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Categoria: luoghi

Iniziamo il 2020 con un giro nel passato… quello antico!

Iniziamo il 2020 con un giro nel passato… quello antico!

Ma siamo sicuri che l’albero di Natale…

Pensavo in questi giorni di inizio anno nuovo che un po’ di propositi bisogna pur farli. Fosse anche il proposito di non farne troppi, o di inutili. Quindi meglio procedere come se niente fosse, come se i giorni continuassero a provenire dallo stesso fornitore, con la stessa intensità, con il loro consueto miracoloso carico di sorprese…

Approfittando poi della prima domenica di gennaio, mi sono concesso almeno il proposito di andare ad esplorare un po’ più a fondo questo splendido territorio che è Siracusa. Ma che dico: New-York, o forse Napoli. Anche perché recita proprio così il cartello all’ingresso degli scavi archeologici: Nea Polis. Più chiaro di così. Benedetti greci con la solita crisi di fantasia per i nomi di città.

Comunque oggi ho preso solo la bici e l’intenzione di non fare foto, almeno, non tante, almeno, non con una fotocamera seria. Semplicemente girare per cogliere una prima panoramica di quanto, in seguito, varrebbe la pena di approfondire. Arrivare all’ingresso è persino facile, pochi minuti da casa nostra. Questa domenica di gennaio era poi fresca, ma tersa e con un bel sole; dopo qualche ora avrei quasi rimpianto di essermi bardato un po’ troppo.

La visita degli scavi è molto lineare da compiere: si comincia dall’anfiteatro romano, si sorvola sulla ara di Ierone, si entra nella zona del teatro greco e si completa con un tuffo nelle latomie. Se poi uno è curioso dà uno sguardo alla base della chiesa vicina all’ingresso, la cappella dei Cordari, per ammirare le piscine d’acqua che i romani avevano realizzato per alimentare i loro giochi nell’anfiteatro. E poi l’ultimo sguardo andrebbe comunque al ficus secolare che occupa una bella porzione delle latomie.

Anfiteatro romano: sarà anche comodo il percorso su quella bella stradina in cemento (e penso non solo alle carrozzine ma a chi ha difficoltà serie di spostamento) che consente di ammirarlo facilmente. Ma penso sempre a cosa viene inevitabilmente perso e sepolto al di sotto. L’anfiteatro è grande, semi distrutto dai soliti spagnoli (che dovevano rinforzare l’isola di Ortigia), ma si coglie ancora benissimo tutto l’impianto, nell’arena c’è poi questa curiosa sala a tenuta stagna e le legende ricordano i vari passaggi “di servizio”. Niente da dire sui tempi, questo anfiteatro ha funzionato dall’età imperiale fin verso l’anno 400; vorrei vederlo uno stadio italiano di oggi così longevo…(e mi dicono che San Siro lo dovranno buttare giù per far posto al nuovo: e risale nella sua versione attuale al 1955, nemmeno 70 anni).

Il teatro greco: ho la fortuna di averlo già provato dal vivo, assistendo a giugno ad una rappresentazione davvero suggestiva. Visto così, vuoto, abbacinante e ordinato, sembra un animale parcheggiato. Ma potendo notare tutti i dettagli, la grandezza, la posizione, viene veramente il capogiro. Persino la parte superiore, con il Ninfeo e la sua sorgente d’acqua copiosa, le varie tombe e stanze scavate nella roccia, riescono a creare un fascino particolare. Peccato che la via dei Sepolcri sia quasi interamente sbarrata (e da quello che si vede si comprende che non sarebbe molto sicuro lasciarla preda di azzardati visitatori che si arrampicano per ogni dove).

