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Categoria: migranti

Di questo passo…

Di questo passo…

Certamente chi passa su queste pagine noterà che l’ordine e la logica per quanto riguarda i contenuti lasciano piuttosto a desiderare, ma sicuramente rispecchiano idee, interessi e impegni di chi queste pagine le ha sistemate. Ok, premessa debita e andiamo avanti.

Proprio ieri siamo stati a Catania; in quest’ultima settimana abbiamo sentito davvero di tutto per quanto riguarda i migranti. Dalle sottili disquisizioni semantiche sui migranti e/o naufraghi fino alle forzature linguistiche per equiparare il carico residuale a persone in carne e ossa (adesso questo adesivo fa bella mostra di sè sulla mia bici…).

Abbiamo assistito ad una tarantella di comunicati e notizie a volte inverosimili; ogni tanto mi mettevo a curiosare sul sito vesselfinder.com per vedere fisicamente dove si trovavano le navi, la Geo Barents, la Ocean Viking… (il servizio mostra in tempo quasi reale la posizione delle navi, uno strumento sicuramente utile e interessante, anche solo per vedere l’enorme traffico che solca ogni giorni i nostri mari). Ma sentire le notizie confuse dei migranti abilitati a scendere, quelli che invece dovevano restare… era veramente penoso.

Curiosando in rete si trovano poi tante e diverse opinioni. Da quelle più sbrigative che vedono in ogni tentativo di sbarco una sorta di invasione (a volte leggere i commenti alle notizie di certi giornali è illuminante, ad es. ecco qualche esempio di riflessioni su Il Giornale) alle testate che invece prendono posizioni più favorevoli verso l’accoglienza (da Avvenire, piuttosto comprensibile, fino a Repubblica), o che cercano di spiegare e mostrare con più evidenza i fatti e i dati, come spesso alcune pagine meno rumorose cercano di fare (avete mai visto ad es. le analisi de L’Essenziale?). Soprattutto i dati servono a capire meglio le proporzioni reali del fenomeno.

Quando vengono al nostro centro i ragazzi di Siracusa, ad esempio quelli dell’alternanza scuola lavoro, dopo aver saggiato le (spesso) pietose conoscenze geografiche dei ragazzi, che sparano cifre a caso in ogni direzione, gli ricordo che il Libano, con il suo piccolo gruzzolo di abitanti che sfiora i 6 milioni, ha accolto senza tanto baccano 1 milione di profughi siriani durante la tragica guerra, poi chiedo loro di azzardare le cifre per l’Italia…

Ce ne siamo accorti anche noi in questi giorni, che l’Italia sarà sì meta di sbarchi numerosi, ma poi la gran parte dei migranti varca i confini verso altre nazioni e a conti fatti i nostri numeri sono abbastanza gestibili, soprattutto adesso.

Una buona cosa sono quindi i fatti e una doverosa informazione e per non azzardare ipotesi, sempre meglio consultare il “cruscotto” del Ministero degli Interni sui migranti, che ricorda, ad esempio che il numero di sbarchi di questi giorni, a parte quelli imputabili alle navi delle ONG, è comunque in crescita costante. Da inizio anno siamo oltre i 90mila e probabilmente a fine anno si giungerà non lontani dal doppio degli sbarchi del 2021 (che erano quasi 58mila). La città dove mi trovo, Siracusa, conta circa 130 mila abitanti… La sola Sicilia sfiora i 5 milioni.

Sarebbe bello poter condividere il tweet di un politico che ci ricorda “Nel 2022 sono già oltre 1300 le persone morte o disperse nel Mediterraneo. Un 12% dei sopravvissuti sono stati salvati dalle Ong. Loro salvano vite laddove l’aiuto da parte degli Stati manca” e pensare che sia di casa nostra, invece è dell’ambasciatore tedesco in Italia…

Per questo sabato eravamo anche noi a Catania, piccola goccia in mezzo ad altre piccole o grandi realtà. I migranti erano ormai sbarcati tutti, da diversi giorni, qualcuno poteva pensare che marciare insieme servisse a poco. Ma tenere desta l’opionione pubblica su questi temi non è cosa da poco. Verso le 16 ci siamo ritrovati nella zona del porto, ciascuno sciorinando il proprio striscione e salutando gli amici. Tante le presenze, dai Cobas a S. Egidio, da Rifondazione al centro Astalli, insomma, presenze con origini e idee anche molto diverse su tanti argomenti, ma con l’unica certezza che queste persone sulle navi non sono certo “vacanzieri” in cerca di comode evasioni. Dopo averne frequentati molti i discorsi un po’ superficiali che spesso si sentono in giro mi sembrano veramente poca cosa.

