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mondo marista

Povero febbraio, come corre veloce!

Povero febbraio, come corre veloce!

Tra una cosa e l’altra, una iniziativa e la successiva, una “mesa redonda” per incontrare le altre realtà operative di Melilla e prevedere le prossime cose, il mese di febbraio è letteralmente volato via.

E’ passato il Carnevale (provate a cliccare sulla foto per vederla bella grande) e sta finendo (speriamo) anche il freddo invernale. Soprattutto il vento, che a detta del veterano della nostra comunità, il buon Eulalio, non aveva mai soffiato così forte e così a lungo da queste parti. “Che vuoi farci”, gli rispondo, “sarà il cambio climatico”, ma certe volte il vento riesce persino a creare qualche problema andando in bici!

Sono venuti a trovarci da Granada Javi, Ana e le due piccole pesti, Myriam e Samu. Hanno approfittato della festa dell’Andalucia, un fine settimana di relax, e sono venuti da questi parti.

Sapevo che non mi sarei annoiato più di tanto in questo angolo d’Africa e ogni giorno che passa me ne rendo sempre più conto.

Ma quello che ci sta occupando più temppo ed energie adesso è la nuova organizzazione del nostro CentroFratelli, che comprende un po’ tutte le attività che intendiamo portare avanti a livello comunitario.

Da poco abbiamo “trasferito” alcuni dei nostri giovani alunni nel centro che la Caritas utilizza proprio a due passi dalla parrocchia centrale. Fino a qualche anno fa c’erano anche dei progetti in corso, ad esempio era stata realizzata una sala computer con una decina di postazioni. Ma finito il finanziamento del progetto, tutto era rimasto in stand-by. Fa un certo effetto riaccendere un PC e vedere la schermata di Windows 7 che ti saluta bella colorata!!! E uno si chiede se nell’epoca di Windows 11 non ci saranno problemi di funzionamento o di compatibilità 😉 Però le macchine funzionano, adesso vedremo come rimettere un po’ in sesto e realizzare qualcosa di utile con questi ragazzi, che sono neo-maggiorenni marocchini (ex-tutelati, cioé prima vivevano in un centro di accoglienza per minori) che però fanno ancora fatica a disegnarsi un futuro, visto che molti non conoscono sufficientemente bene lo spagnolo (qualcuno quasi per niente!) e hanno un livello di istruzione veramente minimo. Nel fine settimana abbiamo messo a posto gli spazi che la Caritas ci ha messo a disposizione, tolto la polvere, i divisori in plexiglas dell’era Covid (!), eliminato scatoloni e vecchi materiali, insomma, un po’ di pulizie di primavera. E alla fine ci siamo presi il lusso di un brindisi di buon inizio, coinvolgendo anche fr. Josè Luis Elias che dal Libano sappiamo che ci segue con passione, visto che è stato uno dei pionieri di queste attività.

E una bella fetta di tempo l’ho dedicata anche a una nuova presenza sul web per raccontare quello che la nostra Comunità Fratelli sta portando avanti: si tratta del CentroFratelli.

Viaggio nei paesi baschi

Viaggio nei paesi baschi

Dal 28 aprile al primo maggio ho condiviso con un bel gruppetto di fratelli maristi della mia Provincia (la Mediterranea, che comprende il sud della Spagna, l’Italia, il Libano e la Siria) una gradevolissima “pausa” dalle normali attività quotidiane. Ci siamo ritrovati in 14 persone per un viaggio nei paesi baschi, per vivere alcuni giorni insieme e condividere momenti di fraternità.

Credo che ogni esperienza, in particolare ogni viaggio, possa arricchire cuore e mente, occhi e gambe, ampliando conoscenze, contatti, rapporti e radici. Mi piace così ricordare alcune di queste tappe:

L’itinerario, preparato da Pedro Sanchez e Serafin era veramente denso e stimolante; l’obiettivo “paesi baschi” era ovviamente da prendere in senso ampio, non ci siamo dedicati a dissertazioni, analisi socio-storiche sulle tematiche euskera (ci vorrebbe più tempo e dedizione), ma per me, questo primo contatto, anche solo una infarcitura, si è rivelato molto interessante.

