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Mese: Aprile 2020

Il giorno della terra, per s.Giorgio

Il giorno della terra, per s.Giorgio

Nomen Omen, direbbe qualcuno. E chiamarsi Giorgio ha sicuramente i suoi vantaggi. Ad esempio non sapevo mica che il mio personaggio preferito avesse visitato persino la Brianza e anche in quei luoghi si era dilettato nel salvare principesse e risolvere soprusi… Io mi ero soffermato su questo portale di Via Prè, a Genova, scoperto e immortalato qualche mese fa, prima della quarantena!

Ricordo un 23 aprile del 2004 (fa sempre un certo effetto rivedersi con quasi 20 anni di meno!), mi trovavo a Gerusalemme e mi ero ritagliato un po’ di tempo per girare senza meta nei vicoli della città vecchia. Mi sono imbattuto quasi per caso (“caso”, direbbe qualcuno, è uno dei tanti soprannomi della Vita, più che del destino) nei pressi della chiesa di s.Giorgio degli Armeni, il loro protettore nazionale. Forse proprio da questo fortuito incontro è nata poi la curiosità e la voglia di capirne un po’ di più (ad esempio leggendo il tragico libro I quaranta giorni del Mussa Dagh)

Ma adesso siamo in giorni ben diversi; quest’anno il giorno di san Giorgio ha comunque avuto i suoi momenti speciali. Il giorno prima era il giorno della terra e un pizzico di attenzione alla nostra madre comune fa sempre bene. Anche quando poi mi dedico al micro-giardinaggio utilizzando strategie più da colture idroponiche che altro, ma per il momento lo spazio è veramente poco e questo è quanto riesco a fare…
Una piccola serra con qualche vaso, alcuni in semplice fibra di cocco, senza un briciolo di terriccio (quello vero), giusto per assaggiare insalata a cm. 0. E se non tira troppo vento qualcosa si comincia a pregustare!

E sempre per caso, quello di prima, in questi giorni di attesa, senza poter disporre di un po’ di terra vera (ma senza rimpiangere tutti i posti dove invece potevo tranquillamente usarla e coltivarla un po’, perché toccare la terra aiuta a capire meglio le cose…) mi ero concesso una lettura di evasione…, un breve testo, ma stimolante e per certi versi controcorrente. Il libro di un autore sconosciuto che ha dedicato al giardino e alla cura di uno spazio naturale quasi tutta la sua esistenza, in modo discreto e senza pretese. Il libro in questione è E il giardino creò l’uomo; sono persino rimasto sorpreso quando, dopo pochi giorni dall’inserimento, ho notato che la recensione appena scritta era …in pole position

A questo punto, siccome non credo ci siano problemi di (c)… riporto anche qui la mia recensione del libro.
Al ritmo di una foglia – il giardiniere rivoluzionario
L’unica rivoluzione possibile? Diventate giardinieri. Libro insolito e delizioso, non è un trattato di botanica o una sfilza di consigli per creare un giardino. Racconta l’esperienza molto personale di un giardiniere decisamente particolare ed eclettico, Jorn de Precy (esatto, l’autore) islandese di origine, italiano di frequentazione, francese di contatto e inglese di definitivo assestamento, ma sempre originale e capace di una sintesi che si riscopre, oggi, in anticipo sul suo tempo. Nel 1912 quando il libro viene pubblicato in poche copie (2000), inizia un suo tour sotterrraneo e graduale, che porteranno questo testo ad influenzare molte persone. In che ambito? Anche nella cura del giardino, che lui considera come il massimo gesto rivoluzionario possibile per un uomo del suo e nostro tempo, ma probabilmente ad inoltrarsi con decisione nel percorso di approfondimento umano che cerca la piena realizzazione della persona non tanto nella tecnologia fine a se stessa, nella velocità, nel progresso e nel produrre, quanto nell’essere. Leggendo il testo si riassaporano molte immagini tipiche dei giardini italiani, da Bomarzo a Villa Adriana e si leggono con piacere le riflessioni di questo vecchio romantico o hippy anticipatario. Che ormai si sente troppo vecchio (scrive il testo quando ha ormai 70 anni) per correre dietro alle mode, ai perbenismi e alle teorie che vanno per la maggiore. Il testo è breve, in meno di un’oretta si completa questa godibilissima passeggiata tra viali, alberi selvatici e idee che sembrano scritte oggi.

