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Risalendo il fiume Cassibile

Risalendo il fiume Cassibile

Meno male che la primavera e le vacanze di Pasqua consentono un po’ di tempo liberato da poter dedicare alla riscoperta dei luoghi che circondano Siracusa. Questa volta mi sono avventurato dalle foci del Cassibile fino a … quando si riesce a ripercorrere il corso del fiume. L’idea era quella di giungere almeno fino alla Centrale dell’Enel; da lontano si notano le condotte forzate che solcano il versante ovest della grande vallata; avevo letto che da alcuni anni la centrale aveva ripreso a funzionare e logicamente una strada per raggiungerla ci dovrebbe essere!

Non siamo tra le montagne del Piemonte (ricordo ancora quando si passeggiava nel parco delle Alpi Marittime mentre Enel stava costruendo il grande complesso del Chiotas!) ma nel suo piccolo questa centrale può sempre rappresentare una fonte di energia meno invasiva e fastidiosa di altre (sarà che a nord di Siracusa siamo accerchiati dagli stabilimenti di Priolo… molto meno discreti!).

Uno sguardo alle mappe per trovare un itinerario fattibile, ben sapendo che qualche strada sarebbe stato un po’ disastrata. Mi accorgo che il punto migliore per entrare nel vivo del territorio è proprio quel parcheggio “alternativo” vicino alla spiaggia della Marchesa (Gelsomineto). In meno di 20 minuti di macchina da Siracusa ci si arriva. Poi si inizia a seguire l’intuito e la fortuna, perché le condizioni di queste strade di campagna lasciano molto a desiderare. Ogni tanto vi sono anche dei cancelli, spalancati ma sempre un po’ inquietanti. Nel complesso un itinerario facile, che si può completare in poco più di un’ora.

Poco dopo rispuntano tratti asfaltati, e poi di nuovo spezzoni di pietraglie da prendere con la dovuta calma. Sempre con un occhio alla visione satellitare di Google Maps (in questi casi davvero utile), arrivo fino ad un cancello inesorabilmente chiuso. Nessun segnale, nessun cartello. cioè, uno c’era, ma completament sbiancato; lo sbircio un po’ in controluce e si indovina qualcosa che riguarda la ***entrale idroel*. Mi basta per supporre di essere sulla buona strada. Lascio la macchina in una stradina costeggiata da limoni a grappolo e olivi rigogliosi. Per fortuna che a sinistra di questo cancello chiuso con lucchetto c’è il classico passaggio pedonale. Persino una bici farebbe fatica a passare, ma sgusciando di sbieco si prosegue tranquillamente.

La strada è molto buona, sicuramente i tecnici dell’Enel la mantengono operativa; siamo in pratica alla conclusione di quel grande canyon realizzato nel corso dei secoli (anche qualcosa di più) dalle acque del Cassibile. I laghetti di Cavagrande si trovano molto più all’interno, nemmeno pensarci di raggiungerli. La vallata è bella ampia e le sponde sono intensamente sfruttate. Un aranceto si presenta nella sua lussureggiante bellezza. Siamo ad aprile e le piante sono cariche. Proverò anche a fare un “controllo qualità”, assaggiando un’arancia fresca di pianta: deliziosa!

La strada è comoda, ma ogni tanto all’asfalto subentra la terra battuta, pietre e acciottolato grezzo. Rimangono i guard-rail ogni tanto e persino qualche cartello che avvisa del pericolo di caduta massi. La roccia in alcuni tratti è davvero a strapiombo. Proseguendo si giunge ad una piccola elevazione e un bivio, a sinistra si vede una serie di edifici, totalmente abbandonati. Procedo verso queste costruzioni, probabilmente la dimora degli operatori della centrale. Le dimensioni fanno pensare ad un vero e proprio villaggio, con numerosi abitanti. Tutto abbandonato, distrutto e lasciato all’incuria, basta guardare le foto di questo luogo, retaggio di un’epoca in cui abitare in zone come queste era forse possibile. Viene quasi da pensare che oggi lo sarebbe nuovamente, con pochi accorgimenti…

Salgo sulle balze del vallone, per contemplare la centrale dell’alto. La natura è accogliente e deliziosa, anche se rivela le tracce di un recente incendio (di pochi anni fa); ma passeggiare in zone quasi del tutto incontaminate fa sempre piacere. Arrivo fino alle condotte forzate, più o meno a mezza altezza dal loro punto di fuoriuscita dal monte.