28 abril, viernes: Madrid-Burgos-Vitoria
Il primo giorno è stato dedicato alla cattedrale di Burgos. Si tratta di un luogo impressionante, inserito in una cittadina che sembra quasi preludere, con le sue strade e i suoi vicoli dal sapore ancora medievale, all’impatto visivo con questo spettacolare pezzetto di infinito scagliato sulla terra. L’effetto dall’esterno è già notevole, ma è proprio entrandovi dentro che si coglie il senso maestoso di una cattedrale, un luogo che ti rapisce il cuore e ti consegna a qualcosa di assolutamente altro. Come giustificare questo anelito verso l’alto, verso l’incredibile e verso la perfezione? Solo le immagini e il passeggiare nella navata centrale, sostare davanti al coro, il retablo imponente, i rosoni luminosi… consentono di vivere a fondo questo spettacolo. La guida che ci ha accompagnato si è subito distinta per una parlantina convincente, una preparazione da manuale (sciorinava nomi date luoghi fatti ad una velocità ipersonica, ma pur sempre gradevole) e una capacità di focalizzare l’essenziale che ci è subito piaciuta. Sarà con noi anche nel giorno finale di san Domingo de Los Silos.

Ecco l’album fotografico sulla cattedrale di Burgos

Il secondo giorno, il 29, è stato dedicato per intero alla città di Vitoria-Gasteiz, le sue 2 cattedrali (quella antica e la più recente, intitolata a Santa Maria). Vitoria è una città moderna, discreta, persino poco conosciuta, nemmeno i miei compagni conoscevano in particolare questo luogo, che invece si è rivelato molto interessante. Nella mattinata abbiamo fatto un percorso ad anello fin verso il centro storico, ammirando l’ordine, l’organizzazione dei trasporti, il senso di tranquilla operosità. Siamo poi entrati nella cattedrale nuova, immersa in un giardino lussureggiante (con tutto l’umido che ti becchi nei paesi baschi questo è un effetto inevitabile), poi nel pomeriggio siamo entrati nel cuore della storia di questa città, la cattedrale antica. E’ tuttora in restauro ma invece del solito cartello “chiuso per lavori in corso”, spiccava un originale “aperto per lavori in corso”, perché la visita, in totale sicurezza, avviene proprio fianco a fianco con gli operai e il cantiere tuttora funzionante. Fa davvero impressione, entrati nelle navate, osservare l’angolo di scostamento di alcuni pilastri, le crepe evidenti e pericolose, gli interventi di consolidamento. Si visitano così 2 storie, quella antica del monumento e dei suoi problemi statici e quelle di un intervento imponente finalizzato al recupero. Curioso poi notare nel perimetro dei lavori la statua attualissma dello scritto inglese Ken Follet (sì, proprio quello dei Pilastri della terra) perché il sequel di questo romanzo è stato proprio ispirato da questa cattedrale. E lasciamo perdere la diatriba tra Follet e il nostro Umberto Eco; si tratta comunque di menti aperte che hanno contribuito ad un recupero forte del nostro passato. Poi dopo la visita negli stretti cunicoli della cattedrale, ci lasciamo disperdere nel suo gradevole centro storico; scopro anche, tra le altre cose, il centro di documentazione sul terrorismo e il separatismo legato all’Eta. Corrisponde ai nostri anni di piombo e con la Spagna condividiamo pagine di sangue che dovrebbero additarci strade migliori da seguire.

Terzo giorno, siamo ormai al 30 aprile: è domenica, con il nostro pulmino facciamo rotta verso il santuario di Arantzazu, in alta montagna; spettacolo gradevole ma quasi costantemente avvolto nella nebbia, anzi, da nuvole, umido e fresco, altro che primavera. Poi d’improvviso la roccia della montagna si trasforma in chiesa, pur conservando lo stesso colore, spessore e durezza. Un’architettura davvero insolita per un santuario mariano. Il superiore della comunità francescana che qui risiede da tempo, ci illustra piacevolmente questo luogo di silenzio, di preghiera e …di freddo! Una storia simile a quella condivisa da tanti santuari, legata al ritrovamento miracoloso di una piccola immagine di Maria, che diventa il fulcro di una devozione locale molto sentita. Il santuario è degli anni 60 e conserba una cifra stilistica molto compatta e coerente. La cripta è una mix tra una stazione della metro di Napoli e un bunker oscuro, ma ha il suo fascino e il suo messaggio. Quando poi si esce dalla chiesa le rupi che vi incombono sembrano continuare il ritmo della pietra. Davvero suggestivo.

