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Pecore, pastori e rinoceronti

Pecore, pastori e rinoceronti

Da quanto? Da quanto tempo non facevamo insieme il presepe e l’albero, qui a casa nostra, una Sanremo dalle giornate terse e ormai invernali. Quei giorni che ruotano intorno all’Immacolata, tra una festa milanese per il 7 e un compleanno di mamma che si celebra proprio il 9. E così, vivendo tranquillamente alcuni momenti senza impegni particolari, Massimo si è attivato e pervaso dal sacro fuoco dell’entusiasmo ha fatto la proposta.

Facciamo l’albero, e il presepe. D’altra parte a Napoli e dintorni se non hai già allestito il “grosso” del presepe per l’8 dicembre siamo già un po’ fuori tradizione. Se no ti riduci al 23 dicembre, a tirar fuori frettolosamente qualche statuetta, una casina accartocciata, brandelli di muschio da smistare sul tavolino e un groviglio di lucette. Quest’anno avevamo il tempo giusto e ci siamo messi al lavoro. Perché dietro al presepe c’è più vita che pecore, più fascino che lucette…

Mi vengono sempre in mente a questo proposito i racconti di Natale di Buzzati. Da buon ateo devoto (sua la preghiera” Dio che non esisti, ti prego…”). Pensavo che qualcuno si fosse dedicato a raccogliere tutti i racconti che ha disseminato nelle sue opere; l’unico testo che ho trovato velocemente in giro è solo un generico “E se poi venisse davvero? Natale in casa Buzzati…“. Non so se ce ne sarebbe da compilare una raccolta ma ne ho usati spesso in occasioni natalizie; dagli antichi fotomontaggi, alle diapositive, ai powerpoint. Ce n’è troppo di Natale, il prete don Valentino che disperato viene mandato dal vescovo perché nella fredda cattedrale il buon Dio si è stufato di aspettare gli uomini, oppure i due bizzarri alieni che interrogano il prete chiedendogli spiegazioni mistiche sugli umani… E la sua sensibilità supera di certo la poca fantasia di tanti affezionati al presepe.

Ma torniamo alle scatole del presepe. 3 per l’esattezza. Qualcuna raccoglieva, come tesori di un museo chiuso da tempo, le statuine che forse avevano segnato i miei primi presepi; qualcosa come 50 anni fa, verrebbe quasi da dire “bei tempi”. Così con Massimo abbiamo messo sul tavolo tutti i personaggi presenti. E qui cominciano i problemi. Passi per i 2 sangiuseppe e il quarto remagio, ma che cosa ci faceva un rinoceronte tra gli animali del presepe? Aveva marcato male all’apello delle pecore, era invidioso delle due corna del bue? A scanso di equivoci lo abbiamo radiato dal presepe, seduta stante, e rispedito allo zoo, cambiandogli definitivamente di scatola. Le pecore erano in buona forma, una mezza dozzina. C’era persino il pastore della meraviglia, quello che vede la luce e rimane estasiato; deve arrivare di gran corsa l’angelo a svegliarlo e dirgli di sbrigarsi ad andare con gli altri. Anche per gli angeli eravamo messi bene, un paio al completo e poi il mistero di un paio di ali che non siamo riusciti a rifilare a nessuno, nè ad un pastore un po’ anonimo e tantomeno a una mugnaia con la sporta sul fianco. Infine un agglomerato di casette da farci un rione sanità in miniatura.

Insomma, i pezzi c’erano e per non far torto a nessuno li abbiamo sistemati quasi in fila indiana, salomonicamente divisi a metà tra destra e sinistra, a scanso di rimpasti politici. Ora toccava all’albero. Eravamo convinti di avere il nostro bel spelacchio da sistemare, in due pezzi, ma poi ci siamo resi conto che erano due mini-alberelli. E anche in questo caso abbiamo optato per la lex difficilior, scegliendo il migliore, cioè quello con la punta meno svampita. A questo punto abbiamo pianificato in 3D un attento studio di masse e volumi e sistemando alcuni mobili che nei prossimi 20/30 giorni potevano benissimo essere messi in quarantena, ci siamo avviati a completare l’embrione dell’opera.

Insomma, tra una reminiscenza dei tempi passati, un’autopsia di qualche statuina malconcia e l’analisi semiologica dei testi per avvalorare ardite tesi ermeneutiche (“se i pastori e le pecore dormivano all’aperto non poteva certo essere il 25 dicembre….”) abbiamo dedicato un bel momento della serata a questa preparazione. Mamma, in disparte, apprezzava il lavoro, fornendo a volte qualche consiglio per riutilizzare tutto l’utilizzabile. Si fa Natale anche così.