Poi ritorno e mi dirigo verso la centrale; lungo la strada, subito dopo la curva sottostante l’edificio abbandonato, ci sono alcune grotte scavate nel fianco a monte. Più avanti la centrale, che si staglia in bella evidenza, operativa e ben curata. Prima del suo cancello una strada conduce al greto del fiume. Qui è possibile apprezzare il grande lavoro di erosione delle acque, con a tratti qualche gradino artificiale per muoversi meglio sul lato destro del fiume, fino al canale che trasporta l’acqua (immagino sia quella che esce dalla centrale), una bella portata che si riversa nel fiume, fino a quel tratto apparentemente asciutto, anche se il fondo sabbioso e petroso rivela che sotto sotto qualcosa permane.

Mi sposto anche sul lato opposto, dato che è facilissimo guadare il fiume apparentemente in secca,ma su quel lato non trovo sentieri o altro per raggiungere, da questa parte, l’altro traguardo che mi ero posto per quest’oggi (la necropoli di Cassibile). Sarà necessario tornare indietro e procedere con un altro itinerario.

Naturalmente, qualche immagine del percorso rende meglio di tante parole
Verso la Centrale idroelettrica di Cassibile

altri resoconti di questo itinerario:

Tra le rovine di Noto antica

Tra le rovine di Noto antica

Sabato scorso, 25 febbraio, una tiepida giornata invernale, un po’ coperta ma senza vento, in fine dei conti gradevole. Avevamo programmato da tempo una giornata di pausa, di riflessione, un semplicissimo ritiro per la nostra comunità.

Ma sui luoghi ci eravamo impantanati perché nei fine settimana certe mete sono decisamente gettonate. Abbiamo provato allora una nuova meta. Ci avevano parlato bene del Santuario della Madonna della Scala, nell’entroterra di Noto. E così fu.

La strada è poco diversa da quella che punta alla radice della Riserva di Cavagrande di Cassibile, quindi da Siracusa si punta verso Canicattini Bagni e poi si solcano le zone pianeggianti di questa sorta di altipiano; colline, terreni recintati dagli immancabili muretti a secco bianchi, qualche cespuglio di bosco appena accennato. In meno di un’ora si arriva nei pressi di questo santuario che già per la sua posizione richiama la mente e il cuore. Un paesaggio più aspro, solcato da canaloni abitati da ruscelli. Il luogo ideale per qualche necropoli antica, infatti non mancano le cavità e certi luoghi richiamano quasi immediatamente altre storie, altre presenze, l’Altro.

Il Santuario dalla strada quasi non si vede, protetto da un muraglione imponente, subito dopo un ponte arcuato. Ma lasciando la macchina proprio ai piedi delle scale e salendo i gradini, si giunge rapidamente ad un vista davvero suggestiva. Trovare un struttura così imponente praticamente in mezzo al nulla mette quasi soggezione. Ma da tempo questo antico convento carmelitano è stato ristrutturato e affidato dalla diocesi ad una comunità di recente nascita, la Comunità delle Beatitudini. La chiesa brilla fin dall’inizio per un pavimento allegro, luminoso e per questa iconografia della scala che mette insieme la presenza di Maria con la sognante visione della scala di Giacobbe. Una “porta del cielo” che si adatta a pennello alla figura della donna che ha spalancato sul mondo una nuova presenza e una nuova stagione della vita.

