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Categoria: migranti

Fosse un giorno come tanti…

Fosse un giorno come tanti…

Il 18 dicembre per l’OIM, uno dei numerosi servizi ed uffici delle Nazioni Unite, fondato nell’ormai lontano 1951 è il giorno del migrante. Forse il calendario è fin troppo pieno di ricorrenze simili (il giorno del Rifugiato promossa dall’UNHCR per il 20 giugno, la Giornata della Memoria e dell’accoglienza del 3 ottobre, la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 20 settembre… e ci fermiamo a quelle di rilevanza sovranazionale). Gli appuntamenti per sensibilizzare le persone non mancano, almeno sulla carta; quello che invece nella pratica manca ancora è una reale comprensione di questo fenomeno che ancora troppe persone considerano una “emergenza” (come quella climatica) che prima o poi passerà e una consapevole strategia per tentare di offrire risposte decenti a questa situazione..

Fino ad agosto mi trovavo a Siracusa, in Sicilia, dove il tema dei migranti assume una dimensione certamente più critica ed evidente. Strano che proprio nel primo anno del nuovo governo di centro-destra, che avrebbe dovuto risolvere in un modo o nell’altro questa emergenza, le cose siano andate in modo ben diverso dalle previsioni. Anzi, completamente in direzione opposta.

Basterebbe questa semplice tabella con il suo relativo istogramma a ricordare e tenere ben presenti i numeri. Dopo le cifre impressionanti degli anni dal 2014 al 2017, la pausa globale dovuta al Covid, ora ci ritroviamo a fare i conti con una nuova impennata; ho prelevato poco fa i dati dalla pagina ufficiale del Ministero dell’Interno, che quasi ogni giorno pubblica un esauriente report degli sbarchi, dati sulle età e sulle provenienze. Fino a pochi mesi fa questi numeri li vedevo facilmente riflessi nella società concreta, sia partecipando come volontario della Croce Rossa alle operazioni di sbarco come a quelle di trasferimento dei minori. Insomma, quando ti ritrovi al porto di Augusta o ad accompagnare minori in giro per la Sicilia (e anche nel resto di Italia), questi numeri si traducono in nomi e volti (ho ancora gli elenchi da qualche parte) e certamente fanno pensare.

Fanno pensare ad esempio a quale strategia di accoglienza si stia praticando, quali soluzioni siano previste, quali itinerari si possano offrire a questo fiume di persone che certamente non si fermerà. Quello che purtroppo ho osservato nella realtà è l’impietoso rimpallo di tante situazioni, cioé persone, che vengono spesso spostate e distribuite, senza un vero progetto. Nel frattempo si rallenta il processo e si cerca di bloccare questa deriva.

Nel luogo in cui mi trovo adesso, qui a Melilla, le cose sono completamente diverse. Dopo la pandemia e dopo il tragico “incidente” del 2022, i flussi sono praticamente scomparsi, cioè, hanno cambiato direzione e qui in città non si vede praticamente nessuna presenza migrante.

Pochissimi gli africani sub-sahariani di passaggio; nel nostro Centro Fratelli attualmente ne abbiamo uno solo, proveniente dalla Costa d’Avorio. Eppure il centro CETI di Melilla (centro temporaneo per gli immigrati) risulta pieno, con più di 160 presenze, ma si tratta quasi completamente di sudamericani che cercano in questo fazzoletto di terra una soluzione più rapida per la loro richiesta di asilo!

Il totale degli sbarchi in Spagna di quest’anno supera i 30 mila, e già dal primo trimestre evidenziava un calo di oltre il 36 % rispetto all’anno precedente ma il problema si fa sentire quasi esclusivamente nelle isole Canarie, non nel resto del paese; alcuni dati i possono trovare su questa pagina del Consiglio Europeo.