E per finire l’orecchio di Dioniso, nelle Latomie. Anche qui sono rimasto un po’ deluso per la gran parte di strade interdette, si può visitare ben poco, il solo orecchio di Dioniso in pratica. Che rimane comunque qualcosa di imponente e incredibile. Tutto l’ambiente gode poi di un microclima speciale, il famoso ficus che vi è nato e cresciuto ha dell’incredibile, come grandezza e longevità, ma ci sono anche tanti aranci e mandarini, verrebbe quasi voglia di allungare le mani per coglierne qualcuno…

A conclusione della mattinata ho dato solo una rapida oocchiata anche alle sale inferiori del museo Paolo Orsi, uno dei più autorevoli di tutta la Sicilia, nato per volere di questo grande archeologo che ha saputo scoprire, valorizzare e dare importanza ad un passato così importante. Non dimentichiamoci che nella Champions del passato, Atene-Siracusa 0-1; Cartagine-Siracusa: 0-1, poi purtroppo sono arrivati i Romani e per Siracusa i momenti gloriosi si sono conclusi…

Ma a questo museo bisogna dedicare più attenzione; è incredibilmente ricco, non solo di storia, visto che traccia un itinerario che va dalla formazione geologica del territorio fino agli utilizzi delle risorse locali. Passando per tutto quello che ha accompagnato la costante evoluzione delle persone. Tra culture antiche e sogni remoti.

Ecco, lo dicevo all’inizio: niente foto. Ma poi mi sono lasciato un p’ andare. Pazienza, un po’ di sane contraddizioni possono continuare anche con il nuovo anno, Anche se quest’album fotografico è davvero piccolo piccolo!

Sui passi di santa Lucia

Sui passi di santa Lucia

Sono a Siracusa ormai da oltre 2 mesi, sono persino riuscito ad ottenere in tempi rapidi la residenza, vivo a pochi passi da piazza s.Lucia, sulla quale si affacciano sia la parrocchia che il sepolcro della santa. Lucia è una delle 7 martiri “canoniche” fin dai primi secoli del cristianesimo. Insomma, sarebbe anche difficile ignorare quello che succede in questi giorni che ruotano intorno alla sua festa.

In effetti tutto inizia il 13 ma la festa dura un’intera settimana, zeppa di appuntamenti, celebrazioni, commemorazioni, visite… E pensare che le vicissitudini della storia hanno fatto sì che il corpo, quello vero, sia finito nientemeno che a Venezia. Forse servirebbe non un referendum (i siracusani non vedono l’ora di recuperare i resti di questa illustre cittadina), ma una lettera…firmata da tutti i cittadini per stimolare un po’ i veneziani. Se la storia non fosse così contorta e complicata dovrebbe essere abbastanza evidente che il posto giusto di Lucia è … a casa sua.

I miei amici di qui dicono che lo scorso anno la folla era ancora maggiore, forse perché la chiesa parrocchiale è diventata in quell’occasione “santuario”, salendo così di grado. E persino nelle serate ventose in piazza, la sera tardi, era facile incontrare tanta gente. Invece abbiamo sperimentato la sera del 18 che non c’era praticamente nessuno. Ci siamo fatti un panino ad un chiosco che praticamente sembrava già in chiusura e poi con l’allerta vento, non era certo facile prevedere grandi folle. E in questa settimana ho quasi perso il conto di quante allerte meteo siano arrivate!

Il giorno 13 ero ancora con Gabriel per la processione di andata; la statua della santa parte dal Duomo e giunge nella parrocchia. Vuoi per il vento, la pioggia, il freddo… ma dopo il simulacro della santa c’era ben poca gente. In compenso li seguiva uno stuolo di persone e addetti pronti a togliere subito la cera che colava dai lunghi ceroni portati dai fedeli. Nemmeno tanti, considerando la pioggia che a folate infastidiva tutti.

la statua di Lucia, nella cappella del sepolcro …vuoto

Il giorno finale, il ritorno a casa, il tempo era più gradevole. C’era sempre un’allerta meteo per il vento, ma questa volta poco azzeccata. Mi ero così ripromesso di vedere o seguire almeno un pezzetto della processione. Alle 15:30 la chiesa di S.Lucia era già totalmente bloccata, in attesa della partenza; folla di persone, di addetti (molti con le divise e le livree tipiche dei vari ruoli che coinvolgono davvero molte persone; spiccano su tutti i “berretti verdi” che fanno un po’ Robin Hood se non fosse che ricordano gli artigiani che lungo i secoli si sono avvicendati in questi ruoli). Il percorso di ritorno è ben più lungo dell’andata. Così alle 19 pensavo di trovarli già vicini ad Ortigia, invece non erano nemmeno a metà strada. Alla fine decido di fermarmi comunque lungo il tratto finale, sul ponte Umbertino.