Il Santuario è immerso in una zona quasi orrida, con ruscelli e rocce che da secoli intagliano l’acqua, a volte con piccole modifiche umane per sfruttare il luogo. Vi sono tracce antiche, le solite buche nel sentiero di roccia per consentire il passo agli animali, solchi di antichi percorsi, canali che rendono meno difficile l’accesso all’acqua. Davvero suggestivo. Poco distante si intravede benissimo la cava che ha fornito la roccia per il grande edificio. Sembra un foglio a quadretti abbandonato sui fianchi della collina. Ma una sbirciatina da vicino ne rivela persino l’effetto futurista, altro che le tele squarciate di Fontana, qui ci sono solchi e percorsi che disegnano in modo netto questa roccia chiara. E pensare che da lontano sembrava quasi un muraglione in cemento armato in fase di disfacimento, con i ferri bene in evidenza…

Nel pomeriggio sulla via del ritorno, abbiamo preso la deviazione verso Noto antica; dopo essere stati tante volte nella Noto barocca, vedere queste mura possenti e poi il nulla, qualche avanzo di castello e di torre circondati dal silenzio, ricorda come il nostro tempo sia segnato più dalla natura che dalle nostre scelte. Il terribile terremoto del 1693 che ha profondamente segnato questa parte di Sicilia, si manifesta in tutta la sua tragica enormità. Mura possenti e pietro vigorose, ma le altre tracce sono ormai svanite. Anche in questo caso quello che sembra aver meglio resistito al morso del tempo sono …le antiche tombe greche o iblee che ancora fanno capolino.

Meglio lasciare il resto alle immagini, più che alle parole. Ecco alcuni scorci di questa giornata, tra il Santuario della Madonna della Scala e le rovine di Noto antica.

Del sale e di altri voli

Del sale e di altri voli

In questi giorni abbiamo avuto visite, di amici, parenti, anche solo di curiosi. Quando ci chiedono se a Siracusa ci sono luoghi interessanti da visitare sanno già che se chiedono a me inizio una tiritera promozionale non indifferente. Ormai, dopo 3 anni completi, la conoscenza del territorio è ben più che superficialmente occasionale e posso quindi indirizzare verso le mete più vicine alla sensibilità delle persone e si spazia facilmente dalla storia, la cultura, il paesaggio, l’ambiente, la natura…

Solo giovedì scorso siamo stati accompagnati rapidamente all’interno della cattedrale di Siracusa, da una preparatissima guida; contemplare quelle colonne massicce, ricordare che la cerchia interna (più grossolana, infatti non sono proprio colonne) era il recinto della cella sacra dedicata ad Atena (il tempio era stato innalzato come ringraziamento per la vittoria di Siracusa contro i Cartaginesi), che in epoca bizantina, quando il tempio viene trasformato definitivamente in chiesa cristiana e quindi salvato dalla distruzione viene modificata la direzione di ingresso (oggi si entra dalla parte che inizialmente era il fondo, il tempio si apriva in direzione del sorgere del sole, oggi invece ne ammira il tramonto), scoprire che nella cappella del Santissimo (dove si conserva l’Eucarestia) vi sono opere del Vanvitelli (l’architetto della Reggia di Caserta, tanto per dire…), che il ritratto del vescovo Zosimo è attribuito ad Antonello di Messina. Insomma, ce n’è abbastanza per chi si appassiona di arte.

Ma come dicevo, non c’è solo cultura; anche l’ambiente ha il suo peso, nonostante la tipica incuria che sembra marcare l’approccio siracusano al tema (è di questi giorni la notizia che la nostra provincia è anche la prima in classifica per quanto riguarda abusivismo edilizio). Preferisco allora sottolineare le cose gradevoli per stimolare ad un miglior rapporto.