E così, tra una guerra e un rigurgito di attacchi nella zona del mar Rosso, una costellazione di stati Africani che confermano le tante crisi presenti nel continente (climatica, demografica, guerre civili, derive dittatoriali) pensiamo che il problema si possa arginare. Le previsioni dell’Onu sono facili da rintracciare e parlano chiaro: dovremo prepararci ad un secolo nomade e le cause di spostamento sono chiaramente in crescita, mentre le destinazioni sono per il momento ancora le stesse, in particolare il nostro mondo occidentale.
Una bella scrollata per iniziare a riflettere in modo diverso su questi prossimi scenari diventa sempre più necessaria…

Fosse anche una metaborgatara…

Fosse anche una metaborgatara…

Sono partito da Siracusa da ormai 4 mesi, ma per i ricalcoli del web ogni tanto le notizie che mi scorrono in prima pagina inseguono ancora le vecchie impostazioni. Così ieri mi è capitato così di rivedere immagini note, ma con un titolo che non mi aspettavo. Riguarda una piccola campagna di sensibilizzazione per il progetto Metaborgata, che si sta svolgendo proprio a Siracusa, e proprio nelle zone che fino a poche settimane fa erano anche le “mie zone” di vita quotidiana.

Il titolone di Repubblica era di quelli più orientati ad agitare le acque che a progettare un futuro migliore, ma sappiamo bene che questo è spesso il piglio normale dei giornali: polemica tra Curia e associazioni…, grosso modo il testo dell’articolo riprende quello pubblicato dalla testata locale di Siracusanews e anche da Siracusaoggi. Logico che il passaggio dalla ribalta locale a quella più ampia del paese intero può contribuire ad alimentare malintesi e l’inseguimento di qualche polemica. Il tutto a meno di una settimana dall’inizio dei festeggiamenti per s. Lucia, gesti antichi che ancora, dopo l’arresto prolungato a causa della pandemia, faticano a riprendere con il ritmo consueto della tradizione.

E l’importanza grande di s. Lucia si avverte quasi più al di fuori della Sicilia che dal suo interno. Caravaggio in un paio di mesi ha realizzato un quadro che ancora oggi, dopo secoli, desta ammirazione nella basilica a lei dedicata; poche chiazze di rosso luminoso, e una composizione insolita riescono a narrare un’esperienza che ha valicato i secoli. E ricordo amici delle valli bergamasche in attesa dei doni che la santa portava, sulla groppa del suo asinello proprio nella notte del 13. Per non parlare dei festeggiamenti svedesi, dei problemi di calendario che ne avevano consolidato l’importanza (il giorno più corto…). E’ una cornucopia di tradizioni e narrazioni.

Continuando nella lettura dell’articolo, vedo poi che trovano ampia eco le parole di Viviana, una delle promotrici del progetto, con il quale abbiamo direttamente collaborato. Avendo vissuto queste cose dal loro interno, la percezione che ne ho adesso, complice il distacco ormai completo e la lontananza, possono favorire alcune riflessioni.

Le immagini in questione erano già state diffuse da tempo e nelle attività svolte in piazza (sopra ho riportato alcune immagini dell’evento che si era svolto nel dicembre del 2022) lo scopo di creare appartenenza e collegamento tra le varie comunità era evidente; la scelta di questo messaggio simbolico, faceva leva proprio sul ruolo di un personaggio così emblematico e caro a tutti i presenti, ne avevamo anche noi una, nella nostra sede e ogni tanto ci veniva in mente di collegarla con l’altra immagine che avevamo scelto per accogliere le persone che ogni giorno entravano da noi, presso il centro CIAO.

Si tratta delle riproduzione della Madonna di Loreto riprodotta qui a fianco, realizzata dalla pittrice M. Gallucci, che avevamo contattato per poter inserire nel nostro ambiente questo simbolo che ci aveva immediatamente colpito. Tante le persone che coglievano in questa immagine un messaggio chiaro di accoglienza, di fragilità, di evocazione di un dramma con il quale molti, troppi, avevano a che fare. Senza nessuna polemica, perché di volti simili ne entravano ogni giorno, ciascuno con un differente carico di angosce e difficoltà.

Mi auguro semplicemente che l’impegno concreto di tanti e la buona volontà di tutti quelli che vedono in s. Lucia un esempio da seguire e non solo una tradizione da perpetuare prenda il sopravvento su questi incidenti di percorso.

Certamente, a volte la comunicazione si arrotola su piccoli corto circuiti, si informano prima gli amici, le associazioni che tanto sappiamo bene sono impegnate a lavorare senza badare troppo alle didascalie delle immagini, senza nemmeno badare troppo alle immagini, che per altre sensibilità possono risultare un po’ spiazzanti; forse coinvolgere fin dall’inizio i francescani della basilica (che dal 1600 vivono con dedizione questo impegno)… ma è anche vero che la realtà di oggi è notevolmente diversa da quella di un tempo, fosse anche solo il tempo di pochi decenni fa.