Atmosfera strana, non fa freddo, vento quasi assente, ma il fumo delle caldarroste che sono posizionate in modo strategico a lato dei ponti crea un clima quasi da favola, nebbioso e ovattato.

Ma quando chiedo ad un vigile quali sono le prospettive sui tempi, mi guarda rassegnato e azzarda un timido “forse verso le 21:10“. L’ipotesi di attendere per quasi un’altra ora e mezzo non era poi così allettante, quindi ne ho approfittato per girovagare quasi senza meta nel dedalo di stradine dell’Ortigia vecchia. Uno spettacolo: quasi nessuno in giro, luci soffuse, angoletti deliziosi, cortiletti da favola e androni suggestivi. Merita sicuramente un’altra visita.

Quando poi ritorno verso il ponte umbertino, in lontananza si intravede la statua. Ci siamo quasi. Quel quasi lo sconterò con altra attesa, ma fa parte del gioco. Quando poi arrivano le prime avvisaglie del corteo, ho la fortuna di rivedere alcune facce note e di incontrare quindi nuove persone. Chiedo ad un amico prete del gruppo se la maggior parte del clero sia coinvolta, “macché, praticamene siamo solo noi, meno di una decina”. Poi arriva il grosso del corteo, ed è subito pausa, perché quando la statua è sul ponte iniziano i fuochi d’artificio. Un bello spettacolo, da vedere e sentire in diretta.

Poi la processione riprende. Di profilo la statua della santa, con quel coltello conficcato in gola, è un po’ inquietante, quasi splatter. Faccio in tempo a vedere un’unica coppia che procede scalza (e ce ne sono ancora tanti, mi dicono) poi le due bande che seguono si rimettono in moto e in suono. Ancora pochi metri ed ecco subito i carrellini dei venditori ambulanti, con palloncini, caramelle e improbabili regali di natale. Fine del corteo, anche se la folla ai lati permane.

Mi aspettavo probabilmente una manifestazione più corale, più gente al seguito, più partecipazione convinta. Invece si susseguono fin troppo le grida alla santa che “sarausana jè“. Ma da tempo è ormai migrante a pieno titolo anche lei.

Vengono male le foto in notturna col mio cellulare, ma ormai le appendici digitali sono difficili da sostituire, quindi la galleria fotografica è quello che è, santa Lucia, patrona della vista, farà il resto.

Pecore, pastori e rinoceronti

Pecore, pastori e rinoceronti

Da quanto? Da quanto tempo non facevamo insieme il presepe e l’albero, qui a casa nostra, una Sanremo dalle giornate terse e ormai invernali. Quei giorni che ruotano intorno all’Immacolata, tra una festa milanese per il 7 e un compleanno di mamma che si celebra proprio il 9. E così, vivendo tranquillamente alcuni momenti senza impegni particolari, Massimo si è attivato e pervaso dal sacro fuoco dell’entusiasmo ha fatto la proposta.

Facciamo l’albero, e il presepe. D’altra parte a Napoli e dintorni se non hai già allestito il “grosso” del presepe per l’8 dicembre siamo già un po’ fuori tradizione. Se no ti riduci al 23 dicembre, a tirar fuori frettolosamente qualche statuetta, una casina accartocciata, brandelli di muschio da smistare sul tavolino e un groviglio di lucette. Quest’anno avevamo il tempo giusto e ci siamo messi al lavoro. Perché dietro al presepe c’è più vita che pecore, più fascino che lucette…