Il nostro corteo si è tranquillamente messo in marcia per le vie di Catania, risalendo dal porto, giungendo al Teatro Bellini, fino alla centralissima via Etnea, per giungere nei pressi della Prefettura. Pochi i discorsi da ascoltare e condividere, se eravamo lì era per una convinzione che non aveva certo bisogno di altri commenti. Così nemmeno l’acqua che verso le 17 ha cominciato a bagnarci tutti ha dato molto fastidio, visto che eravamo ormai alla conclusione.

Certo, come per il No al memorandum che è stato tacitamente rinnovato, visto che nessuno in Parlamento ha più detto nulla al proposito, anche queste manifestazioni (venerdì una simile era stata fatta a Roma) possono lasciare il tempo che trovano. Ma credo sia meglio un gesto del genere che un semplice sabato di shopping senza particolari obiettivi. Ricordare e ricordarci quali sono i problemi reali di molte persone è un modo per tenere alta l’attenzione. Anche quando poi le scelte e le decisioni di altri possono andare in direzioni più o meno gradite. Il silenzio su questi temi sarebbe un gesto decisamente complice…

Non eravamo tanti, e nemmeno tutti giovani (anche se di giovani ce n’erano) e neanche troppo rumorosi, ma presenti sì.

Per concludere, allora, giusto qualche foto di questa manifestazione catanese.
il video sulle pagine di Repubblica

A cosa serve uno sportello…?

A cosa serve uno sportello…?

La parola “sportello” sta rimbalzando molto di frequente, non solo nella mia testa ma anche tra i miei vicini più “stretti”, insomma, tutta la comunità, visto che al momento dovrei essere coinvolto in almeno 2 o 3 di queste iniziative e questo logicamente ha i suoi risvolti, di tempo e di attenzione, che coinvolgono tutti gli altri.

Ad esempio mi viene in mente quanto abbiamo realizzato, per lo sportello del Polo Sociale, nel caso di Aradia, una bambina cingalese di 9 anni. Il papà era qui in Italia da numerosi anni e come spesso accade si ripete la storia del genitore che viene prima ad esplorare il territorio e le opportunità, poi, gradualmente, riesce a trasferire il resto della famiglia. Potete immaginarvi le difficoltà e la distanza, separarsi dalla famiglia per 2-3 anni (quando va bene!) prima di coronare questo sogno.

Nel caso del papà di Aradia le cose sono andate abbastanza bene, ha trovato lavoro, una sistemazione e finalmente ha potuto trasferire il resto della famiglia qui a Siracusa. Nel mese di febbraio è arrivata così anche la piccola Aradia, che aveva già frequentato regolarmente la scuola in Sri-Lanka ma ora si preparava ad un grande passaggio; scuola nuova, amicizie nuove, nuovo quartiere… Non è un passaggio da poco.

Il papà così aveva chiesto alle scuole vicino alla sua residenza, ma vuoi per le difficoltà di linguaggio (“Compili il modulo allegato che può scaricare online dal sito della scuola oppure richiedere formalmente alla segreteria, questa è la procedura…”), vuoi per la poca conoscenza dei tempi e delle possibilità, la scuola aveva risposto che non c’era posto e che se ne poteva riparlare per l’anno prossimo. Spesso, a queste risposte, ci si rassegna e si aspetta.

Per fortuna la rete di contatti che ormai abbiamo steso sul territorio ha portato questo genitore a chiedere anche a noi se era possibile aiutarlo in questa impresa. Così ci siamo subito attività, con Maria e gli altri amici dello “sportello Polo Sociale”. Ci sembrava strano che la scuola avesse dato una risposta negativa, ma conoscendo la realtà locale abbiamo subito cercato di contattare la dirigente della scuola. Spesso i contatti diretti con i responsabili sono più efficaci di altri percorsi. E infatti, nel giro di poche chiamate, siamo riusciti a fissare un appuntamento. Intanto avevamo approfondito la conoscenza della famiglia, vista la bambina, che non aspettava altro di poter finalmente entrare nella nuova realtà.

