte Ciane

Perdersi alla fonte Ciane

Sabato pomeriggio di metà giugno, un rapido momento di relax. Si prende la bici e si esce da Siracusa; lungo la strada già si prefigura il sollievo di riuscire a sgusciare nel traffico, perchè l’altra corsia è già completamente intasata e sono solo le 4 del pomeriggio. Ma si sa, l’estate incombe.

Macchine e inquinamento fino al ponte dei 3 fiumi (in realtà uno dovrebbe essere un canale, ma trovare 2 fiumi diversi che sfociano nel raggio di pochi metri è sicuramente un record siracusano) qui quasi si affratellano l’Anapo e il Ciane. E dopo il ponte si svolta per togliersi dal caos.

Una strada dal nome quasi altisonante (Mammaiabica, chi era costei?), ormai affrancata da macchine e confusione. Si supera la ferrovia che sarebbe una fortuna per queste zone ma sembra solo un residuato di poco uso. E poi si prende il sentiero che costeggia il Ciane, per circa 2 chilometri di campagna.

Ci sono distese di grano, ormai maturo e pronto per il taglio, uno spettacolo insolito. Poche settimane fa ero tutto ancora una coperta di verde fresco, ora le spighe iniziano a pesare sullo stelo. Pochissimi gli incontri lungo il sentiero.

Fino a raggiungere la sorgente di affioro del Ciane; sono zone carsiche quelle del siracusano, chissà veramente da dove arriva l’acqua di questo corso. Ancora una volta la passerella che conduce al cuore del papireto è semidistrutta, in 4 anni l’avrò vista ricostruire almeno un paio di volte e sicuramente il tempo è la causa principale.

Sfidando pattuglie di zanzare mi àncoro al tronco adagiato di un eucalipto e come al solito prendo il tablet per leggere in serena tranquillità. Oggi è il giorno di Bobin, di Pia Pera e il suo splendido “Al giardino ancora non l’ho detto”… poi da lontano un cane, abbaia, si avvicina, perlustra.

Entra nell’acqua, felice per il refrigerio, scodinzola, ma non è che l’avvisaglia. In breve si avvertono le campanelle, un suono antico, di gregge in passaggio, ecco sbucare le pecore in grande raduno. Insolito abbinarle ai luoghi di Siracusa, ma qui siamo ormai in aperta campagna.

Il piccolo esercito in tuta di lana si avvicina all’acqua, si consolida sul fosso e inizia a bere, sgomitano, si fanno largo, si spingono; alcune pecore si azzardano a superare il rivo, si avvicinano, la mia bici è ormai in ostaggio al gregge. Ma vanno veloci, dietro le insegue il pastore, persino una macchina di supporto. Sfilano rapide, continuando a bere e cercando spazi di ristoro.

In breve, come sono comparse, ritornano nel silenzio, nel verde, nel sentiero. Momenti bucolici avvolti dai papiri…

Tutte qui, le altre pecore

Passeggiando a suon di natura

Passeggiando a suon di natura

Sabato 28, con un finale di maggio ormai camuffato da piena estate, mi sono ritrovato con tante altre persone a fare quattro passi lungo i sentieri della Pillirina. Dopo averla esplorata varie volte per mio conto, un po’ a piedi e un po’ in bici, vedere che qualcosa si muove sul versante della destinazione a riserva o parco di questa zona praticamente ancora intatta del nostro territorio, non può che far piacere. Girando per altre zone del Siracusano fa abbastanza tristezza osservare l’incuria, il cemento che avanza senza nessun ordine e grazia, le modalità “fai da te” imperanti senza un minimo di progettazione. Sapere che invece esiste anche una voglia diversa di valorizzare la natura, l’ambiente e la relazione che possiamo instaurare con questa realtà, è sicuramente positivo.

Mi aveva passato l’informazione Natalia, e non è stata una sorpresa trovare subito numerosi altri amici, di Accoglierete, dell’Arci, di altre realtà, degli scout (gli Assoraider che operano nella piazza di s.Lucia), tante altre sigle e associazioni, da Legambiente alla Natura Sicula, persino il gruppo Missio ad Gentes della diocesi, insomma, un variegato mondo di persone che hanno a cuore una natura meno funzionale e più autonoma.

Ovviamente ci sono andato in bici, ben sapendo che l’appuntamento non era proprio dietro l’angolo: 12 km per giungere alla conclusione della strada che termina in una sorta di piazzale-parcheggio. Era già un fermento di persone e gruppi, persino in bici (ma quelli erano professionisti della MTB, sui sentieri della Pillirina in bici proprio non me la sento di sfidare le rocce aguzze…), cani al guinzaglio, padroni felici… il mitico Erlend Øye che spiccava tra un saluto e l’altro.

Appena ci si è messi in moto ci si è subito resi conto della quantità di gente. Un migliaio, diranno nei giorni seguenti le tante testate che hanno seguito l’evento; forse un numero un po’ azzardato, ma sicuramente eravamo in tanti. Persino difficile ascoltare chiaramente le parole pronunciate a inizio percorso, per dare un senso alla marcia. Il referente di Lega Ambiente ha tracciato un po’ la storia degli eventi che stanno ancora segnando le difficili tappe di questo possibile e auspicabile parco. Sicuramente i tempi, l’attenzione per l’ambiente e una accresciuta consapevolezza della sostenibilità ambientale, in tutti i sensi, potranno finalmente avere la meglio.

Per questo abbiamo semplicemente ascoltato e poi continuato il percorso. Quasi in modo inaspettato, alla prima tappa, con lo sfondo delle scogliere selvagge e delle caverne scavate dal mare, Erlend ha sfoderato il suo ukulele e con il suo amico ha iniziato il suo concerto itinerante, assicurando che lungo il percorso ci sarebbero stati altri momenti musicali. Fosse anche solo per questo valeva la pena essere lì. Gli ho persino chiesto quando sarà la volta di un concerto dei suoi qui a Siracusa. Ma la risposta che mi è parso di cogliere era …che quello poteva considerarsi il suo miglior concerto e che per i gusti di Siracusa la sua musica forse era poco adatta. O poco richiesta? Eppure vive qui ormai da tempo, parla un fluente italiano e dalla sua iniziativa è evidente l’affetto che nutre per queste zone (voleva mettere sul piatto 1 milione di € per poter consentire alle persone l’accesso alle zone della Pillirina ancora contese e di proprietà privata…).

Forse il problema è proprio questo, come spesso capita: sono proprio gli “stranieri”, chi viene da altre zone ad apprezzare il bello e l’unico che in Siracusa è così diffuso e, purtroppo, ancora poco valorizzato.

Ma a forza di insistere, qualcosa sta cambiando…

E queste sono le immagini della passeggiata, con qualche video degli inserti musicali di Erlend