Nel pomeriggio arriviamo fino a Bilbao; avremmo tempo per la visita dello spettacolare museo Guggenheim ma per un disguido pensiamo di avere tempo dalle 18 alle 20, invece il museo chiude alle 19 e mi ritrovo che sul più bello ho visitato a malapena la metà delle esposizioni… Ma l’occasione è buona per cercare scorci insoliti, architetture imprevedibili e curiosità varie. D’altra parte è anche questo uno degli scopi dell’arte… incuriosire. E qui ce n’è davvero per tutti i gusti.

Mettiamo insieme le immagini del santuario di Aranzatzu e di Bilbao


E per finire, nell’ultimo giorno gravitiamo nella zona di Burgos. In mattinata visitiamo un piccolo borgo, il paesino di Covarrubias, che si rivela uno scrigno di storia spagnola imprescindibile, cuore della monarchia, degli intrecci di potere e di famiglie antiche, il tutto riflesso puntualmente in quanto rimasto nel paesino, una torre, un luogo di passaggio strategico, un convento ricchissimo di opere e di storia. Poi a fine mattinata giungiamo fino al monastero benedettino di Santo Domingo de Silos, un luogo che richiama subito il canto gregoriano (che strano, in nessuno degli ambienti ne traspare l’eco, soprattutto nella grande chiesa, che vuota sembra non solo spoglia, ma fredda e solo austera); mi immaginavo un convento più maestoso, più staccato dal borgo, invece è proprio intrecciato nel paesino. So che da non molto è deceduto l’ultimo abate “storico” che tanto ha operato per il rilancio del convento e per il recupero di un dinamismo ecclesiale e sociale importante.

Anche in questo caso meglio affidarsi alle immagini di Covarrubias e Silos

A tutto luglio

A tutto luglio

Pensavo, come sempre, che le attività estive consentissero un po’ più di relax e di tempo libero. Come al solito mi sono poi ritrovato risucchiato dalle tante cose previste ed impreviste che compongono i giorni. Poco male…

Ho avuto però l’occasione di un piccolo stacco a fine luglio, un ottimo modo per apprezzare meglio le cose e poterle osservare con un pizzico di distacco, anche quelle del campo estivo che è in pratica l’impegno più assorbente di questi giorni.

Il nostro campo estivo ’22 si sta ormai concludendo. Lo abbiamo realizzato negli spazi adiacenti lo stadio De Simone, un luogo di solito abbandonato all’incuria e all’ingresso “libero”. Abbiamo fatto amicizia con Gioacchino, il custode, che ci rivelava un po’ lo stesso timore. Averlo utilizzato insieme ai bambini del quartiere è comunque un modo per riappropriarsene in mode sensato, anche se per poco.

Interessante anche il viavai di volontari che abbiamo avuto. A inizio campo si ha sempre il timore di non essere in grado di coprire tutte le necessità, di poter star dietro a tutti i partecipanti. Si era persino esteso l’invito alle altre realtà mariste italiane (con scarso successo, a dire il vero) Poi sono arrivati 2 seminaristi da Roma, una stagista da Chicago, un ragazzo inviato dai servizi sociali, diversi scout, alcuni amici della Croce rossa con contorno di altri amici, ragazzi e ragazze “grandi” (diciamo anche solo terza media), che a volte si sono rivelate la soluzione ottimale per intervenire ed aiutare i piccoli. Insomma, davvero un bel mix. Al tutto basta aggiungere, ogni tanto, qualche bella secchiata d’acqua e il divertimento è assicurato.

Di sicuro Nina, che ormai è quasi pronta sul molo in partenza per il rientro in Brasile, ricorderà col sorriso sul cuore questi giorni intensi ma felici.