L’incontro con la dirigente e le docenti della scuola si è rivelato molto cordiale e accogliente; accompagnando il genitore, cercando semplicemente di mediare, completando il discorso e chiarendo gli aspetti difficili, le difficoltà si sono rivelate superabili. La bambina è già ben scolarizzata e la conoscenza dell’inglese che già conosce, anche se piuttosto semplice, permetterà alle maestre di interagire senza la necessità di un mediatore linguistico (e se proprio servisse, il nostro sportello potrebbe persino fornire alcune ore di questa mediazione, se fosse indispensabile). Alla fine del dialogo la segreteria si è messa subito a disposizione, abbiamo aiutato il genitore a compilare il modulo di iscrizione (ogni scuola ne ha uno differente, e le pagine spesso scoraggiano il genitore straniero); e avendo ormai esperienza dei nomi cingalesi, lunghissimi e quasi impronunciabili per noi locali, l’impresa non è sempre facile. Ma ci si riesce.

Il saluto finale della dirigente è stato davvero incoraggiante: “Allora, domani ci vediamo a scuola”.

“I love this school”, è stata la risposta spontanea della bambina.

Insomma, nel giro di poche ore la situazione si è risolta in modo positivo. La bambina sta già frequentando serenamente le lezioni nella sua nuova classe (in considerazione della sua età e delle difficoltà iniziali della lingua, al momento è stata inserita in una classe seconda; in seguito si vedrà se confermare o modificare questa scelta. Ma intanto il “diritto alla scuola” è assicurato.

Naturalmente il lavoro non è concluso: prossimamente ci siamo ripromessi di valutare questo inserimento e in seguito dovremo aiutare ancora il genitore per l’iscrizione dell’altro bambino che nel prossimo anno inizierà la scuola. Ma gli inserimenti scolastici sono un po’ come le ciliegie, uno tira l’altro e avere una figlia inserita nella scuola semplifica tutto il resto.

Se capitasse a noi…

Se capitasse a noi…

Ho incontrato i libri di Nicolò Govoni un paio di anni fa e sono rimasto colpito dalla sua traiettoria umana, in piena “ascesa” e per molti versi davvero esemplare. Da un semplice (semplice? mica tanto) inizio come volontario fino a trasformare questo suo desiderio in una forte decisione che ha letteralmente trasformato la sua vita. Continuo a seguirlo su Instragram (uno dei pochi che guardo con attenzione) e nei vari eventi in cui rintraccio la sua presenza. Mi sembra un esempio davvero luminoso di come si possa prendere sul serio la vita e tutto ciò che le gira intorno, senza lamentarsi di quanto male vadano le cose, ma rimboccandosi le mani e cercando di fare la propria parte.

Il suo primo libro, letto un paio di anni fa, racchiudeva la sua esperienza vitale; una sorta di diario che spiega anche la nascita dell’organizzazione umanitaria Sill I Rise. Di solito non dedico molto tempo o spazio alla narrativa, ma l’idea di curiosare sul suo recente romanzo, Fortuna, era ben motivata. Mi sono ben guardato dal leggere qualche recensione prima (anche se le stelline sintetiche sono sempre e comunque un richiamo, un canto di sirena), ma dopo pochi giorni di lettura, ritagliando il tempo quando capita, penso di aver impegnato bene questi momenti. Sarà l’affinità dell’impegno, la sintonia di idee, ma la storia è interessante…

All’inizio del racconto si fatica, volutamente, a situare bene i confini e individuare i personaggi. Chi sono queste 3 persone sul barcone, poi sbarcate, separate, profughe in qualche remota parte del mediterraneo? Avendo toccato un po’ con mano questa realtà, uno si immagina subito un parterre di volti africani, di profughi asiatici… quando invece, dopo alcune pagine, si fa strada la consapevolezza che i migranti di questo volume provengono dall’Italia, da una Milano da poco colpita dai bombardamenti (addio, povero Duomo), una società dilaniata dalla guerra civile e da una morte grigia che reclama il suo tributo di mascherine e contagi, comincia a farsi strada una domanda: e se tutto quello che riguarda i migranti di oggi dovesse toccare a noi? Se dovessimo essere noi i passeggeri e protagonisti dei naufragi, dei respingimenti, delle assurdità burocratiche che spesso vedo ripetersi nei confronti dei nostri ragazzi del Gambia, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Bangladesh…?