Oggi Siracusa, una città demograficamente in calo rispetto agli inizi del secolo, conta circa 116mila abitanti e gli stranieri residenti sono in discreto aumento, rappresentano praticamente il 5% del totale e corrispondono ad oltre 5.000 persone. La comunità straniera più numerosa è quella che proviene dallo Sri Lanka con il 23,7% di tutti gli stranieri presenti (e si tratta in gran parte di persone di religione cattolica), seguita dal Marocco (14,3%) e dalla Romania (8,0%). Meglio conoscerli i numeri, altrimenti si rimane sempre un po’ troppo sul vago, a questo link si possono scoprire altri dati in proposito.

Il 13 dicembre non è lontano, in quei giorni la piazza brulicherà di gente; da sempre le piazze sono luogo di incontro e di eventi, ricordo ancora quelli svolti pochi mesi fa per il conflitto ucraino e sappiamo bene quanto siano lunghe certe strade. Ci auguriamo di poter continuare a percorrere insieme questi sentieri sapendo che a volte può essere un po’ difficile e problematico. Come la vita, d’altronde.

Primo assaggio del Marocco: Nador

Primo assaggio del Marocco: Nador

E dopo qualche rinvio e l’attesa del comodo ponte del 12 ottobre (ottima idea quella di sottolineare il giorno della Hispanidad nell’anniversario della scoperta di Colombo; e io sono uno dei pochi che ha vissuto anche in Italia un 12 ottobre di vacanza scolastica, ma era …nel 1992, in occasione dei 500 anni!) eccoci pronti per la nostra prima escursione in terra di Marocco.

Con l’esperienza che hanno ormai da tempo i fratelli lasalliani, abbiamo deciso di lasciare la macchina vicino alla frontiera, passare a piedi e poi prendere il bus per andare fino alla città di Nador, il centro urbano più importante che si trova nei dintorni di Melilla. Con i suoi 150mila e oltre abitanti, le sue infrastrutture economiche, bancarie (è la terza piazza del Marocco, grazie alle rimesse dei migranti), minerarie (nei suoi pressi si trova il principale polo siderurgico nazionale, può ben considerarsi un “grande” centro. Si trova ai bordi di una grande laguna (il Marchica, che ancora risente dell’influsso spagnolo, visto che tutta la zona e la città stessa si sono sviluppate quando tutto questo territorio era protettorato spagnolo) e ospita un grande porto, sia per commercio che per il traffico di passeggeri. Sta vivendo una fase di rilancio e di progresso, sfruttando anche il territorio a profonda vocazione agricola. Insomma, ben più grande e imponente di Melilla, ma…

Ma dopo la nostra oretta tranquilla di trafila burocratica per entrare in Marocco (e non c’era nemmeno molta coda, di solito di ore ce ne vogliono almeno un paio) e dopo aver preso il bus (questo sì bello moderno e al passo coi tempi) poco a poco la realtà che ti si presenta lascia emergere tante differenze. A cominciare dai marciapiedi che ti obbligano a camminare con molta attenzione per non inciampare, alla segnaletica un po’ evanescente, alle insegne dei negozi molto naif, alle merci che strabordano sui marciapiedi, alle moschee affollate (era venerdì) con tanto di fedeli sui tappeti nelle zone antistanti l’ingresso… Ma per tutte queste cose la Sicilia mi ha sicuramente vaccinato 😉

La nostra però non era una visita turistica senza una meta precisa. A Nador abbiamo dei contatti molto stretti, tutti concentrati nella parrocchia dei gesuiti, che tra l’altro è l’unica parrocchia di tutta la città! Mi viene da pensare a Giugliano in Campania, che come abitanti è quasi equivalente! Una sola presenza cattolica che raccoglie la comunità dei Gesuiti e 2 altre comunità religiose femminili, quella delle Schiave della Bambina Immacolata, più note con il termine di Divina Infantita (povero me, mi ritornano le reminiscenze di Faletti con le sue Piccole Madri Addolorate del Beato Albergo del Viandante e del Pellegrino…), il gruppo più numeroso e poi le suore della carità (s.Vincenzo) che sono solo 2. Se ci metti che i gesuiti sono 2-3 i conti si fanno presto, una dozzina di religiosi in tutto. La chiesa cattolica è nel centro cittadino, presidiata costantemente dalla polizia, con una guardia e una automobile sempre presenti. A sancire l’ufficialità della presenza non manca il cartello che riserva almeno un parcheggio alla parrocchia. Ma basta leggere per comprendere che… Tra l’altro l’ingresso della chiesa è piuttosto defilato, due porte laterali, nessun ingresso centrale; aggiungi pure che il campanile c’è, ma in Marocco come in tutti i paesi musulmani è vietato l’uso delle campane!