Mi vengono sempre in mente a questo proposito i racconti di Natale di Buzzati. Da buon ateo devoto (sua la preghiera” Dio che non esisti, ti prego…”). Pensavo che qualcuno si fosse dedicato a raccogliere tutti i racconti che ha disseminato nelle sue opere; l’unico testo che ho trovato velocemente in giro è solo un generico “E se poi venisse davvero? Natale in casa Buzzati…“. Non so se ce ne sarebbe da compilare una raccolta ma ne ho usati spesso in occasioni natalizie; dagli antichi fotomontaggi, alle diapositive, ai powerpoint. Ce n’è troppo di Natale, il prete don Valentino che disperato viene mandato dal vescovo perché nella fredda cattedrale il buon Dio si è stufato di aspettare gli uomini, oppure i due bizzarri alieni che interrogano il prete chiedendogli spiegazioni mistiche sugli umani… E la sua sensibilità supera di certo la poca fantasia di tanti affezionati al presepe.

Ma torniamo alle scatole del presepe. 3 per l’esattezza. Qualcuna raccoglieva, come tesori di un museo chiuso da tempo, le statuine che forse avevano segnato i miei primi presepi; qualcosa come 50 anni fa, verrebbe quasi da dire “bei tempi”. Così con Massimo abbiamo messo sul tavolo tutti i personaggi presenti. E qui cominciano i problemi. Passi per i 2 sangiuseppe e il quarto remagio, ma che cosa ci faceva un rinoceronte tra gli animali del presepe? Aveva marcato male all’apello delle pecore, era invidioso delle due corna del bue? A scanso di equivoci lo abbiamo radiato dal presepe, seduta stante, e rispedito allo zoo, cambiandogli definitivamente di scatola. Le pecore erano in buona forma, una mezza dozzina. C’era persino il pastore della meraviglia, quello che vede la luce e rimane estasiato; deve arrivare di gran corsa l’angelo a svegliarlo e dirgli di sbrigarsi ad andare con gli altri. Anche per gli angeli eravamo messi bene, un paio al completo e poi il mistero di un paio di ali che non siamo riusciti a rifilare a nessuno, nè ad un pastore un po’ anonimo e tantomeno a una mugnaia con la sporta sul fianco. Infine un agglomerato di casette da farci un rione sanità in miniatura.

Insomma, i pezzi c’erano e per non far torto a nessuno li abbiamo sistemati quasi in fila indiana, salomonicamente divisi a metà tra destra e sinistra, a scanso di rimpasti politici. Ora toccava all’albero. Eravamo convinti di avere il nostro bel spelacchio da sistemare, in due pezzi, ma poi ci siamo resi conto che erano due mini-alberelli. E anche in questo caso abbiamo optato per la lex difficilior, scegliendo il migliore, cioè quello con la punta meno svampita. A questo punto abbiamo pianificato in 3D un attento studio di masse e volumi e sistemando alcuni mobili che nei prossimi 20/30 giorni potevano benissimo essere messi in quarantena, ci siamo avviati a completare l’embrione dell’opera.

Insomma, tra una reminiscenza dei tempi passati, un’autopsia di qualche statuina malconcia e l’analisi semiologica dei testi per avvalorare ardite tesi ermeneutiche (“se i pastori e le pecore dormivano all’aperto non poteva certo essere il 25 dicembre….”) abbiamo dedicato un bel momento della serata a questa preparazione. Mamma, in disparte, apprezzava il lavoro, fornendo a volte qualche consiglio per riutilizzare tutto l’utilizzabile. Si fa Natale anche così.

Ci mancano solo un po’ di lucette, qualche fascia di contorno e qualche pianta (mica può mancare una stella di natale a suggerire la selva, o lo spatifillo in gran forma, piante sicuramente abbondanti sulle brulle colline di Betlemme, a oltre 900 m. slm!). Intanto i protagonisti principali aspettano per l’entrata in scena clamorosa della notte santa.
Così alla fine ci siamo fermati a contemplare il risultato. Certo, manca ancora tempo e manca ancora molto per sistemare le cose al posto giusto… Ma anche questo aiuta a contemplare in anticipo il mistero di questa vita che continua a nascere in tanti modi diversi e luoghi impensati.