L’idea di un ribaltamento totale (noi al posto di “loro”) viene spesso utilizzata per innescare discussioni e riflessioni, ma non mi risulta che finora fosse il perno di qualche romanzo d’attualità, è comunque una idea che regge e stimola la riflessione.

La vicenda si concentra poi sull’enorme campo profughi in cui i nostri 3 protagonisti vengono inseriti; un centro diretto dalle grandi organizzazioni umanitarie, raccolte sotto l’egida di una Fortuna corporation. In questa sede i migranti sono divisi per provenienza e troviamo quindi gli italiani, i francesi, i greci, i tedeschi… Sarebbe interessante immaginare proprio noi, con la nostra storia e cultura, nei panni dei profughi per guerra, carestie, epidemie. Cosa succederebbe?

Nel campo si agitano diverse iniziative e strategie (niente spoiler) ma i protagonisti poco alla volta si trovano impegnati in uno sforzo di liberazione che si concluderà, con numerosi colpi di scena, in uno scenario non del tutto rassicurante, ma per lo meno in grado di scrollare di dosso la sensazione di essere tutti parte di un grande meccanismo difficilmente superabile.

Nel romanzo mi sembra di cogliere alcune parti un po’ ingenue e alcuni meccanismi forse un po’ precipitosi (ragazzini che sanno a malapena leggere che in poche settimane diventano abili hacker in grado di riconfigurare un sistema informatico, giovanissime fashion-blogger in grado di affrontare situazioni critiche e rivolte popolari, capi politici e masse di gente che agiscono all’unisono in modo un po’ semplicistico, ragazzine quindicenni che si esibiscono in discorsi di feconda oratoria…) ma mi sembrano peccatucci veniali che non tolgono al testo la capacità di suscitare domande. E le domande che Govoni propone servono per formulare le risposte che oggi servono. Nella chiusa del libro l’autore traccia una breve sintesi del suo ultimo impegno, dalla visita al campo profughi di Lesbo, alla fondazione di una prima scuola per difendere i diritti dei minori, poi la fondazione di una simile scuola in Turchia e finalmente in Kenya, dove oggi l’associazione di Govoni è in grado di offrire ai bambini persino un baccalaureato prestigioso a costo zero. Penso che questo traguardo sia stato raggiunto passando tra i tanti problemi che il libro stesso affronta e presenta in modo romanzato. Un testo originale e capace di far riflettere sui meccanismi che oggi dirigono e conducono le danze sul tema delle migrazioni.

Complimenti all’autore e non solo per il libro…

Piccola kermesse domenicale

Piccola kermesse domenicale

Domenica 27 marzo abbiamo vissuto alcuni momenti speciali, con tutta la nostra comunità marista, su invito del centro missionario diocesano. Insomma, ancora una volta p. Salvo ci ha “ingaggiati”. Ma ben vengano queste iniziative…

Si trattava dell’evento “Missio-fest” che da un paio di anni era rimasto chiuso nel cassetto (nelle nostre narrazioni ormai esiste un pre- e un post-lockdown o era-covid!). Con un largo battage e contatti mediatici, quest’anno si è ripartiti, finalmente in presenza e con un bel po’ di gente. A dire il vero i prenotati erano oltre 200 ma poi, complice una giornata che minacciava pioggia, tempo incerto e chissàcosaltro, i presenti erano decisamente di meno, diciamo una metà.

La mattina della domenica prevedeva un itinerario molto semplice: una chiesa disponibile per l’adorazione, un’altra con la presenza di sacerdoti per il sacramento della riconciliazione e un paio di luoghi per ascoltare delle testimonianza. Una coppia fidei donum, una comunità di missionari di Modica (proprio della comunità dove ora risiede p. Gigi Maccalli, che però non era presente in questa occasione) e poi… noi della comunità Marista, ad accogliere i gruppi nella chiesa di s.Giuseppe. Con la scusa che i maristi sono chiaramente abbinabili con la scuola, il nostro simbolo indicatore era belle che pronto: uno zainetto, libri e quaderni e …scuola sia!