Prendersi cura…

Prendersi cura…

Ho appena finito il testo di Massimo Orlandi che presenta l’esperienza artistica e personale di Cristicchi. Si intitola Abbi cura di me, come la canzone che ha portato a Sanremo nel 2019 e che sicuramente resterà incollata a questo personaggio per lungo tempo. Con la scusa che tanto non si può e non si deve uscire di casa, ho macinato passi su passi sul nostro splendido terrazzo, alternando la lettura a qualche scorcio al panorama di Siracusa.

Conoscevo già la capacità di Massimo Orlandi, autore del libro, nel far emergere dalle persone le note più personali e vitali. Il libro nasce nel filone dell’esperienza di Romena, una pieve nel casentino che da anni è diventata un crocevia di persone e di ricercatori di senso. Cristicchi vi è capitato qualche anno fa e da allora è diventato un ospite ricorrente e speciale, insieme a tante altre voci significative in campo artistico, musicale, religioso, sociale… Massimo Orlandi è praticamente il “presentatore” appassionato di queste persone e l’estensore di numerose pubblicazioni di Romena.
Il libro racconta in modo originale e molto partecipato l’esperienza artistica e vitale di Cristicchi, dai difficili inizi alla sua attuale situazione. Non è la biografia di un “big”, ma la presentazione di una persona che nella sua vita ha fatto della ricerca sincera un obbligo personale, anche a costo di procedere costantemente controcorrente.
Emergono dal testo le principali tappe di questo artista che inizia come cantante per approdare in seguito al teatro; sono enucleati con dettagli vividi i principali argomenti che hanno segnato le tappe artistiche di Cristicchi. L’esplorazione del mondo dei “matti” e dei manicomi (ti regalerò una rosa), del music-system italiano (vorrei cantare come Biagio Antonacci), la scoperta di argomenti quasi rimossi dalla coscienza sociale (le foibe, il problema istriano….), dei lavoratori toscani del monte Amiata, per approdare infine alle tematiche esistenziali e religiose (abbi cura di me). Una presentazione coinvolgente e completa di questo autore così ricco e significativo.

E fino a qui la mia recensione (vediamo se questa volta me la passano per buona, perché ho già capito che quando è un po’ troppo “partecipata” rischia di non corrispondere agli asettici canoni di Amazon… poco importa)… Ma ogni libro può diventare un segnale di svolta, una indicazione di percorsi nuovi, ma anche di conferme e condivisioni.

Nella parte iniziale in cui si racconta l’interessamento di Simone Cristicchi al mondo dei “matti”, ho subito ritrovato qualcosa di ben conosciuto. Mentre frequentavo l’ultimo anno delle magistrali, nella casa marista di Velletri, avevano preso la buona abitudine di dedicare almeno un pomeriggio al mese a qualche situazione di emergenza. Eravamo così capitati a dare una piccola mano alla casa di cura dei Fatebenefratelli, che si trova presso Genzano, le persone del posto ne parlavano semplicemente come del classico “manicomio”. La legge Basaglia stava appena muovendo i suoi primi passi. E in quel luogo c’era davvero di tutto, dai “matti” delle barzellette (appena entrati ci accoglieva con un saluto sorridente uno di loro, vicino ad un lampione, con la sua bella valigia sempre pronta, gli infermieri ci dicevano che al mattino si preparava e aspettava tutto il giorno che passasse il suo autobus, a sera rientrava e il giorno dopo si replicava…); a quelli che sicuramente avevano perso tante occasioni di vita per chissà quali altri motivi e ora l’unico rifugio possibile era quel luogo protetto; la prima cosa che ti chiedevano erano le sigarette. Credo di aver iniziato a fumarne qualcuna proprio per avere almeno qualcosa da passare a loro, mi sembrava una scusa accettabile… Altri invece erano incomprensibili nel loro mondo distante e distaccato. Gente che girovagava senza sosta, senza vestiti, senza parole… Noi aiutavamo qualcuno per la cena, in qualche caso era necessario imboccarli. E il sorriso che vedevi dopo un cucchiaio di frutta cotta era davvero impagabile. Forse ci vuole il resto di una vita per risarcire quel resto…