Ci mancano solo un po’ di lucette, qualche fascia di contorno e qualche pianta (mica può mancare una stella di natale a suggerire la selva, o lo spatifillo in gran forma, piante sicuramente abbondanti sulle brulle colline di Betlemme, a oltre 900 m. slm!). Intanto i protagonisti principali aspettano per l’entrata in scena clamorosa della notte santa.
Così alla fine ci siamo fermati a contemplare il risultato. Certo, manca ancora tempo e manca ancora molto per sistemare le cose al posto giusto… Ma anche questo aiuta a contemplare in anticipo il mistero di questa vita che continua a nascere in tanti modi diversi e luoghi impensati.

Qualche foto dei preparativi di albero e presepe aspettando Natale

Da notare che siamo a Noto…

Da notare che siamo a Noto…

Forse i giochi di parole con questa splendida cittadina siciliana sono fin troppo facili, ma semel in anno… E visto che domenica scorsa eravamo proprio a passeggiare per le strade di questo capolavoro del barocco siculo, mi viene proprio da pensare che l’ipotesi di scrivere un po’ più spesso su queste pagine è proprio un pio desiderio!

Eravamo con la comunità al completo (ormai il buon Gabriel è nella fase di transizione per lasciare Siracusa, mancherà fino al 29 novembre e partendo il 16 dicembre stiamo anche cercando di lasciarlo un po’ più libero…) e con c’era anche il provinciale, fr. Juan Carlos, che come me non era ancora mai stato in questa località. Tutti ne parlano, le guide la esaltano e allora, andiamola almeno a vedere.

Diciamolo pure, quando io vado a vedere qualcosa comincio con il mettere in pausa le lancette dell’orologio, il tempo della visita è sempre molto relativo e vagare anche senza troppe mete è una cosa che faccio di default; ma non pensano la stessa cosa i miei compagni di viaggio… visto che in meno di un paio di ore siamo persino riusciti ad andare da un’altra parte. Ma è il bello del vivere insieme condividere sensibilità così diverse. Di sicuro se non avessero dovuto aspettarmi ci avrebbero messo poco più di mezz’ora 🙂

In pratica il bello di Noto si concentra lungo i fianchi della strada principale, corso Vittorio Emanuele e il parallelo, corso Cavour (con tutti questi piemontesi mi sento quasi dalle mie parti…); il nuovo asse scelto dopo il rovinoso terremoto del 1693 (che ormai ritrovo in tutte le zone che sto cominciando a conoscere, una sorta di “nuovo inizio” anche qui) per ricostruire la città distrutta, scegliendo coraggiosamente un nuovo sito e cambiando del tutto zona, spingendosi i verso il mare. Nobili e congregazioni religiose sono stati i promotori. E comincio anche a capire, come mi spiegava P. Nuccio, che qui il termine “don” per i preti è poco usato, prevale il “padre”, sicuramente retaggio del tempo incui la gran parte dei sacerdoti erano tutti di qualche congregazione e ben sparuto era il clero diocesano.

Passeggiando per queste ampia strada, isola pedonale e discretamente affollata di turisti, anche in una giornata come questa domenica piuttosto grigia e minacciosa di vento e pioggia, è davvero uno spettacolo. Insomma, la cittadina è decisamente coerente in questo suo centro, dal colore della pietra (estratta in quel di Siracusa, siamo a meno di 30 km) allo stile dominante. Niente accozzaglie di palazzi o soluzioni architettoniche improvvisate, si respira armonia e buon gusto. E questo barocco non infastidisce, non ha un volume eccessivo, ben si adatta al clima e alle persone…

Nella cattedrale, proprio all’ingresso, spicca la croce realizzata qualche anno fa con il legno dei barconi dei migranti. Adesso che sto cominciando anch’io a toccare con mano le persone che questa vita l’hanno vissuta davvero e hanno superato in modo quasi incredibile le traversie di un viaggio biblico, alla commozione sento che deve subentrare l’impegno perché questo rimanga nel passato e non torni a verificarsi nel futuro.

Finiamo il percorso vicino all’immancabile monumento a Garibaldi, anzi, al balcone dal quale, come sempre, ha incitato la popolazione contro la tirannide (per il momento non addentriamoci in terreni scivolosi); poco lontano un giovane nordafricano con chitarra inonda la strada a ritmo di raggae, nemmeno troppo fuori tema con le sue sincopi e il ritmo pittoresco.