Così sabato pomeriggio prendo la bici e mi dirigo verso una zona che conosco già discretamente, ma questa volta porto la fotocamera, non mi basta il telefono; punto verso le Saline di Siracusa, sperando di riuscire a cogliere qualche uccello migratore in modo più interessante. Fermo la bici subito dopo il ponte dell’Anapo-Ciane (incredibile come ci siano le foci di 2 fiumi diversi nello spazio di pochi metri, basterebbe questo connubio a motivare una piccola riserva ambientale, che sulla carta esiste, ma sembra totalmente dimenticata) e imbocco la strada che conduce al mare. Rimango subito piacevolmente sorpreso perché l’itinerario è stato da poco ripulito e allargato, si vedono le tracce dei pneumatici del trattore e soprattutto i tanti rami sporgenti sono stati tagliati, ora il percorso è veramente più adatto. La pioggia dei giorni scorsi è ancora ben presente e le pozzanghere sono abbondanti, il fango è di casa, qui. Ma senza difficoltà si giunge fino alla spiaggia, che purtroppo è uno spazio poco consigliabile, che rigurgita di sporcizia, rottami, plastica, reti, imballaggi… c’è praticamente di tutto. Ma nei laghetti che costellano la zona un po’ di movimento c’è. I primi uccelli li trovo, come al solito, appollaiati sui rami degli eucalipti che abbondano su questa foce. Sembrano avvoltoi in attesa di cadaveri e l’effetto è decisamente insolito, meno male che lo zoom della fotocamera fa il suo dovere!

E quindi mi dirigo su qualche sentiero della zona, cercando di non inzaccherarmi troppo, la zona è praticamente abbandonata e l’erba alta non facilita di certo. Dopo aver constatato che da questa parte si vedrebbe ben poco, decido di riprendere la stradda e andare verso il faro, nell’altra zona di ingresso, vicina al Lido Sacramento. So che l’entrata è un po’ rocambolesca (i cartelli di divieto che ricordano il pericolo di crollo sono ben arrugginiti ma ancora leggibili) ma forse dall’alto si può vedere qualcosa di meglio. Quindi altra pedalata e via, fino al faro. Proprio lì sotto ci sono le rovine di quello che doveva un tempo diventare il Museo del Mare, un edificio costruito a pochi metri dalla riva e già completamente distrutto dal tempo e dagli agenti atmosferici. Resta qui, con la sua curiosa intelaiatura di legno per il tetto (legno che poco alla volta viene tranquillamente utilizzato per focherelli locali e forse altro) e il suo cumulo di cemento, mattoni, soffitti, pavimenti: un inno all’incurio.

Subito dietro questo scempio ci sono alcuni sentieri, che percorrono le saline, costellati però di spazzatura, polistirolo, imballi di plastica; si riesce a malapena a penetrare per qualche decina di metri. E proprio lì, in fondo, qualche grande uccello si riesce ad intravedere, peccato siano veramente lontani e nemmeno lo zoom 40X riesca a fare giustizia dello spettacolo.

Insomma, la zona meriterebbe decisamente di più, il potenziale di visita è discreto e l’ambiente è suggestivo. Ma con il tempo che passa noto solo che il degrado non migliora, anzi, la casetta e il piccolo molo galleggiante vicino alla foce, proprio sotto il ponte, è stato completamente eliminato, la scaletta distrutta, il ricovero è costantemente aperto e offre riparo alla sporcizia del luogo, tra sedie e salvagenti affastellati. Ed è un vero peccato, perché di persone che vengono a dare un’occhiata ne incontro anche oggi, una giornata tutto sommato poco invitante.

All’orizzonte si staglia Siracusa, nella sua silhouette affusolata e lineare, una lama di città sul mare. Sarebbe uno spettacolo…

Ecco, come al solito, una carrellata di immagini delle Saline e di questi luoghi

Il fascino di Staffarda…

Il fascino di Staffarda…

Ogni tanto riesco a farci capolino, una sbirciata veloce, almeno un tentativo. Quest’anno è andata bene!

Lo scorso anno avevamo trovato tutto chiuso, forse perché era proprio il primo gioroi di gennaio, così questa volta ho controllato meglio. Mi trovavo a Carmagnola per un incontro e nel pomeriggio una scappata in direzione Monviso ci poteva stare.

Insieme a fr. Paolo e a Juan (da Cordoba con tutta la curiosità di un giovane prof di storia!) ci siamo così diretti alla volta di questo splendido luogo.