E scopro che è proprio quello il luogo di partenza da cui scaturisce una ricerca di Cristicchi, quella che culminerà nella canzone Ti regalerò una rosa… Poi scopro tante altre cose interessanti, dall’attenzione alle “cose”, tipo il Magazzino 18 (e scopro che il fascino che provato per Trieste, anche se l’ho solo visitata insieme ai ragazzi della scuola… è davvero contagioso) al recupero di una dimensione spirituale e religiosa libera ma totalizzante.

Ricordo anch’io quella mattinata, era solo un anno fa, quando ai ragazzi appena entrati in classe (persino troppo bravi i miei ragazzi di seconda A dello scorso anno) messi tranquilli e comodi ai loro posti, ho proposto senza altre mie chiacchiere la canzone Abbi cura di me. Un prof se ne accorge quando gli occhi dei ragazzi viaggiano lontano e scendono nel profondo, come in quell’occasione.

Spesso guardo il cielo

Spesso guardo il cielo

Io guardo spesso il cielo. Lo guardo di mattino nelle
ore di luce e tutto il cielo s’attacca agli occhi e viene a
bere, e io a lui mi attacco, come un vegetale
che si mangia la luce.
(M.G. da “Fuoco centrale”)

Forse più che al cielo io mi soffermo sul mare. Da quando ho il privilegio di aprire la finestra al mattino e riempirmi lo sguardo di questo orizzonte, ne faccio incetta a man bassa. Ricordo il panorama che potevo contemplare a Cesano: aprivo la finestra sulla copertura di un capannone, plexiglas ondulato grigio-sporco, solo una fetta di cielo se ti sporgevi all’infuori.

E poi ci sono gli incontri imprevisti, le intercettazioni della cronaca. Proprio ieri mi stavo ritagliano uno spazio di notizie altre, se posso la domenica mi soffermo con calma sulle pagine del domenicale del Sole24, una consuetudine recente, visto che è solo degli ultimi 25 anni… Mi era caduto l’occhio su un articolo di musica contemporanea. Non è che oggi non ci siano autori di valore, è che troppo spesso ci accontentiamo di quanto conosciamo già. L’articolo presentava un pezzo di musica probabilmente “pesante”, un Requiem dedicato alle vittime del terremoto del 2009. L’ultimo requiem di cui avevo un po’ di memoria era quello di Verdi, per la morte di Manzoni. Ne avevo appena parlato con il mio alunno preferito di questi giorni (è il preferito anche perché è l’unico, Omar), perché stiamo parlando proprio dei Promessi Sposi e del peso che un’opera simile aveva nel contesto storico e culturale dell’epoca. Poi dalla notizia sono passato a Youtube per sentire almeno qualche brandello di questa musica composta da Silvia Colasanti, e poi a leggere alcune recensioni. Il titolo, in particolare, mi sembrava suggestivo, stringere nei pugni una cometa… non sembravano certo parole liturgiche (ma potrebbero diventarlo, perché no…) e quindi la ricerca si sposta sui testi e così scopro l’autrice, Mariangela Gualtieri e naturalmente si apre la caccia ai brani che si possono trovare in rete… ne raccolgo una piccola manciata qui prima di aprire la pagina ufficiale di questa voce narrante. A prima lettura mi sembra di risentire lo stile di un’altra poetessa che apprezzo, Livia Candiani, che ho iniziato a seguire dai tempi delle prime visite a Romena. Ma sarà forse che la poesia di oggi si muove tra spazi e regole comuni, per trapelare ai più.