Ritiro una mappa della città per una prossima visita, raccolgo qualche squarcio non solo dell’oggi, scopro con piacere che anche qui si svolge una infiorata (l’imprinting di quella di Genzano che porto nella memoria non lo posso certo cancellare), per una prossima visita ci sarà materiale a sufficienza per consolare la fretta di quest’oggi.

E come da programma, ecco un po’ di foto scattate a Noto in questa giornata

Dal balcone del vescovo

Dal balcone del vescovo

Ormai siamo a quota 2. Due settimane di presenza qui a Siracusa e ogni tanto qualcuno mi chiede se “sono nuovo”. Un po’ stagionato ma … in effetti sono ancora straniero a questa terra e mi godo questo periodo di osmosi intensa, a livello di paesaggio, di strade, di profumi (anche qualcuno non proprio delizioso…), di persone.

Ieri mattina primo momento ufficiale, l’incontro col Vescovo e il suo vicario, Padre Nuccio, che avevo già sentito al telefono ma praticamente al volo. Avevamo appuntamento alle 10 e dopo aver percorso le stradine pittoresche e contorte che portano al centro di Ortigia (la parte bella di Siracusa, l’isolotto splendido e raffinato) ci siamo presentati in Curia; eravamo quasi al completo, mancava solo Gabriel, quindi con me c’erano Rosa, Nina e Ricky. Dopo una discreta attesa siamo entrati negli spazi del vescovo. L’ultima curia vescovile che avevo visitato, qualche mese fa, era quella di Aversa, una diocesi normanna, antica, un palazzo da grandi occasioni, ma non opulento, e poi il vescovo Spinillo che sbrigava da sè le faccende diplomatiche, dal rispondere al telefono all’introdurci nelle stanze. Per fortuna qui ho ritrovato un ambiente simile. Padre Nuccio ci ha introdotti nella sala dei colloqui; c’erano tante sedie quasi in circolo, vicino al divano per il vescovo ce n’era una più imponente. “E’ per il superiore, devi metterti lì”… Come comunità Lavalla200 qui sono già abituati a convivere con questo modello “classico”, quello dove uno dirige e gli altri sottostanno. Far capire che si possono immaginare modelli alternativi o non standard è ancora un po’ insolito. La leadership nelle nostre comunità è condivisa, non c’è un “superiore”, ci sono impegni che comportano ruoli, ma solamente all’esterno del nostro vivere comune. E ho già visto dallo sguardo di Rosa e Nina che le donne, poi, sono ancora viste come ospiti occasionali in questo tipo di comunità. Vuol dire che c’è ancora spazio per crescere in questa dimensione.

Poi è arrivato il vescovo, Salvatore Pappalardo, cordiale e sorridente. Breve presentazione, ripasso dei membri della comunità, dei luoghi di provenienza, gli portiamo i saluti di fr. Onorino, lo informiamo sugli ultimi sviluppi del Ciao, la collaborazione con il Cpia, gli racconto alcuni scorci delle mie ultime esperienze. Un momento molto sereno e informale.

“E giò che ci siamo, questa sera abbiamo il Consiglio Pastorale Diocesano, visto che fr. Onorino ne faceva parte, come superiore, venga anche lei”. Quando l’invito te lo fa il vescovo in persona non hai molto spazio di manovra. E come ciliegina sulla torta ci chiede anche se Gabriel può venire a parlare, sotto il profilo giuridico e sulla base dell’esperienza del CIAO, sul tema dei migranti. Incastrati in due, ma la stima e l’apprezzamento per quanto viene fatto come Comunità ci sembrano un giusto scambio morale. Così in questa giornata il vescovo lo incontrerò ben due volte…

Alla fine le ‘ragazze’ chiedono a P.Nuccio se era possibile ammirare la piazza del Duomo dal balcone. Così lui ci accompagna volentieri per le antiche scale, passaggi interni da fortezza rinascimentale, pavimenti in cotto siciliano da scaldare gli occhi, un salone da grande rappresentanza e ci affacciamo. Sotto la piazza brulica di persone, di turisti, in questo ottobre che sembra ancora estate. Nuccio ci spiega le righe scure del piazzale, che delimitano le antiche costruzioni, la via Sacra, i temppli, rintracciate nelle ultime indagini archeologiche. Avere un duomo che rappresenta il fulcro religioso di popoli antichi e millenari, siculi, greci, romani, musulmani e poi di nuovo cristiani non è cosa da tutti. Qui veramente la storia si presenta con l’abito delle feste e delle grandi occasioni. Rosa ricorda la notte di Natale, con la folla assiepata per gli auguri e le parole del Vescovo, che in quell’occasione era andato giù duro sul tema dell’accoglienza. P. Nuccio sembrava un po’ rassegnato, dicendoci che dopo le parole sferzanti non era poi successo granché. Ma bisognava che qualcuno le dicesse e credo sia già un buon segnale quando l’autorevolezza della Chiesa va di pari passo con i segni dei tempi. E così la prima foto quasi ufficiale di quella che sarà la comunità in versione 2020 la facciamo insieme a Nuccio, dal balcone del vescovo.