Ma nemmeno questo mi sembra rilevante, il bello che ci attende è proprio dentro il sacro recinto che sembra così marginalizzato. Intorno alla chiesa si muovono infatti 2 realtà molto significative: il centro Baraka e l’ufficio diocesano per i migranti.

Il Centro Baraka mi ha subito fatto pensare al nostro Ciao siracusano, ma in un contesto ben diverso. Si rivolge soprattutto al mondo marocchino, in particolare alle donne ma non solo, svolge da anni un prezioso servizio di formazione e di orientamento lavorativo, offre corsi di alfabetizzazione, cucina, ristorazione, istruzione professionale (per elettricisti e idraulici), taglio e cucito, laboratori artistici, ceramica, informatica… si mantiene grazie a progetti internazionali e soprattutto grazie alle sovvenzioni e donazioni di grosse ONG spagnole, dalla Caritas a Mani Unite, dal centro sociale dei Gesuiti alla diocesi di Tangeri, a cui appartiene. Ovviamente conta su uno staff di operatori nutrito e numeroso, non solo su base volontaria, perché una simile macchina organizzativa ha bisogno di una stabilità istituzionale.

Oltre alle classi e alla formazione forniscono anche un pasto a circa 80 bambini al giorno e poi supportano questi bambini (quasi tutti a livello della primaria) con un rinforzo scolastico. Abbiamo curiosato un po’ nelle classi, insieme ad altri volontari di una ONG tedesca anche lei in visita (una cosa che capita spesso, ci dicono!), visitando i vari angoli di questa realtà, che. come dicevo, è tutta realizzata all’interno dello spazio della parrocchia. Insomma, immaginatevi una chiesetta al centro e sui due lati queste due realtà, perché non c’è solo il centro Baraka!

L’altra presenza è quella della Delegazione Diocesana per i Migranti (DDM) . Come ho già avuto modo di vedere in questo territorio marocchino non si “vedono” molti migranti come invece capita nella nostra Sicilia (e non solo a Siracusa); e questa assenza si avverte ancora di più con il dopo-pandemia; non ci sono sbarchi, non ci sono passaggi evidenti, la polizia e l’esercito marocchino svolgono molto bene il silente compito contenitivo assegnato dall’Europa. Ma qualcuno arriva comunque. Sui notiziari di Melilla era presente la notizia che durante il 2023 sono stati “fermati” 3000 migranti che hanno tentato di entrare in Europa a nuoto, fermati e gentilmente rispediti in Marrocco. Quindi un po’ di arrivi ci sono comunque.

In questo centro parrocchiale si fanno carico proprio di questa realtà, hanno messo a disposizione delle stanze, una decina, per una prima accoglienza di emergenza, uno sportello di aiuto legale, una presenza durante le ore del mattino, la possibilità di una doccia; così nel centro si incontrano numerose presenze di “passaggio”, famiglie o mamme con bambini piccoli. E tutta questa realtà viene portata avanti dalla comunità delle suore e da qualche volontario. Interessante ascoltare dalla voce diretta di chi vive questa esperienza quali sono gli snodi principali, le difficoltà, le sfide…

Ed è quello che abbiamo poi continuato anche dopo il pranzo. Per l’occasione erano presenti alcune suore messicane “di passaggio” e 3 novizie in fase di apprendimento della lingua (sembra paradossale, ma due novizie parlano il francese e una l’inglese, mentre la maestra delle novizie non conosce nessuna di queste lingue…); davanti a due spettacolari piatti di couscous e a una sfilata di dolci locali ci siamo davvero scambiati anche le rispettive esperienze.