Così ho lasciato Siracusa per una manciata di giorni, dal 23 al 27 luglio…

Mi avevano chiesto di presentare due parole sul tema dell’ascolto per il ritiro dei fratelli maristi ad Entracque. Una proposta “semplice” ma… ugualmente impegnativa, perché parlare in modo sensato a persone che già conosci non è mai una cosa facile. Anzi!
Però era anche un’occasione interessante e stimolante, così quando a febbraio mi era stata proposta ero ben contento di farlo. Tra l’altro pensavo: “questa volta mi organizzo per bene, ho molto tempo, preparo con calma, devo fare solo 2 interventi, mi prendo lo spazio e la riflessione necessari…” Ok, i soliti buoni propositi, che il tempo ha presto ridimensionato. Per questo avevo bisogno di almeno un paio di giorni tranquilli per rimettere le cose in ordine. E pensavo che passarli a casa mia, a Sanremo, sarebbe stata una buona idea.

L’idea era effettivamente buona, ma certo il tempo era poco. Partenza venerdì sera per Genova, poi nella mattinata viaggio fino a Sanremo. Questa l’ipotesi, subito arenata sui terminali dei biglietti di trenitalia. “Nessuna soluzione possibile per questo viaggio”. Insomma, treni pieni per tutta la mattinata. Mi sono quindi dovuto armare di pazienza per attendere il primo pomeriggio. E cosa fare nel frattempo a Genova? Nel più grande centro storico di tutta Europa? Ma chiaro, girare un po’ per le zone più caratteristiche, i caruggi, via Prè, la Commenda, palazzo Ducale. Non mi mancavano certo le idee. Così…

Con l’unico impiccio dello zaino in spalla (e il caldo che era bello forte anche a Genova), ho iniziato il tour dalla Commenda di Prè; adesso vedo che è sede del museo dell’emigrazione, mi veniva quasi voglia di visitarlo, ma sembrava tutto chiuso. Ho colto al volo un ragazzo che stava entrando nei locali per scoprire che…il museo apriva dopo le 11. Insomma, sprangato come la chiesa… Non restava che percorrere la via più malfamata di Genova (certe etichette rimangono a lungo sul selciato, ormai fanno parte della storia), via Prè. Certo non è molto romantica o gradevole, l’effetto sensoriale è abbastanza fastidioso, colori, odori, rumori… Sembra di essere piombati in un altro continente, ma si fatica a distinguere tra Africa, Asia o altro. Ebbene sì, ci sono ancora le leggere, basta sbirciare nei vicoli laterali, per notare se ci sono le sedie a marcare il territorio… eppure lì vicino c’è anche quella piccola oasi speciale che don Gallo ha saputo creare in questa zona così difficile.

Giunto nei pressi del maestoso Palazzo Ducale mi sono inerpicato fino ai piani alti, dove di solito non trovi mai nessuno; quante volte ero già passato da quelle parti, ai tempi del ’92, in piena celebrazione del Cinquecentenario Colombiano… salire su quella originale scalinata in versione vecchia-liguria, coi mattoni in cotto, fa sempre un effetto particolare, ci trovi dentro tutti i sentieri che hai già incontrato in altre zono della Liguria, da Taggia a Triora, Carpasio alla Pigna di Sanremo, stessi mattini e stesse salite.

Poi ho scovato la zona riservata a Luzzati, questo maestro dell’immagine che ha segnato Genova dagli anni ’70 in poi, con il suo gusto particolarissimo per il colore e per la capacità di stimolare gli artisti di tutti i campi, dalla pittura alla scrittura. Non potevo non rivedere con piacere certe copertine, certi disegni, il suo piccolo angolo creativo…

Pensavo di fare una passeggiata senza pretese, ma poi, come queste immagini forse chiariscono, il giro è stato bello ampio

E poi finalmente… si riparte, col treno, finalmente verso Sanremo

Un’amicizia tra sponde apparentemente lontane

Un’amicizia tra sponde apparentemente lontane

Martiri dell’amicizia, vengono definiti senza giri di parole. E questa definizione non rispecchia molto i canoni classici del martirio, dove la fede, la testimonianza della verità e la coerenza religiosa sono gli elementi dominanti.