Ricordo ancora la prima volta che l’ho visitata, quando non era ancora inserita nei circuiti ormai standard delle visite “interessanti”. Eravamo ancora nel secolo scorso; tra le pubblicazioni un po’ underground era uscito (forse per Stampa Alternativa?) un libretto con un centinaio di luoghi insoliti da visitare. Staffarda era uno dei più quotati… E siccome ogni tanto ci si passava vicini, un bel giorno sono riuscito a visitarlo.

Non c’erano ancora orari di visita precisi o indicazioni chiare; arrivati nel piccolo borgo abbiamo trovato uns acerdote, forse il parroco del luogo, che ci ha fatto un po’ da cicerone.
O almeno, questo è quello che la memoria e la curiosità mi riportano alla mente. Perché se si trattasse veramente del parroco dovrebbe essere Carlo Peano, autore, tra le altre cose, di una curiosa guida a Staffarda. Guida che non sono ancora riuscito a recuperare in nessun modo… alternativo 🙂 e pensare che dopo un po’ di ricerche in rete, il libro che su vari altri siti è semplicemente quotato con il prezzo di copertina, 12 € più che oneste, adesso viene riproposto da Amazon alla stratosferica cifra di 1890 €…

Insomma, mi porto dietro l’impressione che la nostra guida fosse proprio lui, perché ha iniziato con entusiasmo a portarci all’ingresso della chiesa per farci osservare con attenzione i livelli delle due prime colonne (“Toh, è vero, una ha il basamento e l’altra no…”), poi, indicandoci col dito per mostrare il fatto, insolito, che nelle volte successive non si riuscissero a vedere in modo corretto i punti centrali, che dovrebbero essere invece ben visibili, poi l’approssimazione degli angoli (“Tranquilli, qui dentro di angoli retti ne troverete ben pochi… la perfezione appartiene a Dio, non agli uomini”), l’altezza dei capitelli, che apparentemente sembrano ben allineati sono invece tutti posizionati su livelli diversi (“E provate a chiedere ad un architetto che complicazioni comporti una cosa del genere….”).

Ricordo quindi che ci ha fatto osservare questi e altri aspetti delle tante e incredibili asimmetria del luogo; che i capitelli del chiostro fossero tutti differenti non era certo un problema, è un tema ricorrente in molti conventi; anche in questo caso l’unicità artistica richiama la capacità dell’uomo e la sua peculiarità. Oltre alla splendida chiesa si sono conservati in parte alcuni altri luoghi, la sala capitolare, alcuni magazzini, qualche sala adiacente il chiostro. Purtroppo la battaglia di Staffarda tra Piemontesi e Francesi del 1690 ha pesantemente influito sull’Abbazia, colpita, in parte distrutta e abbandonata a lungo. Il lento recupero di questo gioiello non è ancora completato, ma proprio questa sua caratteristica ha consentito che il borgo e tutto lo spazio adiacente non abbia subito particolari modifiche negli ultimi secoli. Il che è già un bel risultato.

Girando per gli spazi, in questo pomeriggio invernale e quasi gelido, avvertire quindi l’effetto che doveva fare un tempo il convento (dove oltre ai luoghi comuni l’unico spazio un po’ riscaldato era lo scriptorium), rende molto bene l’idea di come potesse essere, un tempo, il modus vivendi quotidiano.

Tra qualche mese torneranno poi, come è ormai consueto, i pipistrelli, che qui hanno uno dei loro principali luoghi di raccolta. Oltre 1200 chirotteri per non parlare dei nuovi nati. Un tempo lo strato di guano che si formava nelle stalle dove questa colonia si è ormai stabilita, diventava merce preziosa…

Nulla si perde di questo antico tesoro!

Qualche spunto di riflessione, reuperato in rete:

Ecco le immagini di questa visita a Staffarda – sabato 4 febbraio

Con uno sguardo soprasotto

Con uno sguardo soprasotto

Il nostro sguardo è per lo più normale, quello che appare ci colpisce, quello che non si vede si ignora. Semplicemente. Ma quando la curiosità si mette in moto, rivela squarci d’insolito. Senza nemmeno andare troppo lontano. A volte basta cambiare prospettiva.