Sembra proprio che proprio nelle periferie si riesca a realizzare e a respirare un’aria di chiesa più concreta e vitale; e non dipende certo dall’età, visto che a gestire le cose ci sono suore arzille di 80 e 92 anni! Anche in questo caso pensavo alle nostre inossidabili Fidelma ed Edoarda di Scampia. Quando la realtà gronda di emergenze, non è difficile tralasciare le cose meno essenziali e concentrarsi su quelle importanti.

Ci diceva padre ***, il gesuita che è parroco da non molto di questa realtà (in precedenza c’erano i francescani) che la domenica ci vuole poco a rendere viva la celebrazione. I numeri sono decisamente ridotti e l’assemblea si aggira di solito sulle 30-40 persone; ci si conosce tutti, la realtà è ben nota, le situazioni serie sono condivise da tutti perché in un modo o nell’altro si è tutti parte di questi vari progetti. L’intera diocesi di Tangeri conta 8 parrocchie, se guardo sul sito della diocesi di Siracusa trovo un elenco di oltre 40 parrocchie per restare leggeri… certo i numeri contano. Ma soprattutto le persone.

Al ritorno sr. Carmen (Figlie della Carità) ci dà uno strappo in macchina; lungo il percorso entra di straforo (ma lei conosce un po’ tutti qui e tutti la salutano, il velo della suora ha questo potere) in un resort con campo di golf e ville di alto livello, tutto pensato per i turisti stranieri, ma tutto praticamente vuoto (ci dice che il re ha quasi costretto ogni ministro a comprarsi uno di questi residence), sembra un paesaggio da favola e poco lontano c’è un’altra residenza lussuosa del Re, ma ci fa poi notare la presenza di diversi ragazzini, tra i 10 e i 15 anni, spesso seminascosti agli incroci, che aspetta o provano a salire su qualche camion nella speranza di riuscire ad eludere i controlli e giungere a Melilla. Praticamente non ci riesce nessuno; vivono qui in giro, da soli, spesso strafatti di colla e altre sostanze, lei ogni tanto porta qualcosa da mangiare… restiamo decisamente impressionati. Poi, prima di fermarci alla frontiera, ci fa vedere la “muraglia”, la grande recinzione, dalla parte marocchina. Una presenza costante di militari armati, in certi punti quasi ogni 25 m., ci mostrala zona del Barrio Chino, dove nel 2022 è avvenuto il massacro di numerosi migranti. In alcuni punti i due sbarramenti sono così vicini che si può parlare con le persone della zona opposta, ma solitamente c’è un ampio fossato che rende questa zona impenetrabile. Anche questa è Melilla, sull’altro lato di militari spagnoli non ne vedi neanche uno. Torniamo alla frontiera che, stranamente, è libera e velocissima da attraversare. Ultimo timbro sul passaporto ed eccoci di nuovo a casa. Giornata intensa di persone e di esperienze.

Solo qualche immagine di questa giornata a Nador in Marrocco, e molte foto riguardano il “passaggio” della frontiera a Melilla.

E la vita Caterina, lo sai…

E la vita Caterina, lo sai…

E la vita Caterina, lo sai
Non è comoda per nessuno…

Chissà in quanti si ricorderanno, da questa striminzita citazione di De Gregori, la canzone intera, una tenera ballata del 1982 (noi si era da quelle parti, a Roma); poi succede che nella vita alcune frasi, alcune melodie, ritornino come sottofondo, stuzzicate ad esempio da un semplice nome. Caterina, in questo caso.

Ho terminato da poco il testo Il Sorriso di Caterina, di Carlo Vecce, docente di letteratura italiana presso l’Orientale di Napoli, su una possibile ricostruzione dell’albero genealogico di Leonardo da Vinci. In pratica la “scoperta” della possibile madre. Ero rimasto colpito da un articolo in prima pagina sul domenicale de Il Sole 24 ore (uno dei miei hobby domenicali, anche qui a Melilla, grazie al web) che presentava questo libro, nato dalla scoperta di un documento da cui traspare la notizia che la madre del grande genio rinascimentale probabilmente era una schiava proveniente dalle zone selvagge intorno al mar Nero (la Circassia).