Ma da tempo ci si è avviati lungo un percorso che ha saputo accogliere altri valori, squisitamente umani, che sono una testimonianza della Vita in maniera altrettanto luminosa.

Perché la fede sa rivestire con la sua presenza molti valori che le persone condividono.

La storia narrata in questo agile volumetto è molto semplice. Racconta alcuni passaggi della vita del vescovo cattolico Pierre Claverie, nato in Algeria, poi cresciuto e formatosi come domenicano in Francia e quindi ritornato in terra di Algeria, come vescovo di Orano.

Per lui è stata una riscoperta perché nei suoi primi anni giovanili la presenza dei musulmani era praticamente oscurata dal sistema sociale che la Francia e tutti i cittadini francesi vivevano senza particolare preoccupazione. Separati in casa, senza contatti e senza interazioni.

Ma nel suo nuovo impegno pastorale le cose cambiano decisamente. E per prima cosa cerca un autista, la scelta cade su Mohamed Bouchikhi, un giovane ragazzo musulmano.

Potrebbe essere una scelta azzardata e rischiosa, perché siamo agli inizi di quegli anni ’90 che vedono il rigurgito del fanatismo islamico, ad opera dei Fratelli Musulmani e le tensioni iniziano una rapida escalation di violenza che prenderanno una tragica piega con l’uccisione di fr. Henri Vergès e sr. Paul-Hélène Saint-Raymond, primi martiri di questa turbolenta fase della guerra civile algerina.

Il clima di tensione non ferma però l’attività di Pierre e, di conseguenza, i suoi viaggi insieme all’autista, che diventa interlocutore speciale e amico del vescovo.

Il libro ricorda alcuni episodi e alcuni eventi di questa amicizia, dello scambio di opinioni, del dialogo cordiale tra i due, sempre volto ad approfondire la reciproca fede senza mai imporre qualcosa all’altro.

La violenza pone fine alla vita di entrambi, con una bomba messa proprio nelle vicinanze della residenza del vescovo; entrambi restano uccisi dall’esplosione. E’ il 1996 e lo scontro ideologico segna un tragico bilancio: sono ormai 19 le vittime cristiane uccise per interrompere quel percorso di dialogo e di conoscenza tra il mondo cristiano e l’Islam.

Anche dagli appunti del giovane autista, semplici e brevi annotazioni, emerge traccia di questo cammino coerente e luminoso, che la violenza non potrà fermare.

Dal testo, scritto dal domenicano Candiard (vive al Cairo, docente presso l’Istituto Domenicano di Studi Orientali, dove si occupa di Islam) è stato tratto un musical, che in Francia ha avuto centinaia di repliche e ha riscosso una grande attenzione.

Completano il testo altri brani preziosi: una introduzione di Thimoty Radcliff, per lunghi anni superiore generale dei Domenicani e mente particolarmente aperta al dialogo; alcune note biografiche sul vescovo Pierre per comprenderne meglio la parabola storica e il contesto culturale; una riflessione dell’attuale vescovo di Orano che testimonia la continuità del percorso che la Chiesa continua ad offrire al popolo musulmano.

Testo interessante per comprendere l’importanza del dialogo e del contatto semplice e fraterno con le persone, unica chiave possibile per disinnescare la violenza e il fanatismo religioso.

Personalmente condivido la necessità di instaurare questo genere di contatti “dal basso”, senza pretese istituzionali o senza la presunzione di fare passi avanti semplicemente interpellando le “autorità”. Anche perché nel nostro territorio (mi riferisco a Siracusa), trovare delle autorità nel campo dell’Islam è davvero difficile, nemmeno le persone che si dichiarano musulmane sanno darti qualche indicazione. La moschea del quartiere sembra un magazzino di detersivi in attesa di apertura e i punti di contatto sono davvero labili. Sto maturando la convinzione che gran parte dei nostri ragazzi che si dichiarano musulmani hanno una conoscenza dell’Islam davvero ridotta e spesso superficiale; un terreno che può diventare facile preda di fanatismi e idee fuorvianti. Sarebbe quasi da chiedersi se non sia saggio “formare” meglio i musulmani del territorio, perché approfondiscano in modo più coerente la propria fede, per non accontentarsi di una infarinatura episodica, qualche rito da conservare, l’APP che suona regolarmente per ricordare le 5 preghiere quotidiane e poco più. Un islam più maturo e consapevole sarebbe sicuramente un compagno di viaggio più valido.