E giungo anche a rileggere la poesia del 9 marzo, e quindi anche a sentirla e risentirla come una sorta di vaticinio e riflessione su questi tempi difficili, una poesia della Gualtieri che deve aver spopolato sul web (tra consensi e critiche equamente distribuite) ma che ‘scopro’ solo adesso. Segno ulteriore che di solito seguiamo solo che già conosciamo…

Scoprire un nuovo artista, una voce differente, un punto di vista originale è sempre utile, perché quando allarghiamo i nostri, di orizzonti, anche chi ci sta vicino vi si ritrova immerso. E adesso ritorno sul nostro splendido terrazzo panoramico. Non si può uscire, ma da qui il mondo entra.

Fragile come una cascata

Fragile come una cascata

Antiche come le montagne, diceva Gandhi. Fragili come una cascata, dice oggi la Nasa. Mi è capitata in questi giorni la notizia di una morte improvvisa, per fortuna non di qualche amico o persona cara. Ma di una cascata. Per la precisione la cascata di San Rafael, una delle più belle dell’Ecuador, l’equivalente della nostra cascata delle Marmore. Uno spettacolo possente in mezzo alle montagne della foresta equatoriale, dove una pioggia giornaliera è l’equivalente delle precipitazioni medie annue della Sicilia.

La notizia mi è rimbalzata dalle pagine di Repubblica , poi la ritrovo sul Post e quindi vado subito a cercare conferme e inesistenti smentite in giro per il web.

Ovviamente a contorno di questa spiacevole notizia non poteva mancare un pizzico di giallo ecologico (l’assassino sarebbe l’impresa che sta costruendo dighe e centrali nel territorio) o semplicemente geologico (frane e doline, precipitazioni improvvise, cause naturali). Sapendo che persino le cascata del Niagara non sarebbero più come le vediamo se le acque non fossero regolate dalle centrali locali (come per le nostre Marmore, che funzionano ad orario per i selfie dei turisti) è inevitabile che si inneschino dibattiti e discussioni. Ma al momento ci possiamo fare ben poco.

Mi resta l’esercizio della memoria. Quelle cascate ho avuto la fortuna di vederle, in presa diretta. Nella loro impressionante e selvaggia potenza.

Era il 20 giugno del 2004. Nel mio soggiorno in Ecuador ero appena partito da Quito, con gli amici Pau e l’architetto Gustavo. Un lungo viaggio per giungere a Sucumbios, anticamera di Macondo nei miei ricordi di quell’epoca ormai lontana.

Abbiamo viaggiato un intera giornata in jeep, tra strade sconnesse, ponti in lamiera che lasciavano intravedere l’abisso e il torrente, pause forzate per consentire ai lama di pascolare tranquillamente (meglio non infastidirli, mi diceva Pau), soste interessanti presso alcune fonti termali. Tempo che cambiava ad ogni giro di vallata, dal fresco del mattino al caldo intenso, dalla pioggia improvvisa e scrosciante alla quiete dopo la tempesta. Quasi giunti alla meta Pau ferma la macchina e mi dice: “Vieni a vedere uno spettacolo”.

Parcheggiamo e seguiamo un sentiero appena abbozzato, un cartello quasi primitivo e una boscaglia che da sola si merita la scena come protagonista. Sembra di essere nel bel mezzo di un giardino esotico….

Scendiamo di poco e man mano si inizia a sentire il rombo, ma sommesso e lontano. Giungiamo così fino al “belvedere”. E’ proprio un sentiero di montagna, ci manca solo Indiana Jones che bivacca sullo spiazzo davanti alla cascata. E che cascata. Ha smesso da poco di piovere e l’acqua è aumentata in fretta. Un getto enorme, torbido e travolgente. Musica per gli occhi e spettacolo per tutti. Ma siamo soli. E in scena il monologo dell’acqua è più eloquente di un trattato di idrografia.