Stimolato da questo spunto mi sono imbarcato nella lettura, tra l’altro interessante per il linguaggio utilizzato, un misto di italiano scorrevole infarcito di (tanti, a volte troppi) termini tardomedievali, molti desunti dalle pratiche mercantili o notarili. Altra curiosità è la voce narrante, che cambia in pratica ad ogni capitolo (e non sono pochi!), dando così la possibilità all’autore di toccare corde e modalità sempre diverse, anche se il risultato sicuramente non è così definito, le voci sono molto omogenee, tra l’altro tutte al maschile, anche se i personaggi femminili sono numerosi nel libro. Passano così in rassegna abili mercanti, ex-pirati, commercianti, nobili decaduti, notai (il padre di Leonardo), amici facoltosi, gente umilissima… uno spaccato di quella società gravida dell’uomo nuovo del rinascimento.

A dire il vero la storia è molto romanzata e la ricostruzione che ne fa l’autore è certamente molto personale, anche se suffragata da diverse prove. Ma è come ricomporre un puzzle con pochi pezzi e nel dubbio ritenerlo un quadro ormai completo; in rete non è difficile, ad esempio, trovare altre recensioni ben più critiche e documentate di quanto un semplice lettore potrebbe dedurre dalla pura lettura.
Ma con Leonardo, fantasticare non è di certo un grave misfatto, anzi…

La trama potrebbe essere semplice, una spedizione di soldati alla ricerca di schiavi e conquiste raggiunge le zone della Circassia, intercetta un drappello di soldati guidati dal coraggioso capo locale, un certo Jacob che si era portato appresso anche la figliola poco più che undicenne e camuffata da maschietto. Il padre viene ucciso e il giovane ragazzo viene catturato, inizia così una lunga odissea che la vedrà percorrere un lungo itinerario mercantile, dalla Tana (la zona di giurisdizione veneziana e genovese del Mar Nero) a Costantinopoli, poi Venezia, la laguna e infine le zone vicino a Firenze, Vinci, per concludere.

Ad ogni capitolo il narratore è anche la persona incaricata o il padrone o il benefattore di questa giovane fanciulla, strappata ad un mondo tra il magico e l’agreste, il selvaggio e l’arcaico. Ha già un nome, Caterina, un piccolo anello dono del padre (di quelli provenienti in gran quantità dal monastero di s. Caterina in Terra Santa, a quell’epoca molto diffusi), probabilmente è anche battezzata, ma è ormai destinata al ruolo di “schiava”, una cosa umana che può passare di proprietà come un mobile o un terreno.

Difficoltà, problemi economici, piccoli e grandi soprusi, intrecciati agli eventi dell’epoca, sempre presenti sullo sfondo. La storia appare molto ben documentata, la narrazione è accurata e stracolma di dettagli, elenchi, riferimenti normativi alla legislazione dell’epoca… l’erudizione e la tecnica non mancano di certo al nostro autore!

Il penultimo capitolo vede scendere in campo nientemeno che il figlio, Leonardo in persona (e non è certo facile mettersi nei suoi panni!) che intesse con questa donna un rapporto sicuramente forte e struggente. Non scendo ovviamente in altri particolari, oltre a quel sorriso che rimanda alla Gioconda e che nell’invenzione dell’autore nasconde forse il ricordo felice della madre.

Quello che mi ha colpito di più è invece la riflessione finale dell’autore, che riletta alla luce dei tempi che stiamo vivendo trovo ampiamente condivisibile e illuminante, nonostante un tono quasi omiletico. E’ un’accorato e forte richiamo alla necessità dell’accoglienza: riporto direttamente solo un passaggio:

 […]  è la gloria più bella di questo nostro meraviglioso Paese, di questa penisola slanciata nel Mediterraneo come un immenso ponte di popoli, culture, civiltà, lingue e arti, che senza sosta nei millenni si sono incontrate e invase e mescolate, da Nord a Sud e da Oriente a Occidente, dall’Europa all’Africa e viceversa, terre e isole naviganti, migranti che arrivano e partono, assetati di vita e di conoscenza. La civiltà italiana non esisterebbe se qualcuno avesse chiuso i nostri porti.  […]  


Ovviamente sono molto di parte (la stessa parte con la quale mi ritrovo), ma penso di essere in buona compagnia.