Intanto in piazza Minerva, a fianco della cattedrale, gli stand del CSI per consentire minitornei di volley, di calcio, di minibasket. Più mini di così…

Era il giorno in cui arrivava anche un nostro ospite, fr. Orlando, un fratello colombiano, provinciale della Norandina (Ecuador, Colombia, Venezuela…) e Ricky era andato ad accoglierlo a Catania, ma sarebbero arrivati in tempo almeno per l’ultimo incontro.

la comunità (quasi tutta) con fr. Orlando

Schema semplicissimo: con Nina e Kike dovevamo semplicemente spiegare chi sono i maristi, come mai sono finiti qui a Siracusa e soprattutto qual è oggi il nostro impegno “missionario” nei confronti dei migranti. Quando si parla delle cose che si fanno ogni giorno e che si condividono insieme, non è molto difficile coordinarsi. E infatti nei 2 momenti di incontro non ci è stato difficile ricordare e presentare queste cose.

Giunti al fatidico problema del mezzogiorno, ci siamo incontrati con gli altri testimoni nei locali vicini a piazza Minerva, proprio dove ha sede l’Info point e la sala con la proiezione della ricostruzione in 3D dell’antica Siracusa (che ci hanno gentilmente offerto in visione). Un pranzo tranquillo con gli altri testimoni, uno scambio di esperienze e di contatti anche per noi.

Subito dopo l’organizzazione prevedeva un momento di festa e musica, aperto da una performance degli alunni dell’Inda, sul tema fin troppo attuale della guerra, anzi, di tutte le guerre.

E subito dopo, nel particolare scenario del cortile dell’Arcivescovado, con le colonne greche e romane a fare da sedili (insolito assieparsi su cimeli di 2000 anni fa, con la nonchalance dei giovani d’oggi), il concerto del gruppo Basic (alla chitarra il don, ovviamente), con una notevole voce solista femminile e un repertorio abbastanza rockettaro (a iniziare dalla cover di apertura dei The Sun, l’ormai conosciutissima Onda). Peccato per le goccioline di pioggia che consigliavano di restare ai bordi e non sotto palco ma l’effetto era discreto. Mi aspettavo quasi che a fine concerto si trasferissero direttamente in cattedrale, cambiare repertorio, ridurre i distorsori e passare ai canti della messa, ma … era stato previsto anche qui un ottimo intervento di un coro più “liturgico”.

La messa a conclusione della giornata era ovviamente presieduta dal vescovo. Un segno di attenzione e di partecipazione non scontato e quindi positivo. Ma non chiedetemi della predica; sicuramente il nostro Vescovo è un esperto biblista, ma il dono della parola non si alimenta solo di buone conoscenze. Ma siccome è la somma che fa il totale, il risultato finale mi sembra comunque positivo. Ce ne eravamo già accorti, insieme a Nina, la sera prima, durante la veglia sui martiri missionari, dove l’intervento del vescovo non aveva lasciato particolari tracce, ma il contesto aveva parlato in modo esauriente.

Crogiuolo di culture…

Crogiuolo di culture…

Momento interessante, ieri, legato all’attività che stiamo portando avanti come “sportello” delComune. Fose il nome è un po’ troppo altisonante, visto che si tratta di un’attività che faremmo comunque con il nostro centro del Ciao, ma siccome stiamo partecipando ad un progetto più ampio, dire ad un dirigente che “…mi manda il Comune”, a volte risolve alcuni problemi di fondo.

In pratica stiamo cercando di semplificare ed aiutare le persone straniere a iscrivere i propri figli alla scuola italiana e da pochissimo abbiamo anche saputo che questo “sportello” si dovrà occupare dell’emergenza Ucraina. Il tutto nella solita gestione un po’ siciliana che non sempre brilla per efficienza, chiarezza e affidabilità. Basti pensare che questo progetto è operativo da un paio di mesi ma… nessuno dei partner ha ancora potuto firmare uno straccio di convenzione! Intanto noi andiamo avanti, fornendo un piccolo supporto (anche di baby-sitting per consentire alle mamme troppo impegnate con figli piccoli di poter imparare l’italiano e dovreste vederli come si divertono).