Mentre riprendiamo la macchina e ci dirigiamo a Lago Agrio, passano dei camion enormi con enormi tronchi di legno pregiato, palissandro forse. La spoliazione di queste foreste procede di pari passo con l’ampliamento delle strade e lo sfruttamento del petrolio, che scorre nell’oleodotto che costeggia la strada (e spesso diventa l’unico riscaldamento per le sparute case vicine, perché per farlo scorrere devono riscaldarlo…).Mi chiedo quanti possano essere i privilegiati che conoscono questo sentiero e lo spettacolo che ci sta di fronte. E per quanto ancora…

Saranno sicuramente molti quelli che in seguito scenderanno fin qui, allargheranno il sentiero, lo renderanno agibile alle macchine, formeranno un largo piazzale. Vedo le foto e le recensioni su Google Maps… E adesso provo ad immaginare il cambio di scenario.

Le montagne restano, ma i fiumi e le cascate cambiano. Come noi, d’altronde. Così è la vita in natura. Ma il tesoro della memoria acquista valore anche grazie a questo.

Ecco allora le mie immagini della cascata di San Rafael

Già che siamo in coda…

Già che siamo in coda…

Viviamo questi giorni di quarantena per il coronavirus cercando di non subire gli eventi, ma per quanto possibile di affrontarli con saggezza.

A tutti noi capita di andare a fare la spesa e, a parte le fantozziane scelte di chi compra una briciola per volta, o va nel comune vicino perché il pane è più buono… ci sono modi più sensati di affrontare questa necessità.

Uno dei problemi che stanno sorgendo è proprio quello delle code. Arrivi al supermercato (perché andare nei negozietti più piccoli anche se avrebbe senso espone a troppi contatti) e facilmente vedi gente in fila, più o meno ordinata, che aspetta. Ovviamente ci sono già soluzioni per ottimizzare questo problema, ad esempio fornendo una mappa dei market con meno code.

Ci hanno pensato dei ragazzi di Milano, preparando un servizio web dal nome molto evocativo. Filandiana.it. Il funzionamento è semplice, ci si collega al sito che riconosce la propria zona e mostra una mappa degli esercizi presenti (e se ne mancano si può contribuire a completare questa mappa, segnalando cosa manca). Quando ci si reca a fare la spesa basta segnalare sulla mappa che si sta facendo la coda presso un determinato market, di modo che la mappa segnala immediatamente questa situazione. Ovvio che se questa funzione viene usata da pochi non raggiunge il suo scopo, ma in diverse zone del nord sta già svolgendo un valido servizio.

Questa mattina toccava a me fare la spesa, di solito vado al minimarket più vicino, nel mio caso il Penny. Non era ancora presente la settimana scorsa e mi ero dato da fare per segnalarlo, insieme ad altri esercizi. Adesso c’è, con la sua bella iconcina. Parcheggi la macchina, apri la pagina web filandiana.it (tanto siamo tutti in coda col nostro bel cellulare in mano, usiamo in modo utile, allora!) clicchi sull’icona del tuo negozio e segnali quanta gente è presente e quanto pensi di restare in coda, un calcolo a spanna è più che sufficiente. Al Penny non hanno ancora deciso come procedere, un giorno ci si mette in fila ordinata, il giorno dopo forniscono i numerini, poi si ricambia, ma non è questo il problema, spesso dipende dalla disponibilità del personale (che deve svolgere una funzione che di solito non è prevista)

Quando sono arrivato alla cassa ho lasciato al personale un paio di fogli con questa semplicissima legenda, così giudicheranno loro se può essere utile o meno. Nel dubbio l’avevo già corredata di supporto adesivo, ma giustamente è meglio che lo facciano loro.

A questo punto mi piacerebbe segnalarlo anche ad altri, se si comincia a diffondere anche qui diventa più facile evitare le code, e di questi tempi anche queste cose possono essere utili. E se a qualcuno può servire il piccolo documento, da stampare e distribuire in giro, eccolo qui.