Eccoci a Melilla, prima settimana

Eccoci a Melilla, prima settimana

Ormai ci siamo, è esattamente da una settimana che mi trovo qui a Melilla, Africa del Nord, quasi Marocco, propaggine della penisola spagnola…

Sono arrivato praticamente all’inizio di settembre, ancora piena estate, nonostante abbia già visto che la pioggia qui non è una rarità: abbiamo avuto due giorni di pioggia abbastanza intensa, certo, niente a che vedere con le inondazioni che hanno colpito altre località spagnole del sud, ma pioggia era. Controllando i dati storici sulle precipitazioni del luogo vedo che grosso modo non siamo tanto lontani da quelli di Siracusa…

La mia nuova casa è la sede dell’Istituto Lasalliano del Carmen, molto vicina al centro e al porto (qui, grosso modo, tutto è vicino al porto, fulcro ideale di questo territorio a mezzaluna che ha un raggio di poco più di 3-4 km), si trova già nella parte “alta” della città (che ha numerosi saliscendi collinari, come tante città di mare) e da qui in poco tempo si raggiungono facilmente i vari luoghi necessari: gli uffici centrali del Comune, il porto, la città vecchia, qualche bel parco, i primi negozi utili. Per il centro commerciale più grande occorre prendersi per tempo e camminare per un paio di km.

Faccio parte della comunità “Fratelli” di Melilla, un’esperienza di vita insieme che da qualche anno i maristi e i lasalliani portano avanti (e non solo qui, la prima è stata realizzata in Libano, la seconda a Bonanza e poi a Melilla). Siamo in 5 persone, due maristi (io e Ventura) e poi fr. Eulalio, il “decano” (con le sue 85 primavere), Jesus, l’animatore della comunità (qui si usa ancora il termine “direttore”) e Juan Antonio.

Sono impegnati con l’insegnamento nella scuola (l’istituto comprende primaria e secondaria ed è diretto da laici) e in varie altre iniziative solidarie, la principale delle quali inizieremo presto a conoscere: il progetto Alfa per l’alfabetizzazione di donne marrocchine… Qualche giorno fa c’è stata la prima riunione del corpo docente, con una simpatica animazione per l’avvio del nuovo anno scolastico e poi, nei giorni successivi, le classiche riunioni di inizio anno. Abbiamo partecipato anche io e Ventura che comunque non saremo direttamente coinvolti con l’impegno scolastico della scuola.

Con Juan Antonio sono già salito in collina per giungere alla “fine del mondo” zona-nord, l’ultimo punto di osservazione prima del confine marocchino, con mezz’ora di marcia ci si arriva, attraversando i quartieri marginali della città e passando per alcune zone forestate a pino marittimo; si arriva fino al mirador, il punto panoramico, da cui si osserva la costa e si può notare anche l’impianto dissalatore che fornisce acqua potabile alla città (come è facile immaginare, in questa piccola penisola che ospita Melilla, di torrenti ce ne sono proprio pochi e l’acqua è un problema serio). Abbarbicati alle rocce e in mezzo a scampoli di natura non proprio selvaggia, il panorama era suggestivo, l’unico rumore era quello del mare. Peccato che proprio davanti inizia quella muraglia in metallo e filo spinato che avvolge tutta la città…

Inutile nasconderlo, Melilla deve fare sempre i conti con la sua situazione molto particolare; è interamente circondata da questa rete protettiva, oltre la quale si dovrebbe stendere una porzione di terra di nessuno che però è stata assorbita immediatamente dal governo marocchino, che da parte sua ha eretto un’ulteriore baluardo a poca distanza. L’effetto è imponente e sicuramente drammatico. Fino all’epoca pre-covid, mi raccontano, nella città giungevano ogni giorno tantissimi lavoratori giornalieri dal vicino Marocco e poi anche molti che tentavano l’ingresso in Europa. Poi i numerosi assalti, l’ultimo dei quali nel giugno dello scorso anno, finito in tragedia. Adesso apparentemente è tutto calmo. Il numero di migranti in arrivo è calato drasticamente (dal migliaio a poche decine), ma la tensione è evidente. Non è un fenomeno solo locale, lo si comprende bene allargando la visuale a tutto il Mediterraneo. Una realtà che ormai conosco abbastanza bene. In fin dei conti siamo qui anche per questo.

Ma tra le tante cose da scoprire, Melilla è anche un posto davvero caratteristico. Ho solo iniziato ad esplorarla, con una passeggiata nella città vecchia. Ne vale davvero la pena.

Qualche immagine di questa prima settimana?
Ovviamente sono impressioni di settembre 😉