Mentre torniamo a casa, attraversando il ponte di Ortigia, con uno splendido veliero a far da quinta al panorama, riflettiamo sull’incontro, sullo stile colloquiale e sulle premesse che qui ci sono offerte per una presenza significativa. Addirittura il vescovo aveva esordito con legittima soddisfazione, citando alcune testate che ricordavano come Siracusa, grazie alle recenti attività sul versante migranti, realizzate dalla suore scalabriniane e dai maristi, veniva additata come modello per l’integrazione e come chiesa al passo coi tempi. Siamo qui per questo, pensavamo noi…

E naturalmente la giornata si conclude con il Consiglio Diocesano, che si svolge presso il Santuario delle Lacrime. Appena entro incontro subito il segretario e in men che non si dica la presentazione è fatta; il tema da sviluppare era proprio quello dei migranti. Aprono l’incontro le parole di don Luca Saraceno, che per anni era stato rettore proprio del santuario. Una riflessione molto attenta e pacata sui termini, sulla necessità di “pensare” e conoscere questo problema che non è nato ieri e non finirà sicuramente domani, un atteggiamento di profonda attenzione che dovrebbe distinguere tutti noi cristiani; poi Gabriel (che prima viene indicato come Padre marista, poi fratello, poi chissà cos’altro… si vede che il termine “laico” fatica ad entrare nel linguaggio dei consigli pastorali), ha illustrato i vari elementi giuridici, proprio a partire dai termini (dal migrante al rifugiato, passando per quel “profugo” che non è nemmeno presente nelle altre lingue) e dal dettato legislativo internazionale. Interessante vedere quante norme del diritto vengono infrante dal cosiddetto decreto sicurezza di Salvini. Sono quelle situazioni in cui, da italiano, uno preferirebbe la cittadinanza libanese… Ottimi spunti di riflessione e di approfondimento.

E vai con la bici

E vai con la bici

Sabato 12, ecco quasi finita la mia prima settimana siracusana. Cominciamo presto perché Mario sta partendo. Dopo 3 anni di presenza infaticabile nella comunità Mario Araya vuole continuare la sua missione, come laico marista, in una nuova prospettiva: sarà a Tabatinga, in Brasile, crocevia tra Perù e Bolivia, città in forte espansione, snodo dei narcos di mezzo sud America. Auguri…

Così, dopo la sua partenza inforco la nostra bici (ho fatto bene a lasciare l’altra a Giugliano, speriamo che Onorino la degni di qualche pedalata) e superato il primo pezzo in salita, purtroppo inevitabile, eccomi pronto a iniziare la pista ciclabile di Siracusa. E’ dedicata alla figlia del mitico immersionista in apnea Enzo Maiorca, un siracusano doc. E proprio la somiglianza con la pista di Sanremo mi ha spinto ad assaggiarla subito.

La pista inizia dalla periferia nord della città, si snoda lungo quella che era la linea ferroviaria che collegava Targia con il centro di Siracusa; di fatto era un ostacolo per l’accesso al mare, per questo non era molto gradita come via di comunicazione. Dopo la chiusura della ferrovia, nel 1998, lo spazio era rimasto vuoto; per fortuna dal 2008 la costruzione della pista ha migliorato decisamente questa zona, potenziando le infrastrutture turistiche della zona, offrendo uno spazio veramente incantevole. Sto cominciando a conoscere questa pista e la prima impressione è decisamente positiva. Il percorso non è lunghissimo, circa 7 chilometri, molto pianeggiante (meno male!) e si sviluppa seguendo la costa, che qui è molto alta e frastagliata e quindi riserva molte sorprese. Ad esempio tanti pescatori che si affacciano sul mare per il loro hobby, tanti che portano a spasso il cane, turisti con le immancabili racchette, qualche ciclista (non troppi, a dire il vero) e qualche curioso attento ai dettagli che non mancano. Pochissime piante, ciuffi di fichi d’india, suolo carsico poco ospitale, arbusti da macchia mediterranea, eppure qualche mucca ogni tanto vi deve essere passata 🙂 viste le abbondanti tracce.