Ma chiedendo a tanti, dagli amici alla Curia, sul territorio di Siracusa si trova ben poco; qualcosa di più ci sarebbe a Catania, che non è proprio dietro l’angolo…

Ciao Mary (per sempre?)

Ciao Mary (per sempre?)

Confesso che dopo aver letto qualche riga sul libro, il nome dell’autrice mi ha un po’ lasciato perplesso. Ma per un semplice pregiudizio. Non conoscevo granché della Murgia, se non qualche sprazzo di presenze in TV, qualche suo commento, qualche flash sui vari media… una conoscenza molto superficiale e l’avevo taggata con un’etichetta tra l’influencer e la tuttologa mediatica.

Trovare un suo libro dedicato, almeno apparentemente, a Maria, la donna del vangelo, la madre di Gesù, mi sembrava per lo meno strano. E qui scatta la curiosità. Uno spulcia qualche pagina, legge qualche riga. E poi mi piacciono le posizioni un po’ alternative e sentire direttamente una voce femminile che riflettesse e parlasse di Maria, un tema più impegnativo di quanto si possa credere, mi intrigava particolarmente. E allora scatta la voglia di leggere.

Ho incontrato diverse sorprese piacevoli nel leggere il testo. Intanto la Murgia non è una persona semplicemente informata dei fatti. La sua prospettiva mi è sembrata molto chiara e ben dichiarata. Scrive da credente, con una lunga frequentazione ecclesiale, gli studi di Scienze Religiose, l’esperienza di catechista, insomma, scrive da “dentro” la prospettiva cattolica. Ma proprio per questo sembra invitare il lettore a recuperare uno sguardo critico più profondo, meno legato alla sola tradizione o alle consuetudini.

Lo confessa fin dall’inizio, non si tratta tanto di un libro “su” Maria o sul femminile nell’universo delle religioni, in particolare quella cattolica. Il titolo è quasi un pretesto per affrontare tanti argomenti legati agli stereotipi culturali e tradizionali che si sono sedimentati sulla figura e sul ruolo di Maria. Ci pensa il sottotitolo a ricordare il fine principale, che è quello di riflettere su come la Chiesa ha creato il suo modello di donna.

Ci sono alcune pagine chiaramente dedicate a sviscerare in modo organico la figura di Maria, ma il grosso del testo affronta tematiche più ampie; dal ruolo della donna, al maschilismo che si manifesta in tanti, troppi, aspetti della vita quotidiana, spesso criptati e tacitamente considerati come la “norma” necessaria da seguire, senza possibilità di un contenzioso.

Molti i fatti e le notizie analizzate, per rivelare come la nostra cultura ragiona più a colpi di stereotipi (patriarcali) che per chiara conoscenza e consapevolezza critica. Interessante l’analisi culturale di come viene proposta Maria nel corso dei secoli, quale evoluzione abbia subito anche semplicemente nell’iconografia cristiana, per capire come certe idee vengano veicolate più con il contorno che con il soggetto centrale.

Emblematica al proposito è la “scomparsa” del bambino nelle rappresentazioni mariane degli ultimi due secoli, via via sempre più evidente (da Lourdes a Fatima, per non parlare di Medjugorje). Non si tratta certo di un dettaglio, visto che nel Vangelo Maria è sempre in stretta relazione col figlio, anzi, quasi non esiste al di fuori di questa dialettica.

Anche il tono dell’autrice mi sembra moderato e dialogante, senza arrampicate su steccati dal sapore vetero-femminista e senza nemmeno lasciarsi andare a facili critiche di superficie.

Insomma, una lettura stimolante, per ascoltare, una volta tanto (mi riferisco alla platea dei maschietti, ovviamente) una riflessione al femminile su una tematica che quasi sempre ci viene spiegata e commentata a partire da modelli che da sempre hanno relegato la donna a ruoli subalterni.