Ma veniamo alle cose concrete. I profughi ucraini stanno arrivando anche qui, negli angoli remoti della Sicilia e Siracusa è decisamente lontana, ma le connessioni tra le persone non si preoccupano quasi mai della carta geografica. Dopo i primi due bambini iscrittti in prima media giorni fa, abbiamo aiutato un’altra mamma a iscrivere la piccola D. presso la scuola di s. Lucia. La mamma è una docente e quindi si sbroglia bene tra moduli e form da completare, a parte la lingua diversa, basta davvero un po’ di inglese per risolvere quasi tutto. E poi, in questo momento, anche se non sembra elegante dirlo, ai profughi dell’Ucraina tutti stanno offrendo facilitazioni e ponti d’oro che gli altri rifugiati non possono sognarsi! Abbiamo tutti negli occhi e nel cuore le scene di morte e distruzione della guerra in corso, forse abbiamo partecipato anche noi alle manifestazioni no-war; ma adesso si tratta di andare al concreto.

E infatti ieri mattina sono andato presso la scuola con la mamma e la figlia dell’Ucraina, ma insieme ad un atro nucleo familiare, ben diverso, proveniente dall’Afghanistan. Lo zio e il nipote in attesa da mesi, esattamente da settembre 2021, di poter mandare il ragazzo a scuola.

Si tratta in questo caso di un problema più delicato e complesso: il bambino è stato portato via dal paese durante gli ultimi disordini dell’estate scorsa; ha perso i genitori e la situazione caotica non ha certo consentito di raccogliere o chiedere i documenti necessari per l’emigrazione. Morale della favola, tra un rifiuto e la richiesta di un documento ineccepibile, a marzo il ragazzo è ancora parcheggiato in un limbo kafkiano, senza poter fare nulla, senza incontrare coetanei, senza poter iniziare un percorso di integrazione, di apprendimento della lingua, niente. L’unico tramite linguistico è lo zio, in Italia ormai da anni, ma il ragazzino a malapena si presenta con un “ciao”.

E per finire in bellezza dovevo anche presentare l’ultima richiesta, per una ragazzina di 12 anni del Marocco, arrivata da pochi giorni qui in Italia; relativamente fortunata perché il fratellino era arrivato in precedenza ed è già regolarmente iscritto alla scuola primaria. Un pizzico di francese (ma davvero poco), per chiarire i vari aspetti con la mamma.

Insomma, quando la dirigente mi ha visto per l’ennesima volta (ma ormai ci conosciamo e quindi capisce subito di cosa si tratta) avrà pensato: “Ancora un altro?”. Invece no, questa volta sono tre.
Per fortuna che la disponibilità anche in questo caso è stata molto cordiale e disponibile.

Anche le maestre e le insegnanti che si incontrano lungo le scale, e con alcune ormai c’è una discreta conoscenza, si ritrovano tutte d’accordo che i “ponti d’oro” per gli Ucraini non possono farci dimenticare le difficoltà degli altri, spesso apparentemente insormontabili.

I risultati sono positivi e rapidi. Oggi, venerdì, la ragazzina ucraina è già entrata a scuola; per il ragazzino afghano dobbiamo completare la documentazione ma la determinazione della dirigente è chiara: si tratta di un diritto del ragazzino da rispettare e mettere in atto. Per la ragazzina del marocco è solo questione di recupero dei documenti necessari per avviare l’inserimento. Per tutti loro sarà una bella sfida, perché entrare in una classe nuova è sempre un’avventura piena di incognite: affascinante ma anche difficile.

Quando usciamo dalla scuola siamo tutti un po’ più sollevati. Parlo con lo zio afghano che ha accompagnato il nipote, lasciando letteralmente a metà il suo lavoro: è un muratore, specializzato in muretti a secco, uno di quei lavori dove di siciliani ormai non se ne vedono più, mani segnate dalla polvere, dal lavoro. Commenti irripetibili sulla situazione del suo paese, segni di stanchezza per l’attesa così lunga, la burocrazia da seguire… lungo la strada incontro il papà eritreo di un altro bambino che conosco bene. Sarà così il nostro futuro, molto variopinto, pieno di lingue e di confusione, ma sicuramente più variegato. E’ l’occasione che abbiamo per costruirlo come dovrebbe essere, senza paure e timori di perdere qualcosa di “esclusivamente nostro”. Un crogiuolo di culture, insomma, dal risultato migliore della somma delle parti.

E comunque l’avventura è solo all’inizio, perché dopo servirà il supporto, l’aiuto per i compiti, un sostegno per le tante attività e pratiche collegate alla scuola. Di scontato e facile è rimasta solo la forza di gravità, tutto il resto è fatica e conquista… Ma so che ne vale la pena.