Qui a Siracusa il “sopra” è notevole, basterebbe per saziare mente e cuore: teatro, latomie, monumenti, palazzi, scogliere, mare… ma una volta avviata la ricerca nel “sotto” si aprono altrettanti scenari notevoli. Basterebbe ricordare che dopo Roma, le catacombe più estese al mondo sono proprio nel nostro sottosuolo, tra San Giovanni, Santa Lucia e Ortigia.

Mi ero ripromesso di dare un’occhiata anche a queste svariate realtà e domenica scorsa abbiamo finalmente raggiunto l’obiettivo. Avevamo infatti prenotato con tutta la nostra comunità (era presente anche Fachi), un bel giro nella Siracusa sotterranea.

Siamo così partiti dal Bagno Ebraico, nel quartiere della Giudecca. Si tratta del più antico bagno rituale ebraico in territorio europeo, un miqwè tornato alla luce solo di recente. La visita è abbastanza rapida, anche perché le dimensioni non consentono un afflusso numeroso di visitatori.

Si scende di parecchi metri sotto il livello stradale, praticamente al livello del mare, per ammirare questa stanza con le vasche rituali. Quando siamo scesi a vederle il livello dell’acqua era salito e non era possibile entrare liberamente nella sala (anche se diverse persone, tolte scarpe e calze, si sono concesse la visita in umido!); ma la suggestione dei locali rimane intatta.

Nessuna iscrizione, nessun altro reperto, ma le parole sono sufficienti. Nella saletta dove la guida ci ha illustrato la storia del ritrovamento e la funzione del bagno rituale, erano presenti alcune vetrine con alcune suppellettili, rimasugli di vasi e piatti vari. All’ingresso un paio di litografie originali di Emanuele Luzzati, a testimoniare convegni del passato.

Che Siracusa fosse un crocevia importante, nei primi anni dell’era cristiana, è abbastanza risaputo, visto che san Paolo ha fatto scalo qui per alcuni giorni. Quello che meraviglia è la diffusa indifferenza cittadina a questi patrimoni del passato, che potrebbero stimolare ben altre attività.

E proprio di questa incuria atavica parlavamo, ogni tanto, con la guida che poi ci ha prelevati e condotti alla chiesa di san Filippo, fresca di restauro (finalmente hanno tolto le impalcature che ne occultavano la facciata). E proprio dall’ingresso di questa chiesa ci siamo inabissati nel successivo tour sotterraneo.

Sotto questa chiesa abbiamo potuto vedere ben tre livelli storici di notevole interesse. Il primo riguarda la semplice cripta della chiesa, con le sue numerose tombe e riferimenti al “memento mori” che un tempo condensava la pastorale e la catechesi della chiesa. Dopo questo livello si scende al livello romano dei primi secoli, ampiamente sfruttato negli anni ’40 come rifugio antiaereo (e Siracusa ha subito numerosi danni, fino al settembre del ’43, essendo la zona individuata dagli alleati per lo sbarco). E si potrebbe giungere fino all’epoca greca, con i pozzi necessari alla vita quotidiana (l’acqua proviene dalla stessa falda che rifornisce la fonte Aretusa).

Quello che meraviglia è la notevole estensione di questi cunicoli e grotte scavate, cisterne e camini di accesso. Anche in questa realtà poi si verificava quello che a Napoli hanno codificato nel personaggio del munaciello, che accedeva alle case attraverso questi passaggi sotterranei “di servizio”.

Insomma, una passeggiata sotterranea interessante e godibilissima. Siamo poi usciti di nuovo all’aperto e ci siamo recati per l’ultima tappa davanti alle rovine del tempio di Apollo; altre preziose informazioni su questi ruderi, a lungo ricoperti da macerie (dopo l’esplosione di alcuni depositi di polvere, in epoca spagnola…). Quello che insomma vediamo oggi è ben lontano da quello che un tempo poteva essere il panorama dei palazzi e dei quartieri. Una città decisamente cangiante nel tempo.

E oggi affidata più al buon cuore delle guide e degli appassionati che alla programmazione cittadina o politica.

Solo una carrellata di foto di questa passeggiata sotterranea nelle viscere di Ortigia