Qualche foto dei preparativi di albero e presepe aspettando Natale

Da notare che siamo a Noto…

Da notare che siamo a Noto…

Forse i giochi di parole con questa splendida cittadina siciliana sono fin troppo facili, ma semel in anno… E visto che domenica scorsa eravamo proprio a passeggiare per le strade di questo capolavoro del barocco siculo, mi viene proprio da pensare che l’ipotesi di scrivere un po’ più spesso su queste pagine è proprio un pio desiderio!

Eravamo con la comunità al completo (ormai il buon Gabriel è nella fase di transizione per lasciare Siracusa, mancherà fino al 29 novembre e partendo il 16 dicembre stiamo anche cercando di lasciarlo un po’ più libero…) e con c’era anche il provinciale, fr. Juan Carlos, che come me non era ancora mai stato in questa località. Tutti ne parlano, le guide la esaltano e allora, andiamola almeno a vedere.

Diciamolo pure, quando io vado a vedere qualcosa comincio con il mettere in pausa le lancette dell’orologio, il tempo della visita è sempre molto relativo e vagare anche senza troppe mete è una cosa che faccio di default; ma non pensano la stessa cosa i miei compagni di viaggio… visto che in meno di un paio di ore siamo persino riusciti ad andare da un’altra parte. Ma è il bello del vivere insieme condividere sensibilità così diverse. Di sicuro se non avessero dovuto aspettarmi ci avrebbero messo poco più di mezz’ora 🙂

In pratica il bello di Noto si concentra lungo i fianchi della strada principale, corso Vittorio Emanuele e il parallelo, corso Cavour (con tutti questi piemontesi mi sento quasi dalle mie parti…); il nuovo asse scelto dopo il rovinoso terremoto del 1693 (che ormai ritrovo in tutte le zone che sto cominciando a conoscere, una sorta di “nuovo inizio” anche qui) per ricostruire la città distrutta, scegliendo coraggiosamente un nuovo sito e cambiando del tutto zona, spingendosi i verso il mare. Nobili e congregazioni religiose sono stati i promotori. E comincio anche a capire, come mi spiegava P. Nuccio, che qui il termine “don” per i preti è poco usato, prevale il “padre”, sicuramente retaggio del tempo incui la gran parte dei sacerdoti erano tutti di qualche congregazione e ben sparuto era il clero diocesano.

Passeggiando per queste ampia strada, isola pedonale e discretamente affollata di turisti, anche in una giornata come questa domenica piuttosto grigia e minacciosa di vento e pioggia, è davvero uno spettacolo. Insomma, la cittadina è decisamente coerente in questo suo centro, dal colore della pietra (estratta in quel di Siracusa, siamo a meno di 30 km) allo stile dominante. Niente accozzaglie di palazzi o soluzioni architettoniche improvvisate, si respira armonia e buon gusto. E questo barocco non infastidisce, non ha un volume eccessivo, ben si adatta al clima e alle persone…

Nella cattedrale, proprio all’ingresso, spicca la croce realizzata qualche anno fa con il legno dei barconi dei migranti. Adesso che sto cominciando anch’io a toccare con mano le persone che questa vita l’hanno vissuta davvero e hanno superato in modo quasi incredibile le traversie di un viaggio biblico, alla commozione sento che deve subentrare l’impegno perché questo rimanga nel passato e non torni a verificarsi nel futuro.

Finiamo il percorso vicino all’immancabile monumento a Garibaldi, anzi, al balcone dal quale, come sempre, ha incitato la popolazione contro la tirannide (per il momento non addentriamoci in terreni scivolosi); poco lontano un giovane nordafricano con chitarra inonda la strada a ritmo di raggae, nemmeno troppo fuori tema con le sue sincopi e il ritmo pittoresco.

Ritiro una mappa della città per una prossima visita, raccolgo qualche squarcio non solo dell’oggi, scopro con piacere che anche qui si svolge una infiorata (l’imprinting di quella di Genzano che porto nella memoria non lo posso certo cancellare), per una prossima visita ci sarà materiale a sufficienza per consolare la fretta di quest’oggi.

E come da programma, ecco un po’ di foto scattate a Noto in questa giornata

Papiro per davvero…

Papiro per davvero…

Lo sapevo già che a Siracusa è presente una pianta speciale, il papiro, o come direbbe il mio amico fr. Nito, rispolverando un po’ di latino botanico, il Cyperus papyrus.; secondo gli esperti è l’unica stazione europea dove cresce il papiro egiziano, quello famoso del Nilo, proprio quello degli storici rotoli di papiro.

Spulciando sul web scopri che proprio a Siracusa si è conservata la tradizione di produrre carta dal papiro, per alcuni tempi è stato l’unico luogo al mondo dove si realizzava (cioè, nemmeno in Egitto la producevano più!) e proprio qui si trova l’unico Museo del Papiro del nostro continente.

Era domenica 10 novembre, pomeriggio sereno dopo una settimana di piogge. Ce n’era abbastanza per andare ad esplorare il corso del fiume Ciane, un tranquillo corso d’acqua che scorre quasi parallelo al fiume Anapo. Dato il terreno calcareo anche qui sono frequenti gli ingrottamenti e il fiume quasi scompare (e io che spiegavo il carsismo ai ragazzi e pensavo che fosse appannaggio solo del territorio triestino…). Stessa cosa vale per le sorgenti del Ciane, che di punto in bianco spuntano dal suolo. Ma andiamo con ordine.

In bici (ovviamente), si esce da Siracusa e si costeggia fino al ponte sull’Anapo, subito dopo si incontra il Ciane e si prende, un po’ bruscamente, la strada che lo costeggia. Si passa vicino a coltivazioni d’aranci, la gente li raccoglie già in questo inizio di novembre. Si supera una fattoria (dall’odore la porcilaia si avverte subito, anche se non si vedono i protagonisti!), si oltrepassa un binario con passaggio a livello che non si capisce bene sia ancora utilizzato e finalmente ci si avvicina veramente al fiume Ciane. Un ponte semi-inagibile, probabilmente per evitare troppe intrusioni, segna l’inizio del percorso vero e proprio. Qualche scalino da fare con la bici al seguito e poi la stradina in terra battuta è tutta parallela al corso d’acqua che tranquillamente si snoda nella campagna.

E lo spettacolo è veramente insolito, sembra proprio di attraversare un pezzo d’Africa in giardino: palme lussureggianti, piante di papiro che superano i 3-4 metri, vegetazione rigogliosa e qualche slargo del fiume a simulare piccoli bacini.

Ogni tanto un ponticello consente di osservare meglio il corso d’acqua. Colpisce soprattutto la pulizia e la splendida trasparenza delle acque. Fa veramente piacere che tutto l’ambiente rifletta questa attenzione e cura (purtroppo non così frequenti da queste parti, come avrò modo più volte di osservare). Incontro poche persone, un turista che scruta una mappa e confronta sul cellulare, alcune persone che lasciata la bici sul bordo si rilassano serenamente sulle rive, poche altre persone in bici.

eccolo, il papiro!

Più avanti il terreno si fa più fangoso, scontiamo le piogge di questi ultimi giorni, ci si inzacchera alla grande e la bici percorre metri e metri nel fango, se non nell’acqua. Infine, dopo un percorso di quasi 2 km si arriva alla sorgente, cioè il luogo in cui sgorga copiosa l’acqua. Qui una breve passerella consente di immergersi letteralmente in questo paradiso verde. Uno spettacolo fresco, naturale e veramente particolare.

Ritornando a casa cerco di visitare anche il vicino Tempio di Giove, ma dalla strada non si vede nemmeno, il cancello e chiuso e si resta a becco asciutto. Ma per oggi il papiro può bastare.

Ecco le foto di questa “caccia al papiro” lungo il fiume Ciane