Ieri ho visitato uno dei luoghi più suggestivi del percorso, la tonnara di s. Panagia (qui un po’ di greco serve sempre, per capire i nomi, pan=tutto, agia=santa, il titolo della chiesetta rupestre dedicata a Maria). Vecchio stabilimento per la lavorazione del tonno che un tempo veniva spinto a riva e pescato. Ormai non si usa più, prevalgono le tonnare “mobili”, cioé in alto maro. Così il luogo ha chiuso negli anni ’70 e adesso risulta totalmente abbandonato nonostante i desideri che si leggono in rete (farne un museo, ristrutturarla, trasformarla in resort…); certamente la vicinanza con gli impianti petrolchimici che si intravedono a poca distanza non migliorano il paesaggio, tanto meno l’incuria delle spiagge può incoraggiare. Sarebbe un gioiello questa costiera, se non fosse puntellata di spazzatura e detriti. Si avverte quella sorta di abbandono e di scarsa valorizzazione delle risorse che rivela poca attenzione ad un territorio potenzialmente splendido.
Non sono riuscito a scoprire il passaggio per entrare nella chiesa rupestre che si trova vicino alla tonnara. Troppa vegetazione, troppa umidità (abbiamo avuto diversi giorni di pioggia forte un paio di giorni fa) e non ero attrezzato per fare l’Indiana Jones delle rupi 🙂 . Sarà per un’altra volta.

Poi sono andato alla ricerca della Sorgente Acqua delle Colombe, avevo già esplorato in rete il percorso; ma quando poi ci sono arrivato davvero vicino…, dopo aver percorso la scalinata a picco sul mare, molto cautamente per il suolo un po’ viscido e dopo aver notato che… mancano gli ultimi scalini per arrivare davvero alla sorgente, ho deciso di accontentarmi delle foto, l’acqua la berremo una prossima volta.

E logicamente ecco un po’ di foto sul percorso della ciclabile Rossana Maiorca

Una settimana di ‘relax’… e quindi se…

Una settimana di ‘relax’… e quindi se…

Conclusa l’esperienza di Lavalla200> (domani provo persino a spiegarla ai ragazzi di terza media A!) questa settimana serve per rimettere un po’ di ordine. Sistemare un po’ di mercanzia e ciarabattole varie, giusto per non abbandonare pezzi che altri dovranno buttare via, come di solito succede con i traslochi. Insomma, the last week in Giugliano Sarà per questo che nei Musei Vaticani avevo proprio cercato la cartina di queste zone, osservando con curiosità che il nostro Lago di Patria sembra più un’insenatura che un vero lago, ma la cartina risale al 1600 e a ben vedere mancano anche altri elementi (il lago Lucrino, ad esempio), e forse in parte dipende anche dagli eventi sismici di quei tempi, come la famosa e impressionante eruzione del Monte Nuovo, del 1538.

Lavalla200>: Intanto cosa sta succedendo agli amici del nostro gruppo? Sono praticamente tutti tornati alla base di partenza, chi in Australia, chi nelle Fiji, chi in Mexico, chi ancora a spasso per l’Europa, come Qalista che sta visitando con la sua famiglia Roma e poi Parigi, e tutti si stanno preparando per la prossima fase: giungere alla destinazione assegnata. Per me sarà fin troppo facile, non dovendo seguire corsi particolari di lingua siciliana, anche se non vorrei proprio fari a vutata du sceccu… inoltre sono già stato aiutato dalla Comunità di Siracusa per i primi passi burocratici da svolgere, visto che lì sono davvero esperti di documenti, anagrafi, cittadinanza…

Proprio in vista del nuovo impegno a Siracusa sto anche curiosando un po’ il web per esplorare qualche strumento nuovo (almeno per me) e più versatile sul versante della comunicazione. Uno dei problemi che stiamo verificando, e non solo in questo caso, è la difficoltà a tener testa a tutti i fronti della comunicazione: da FB a Instagram, passando anche per il sito del CIAO , che è attivo da quasi un anno… Proprio in questi giorni è arrivata la novità che il centro marista gestito a Siracusa, grazie alla collaborazione con il CPIA territoriale, ospiterà anche dei corsi per adulti, quelli per ottenere la vecchia “licenza media”, giusto per intenderci, un documento particolarmente necessario per tanti migranti che cercano di inserirsi nel contesto italiano. Insieme a Rosa, incaricata del sito, vorremmo esplorare qualche strumento per semplificare il cross-posting, così da inserire un solo articolo e poi, in automatico, replicarlo su FB e Instagram, che per molti ragazzi sono strumenti più rapidi e ben conosciuti.

Per fare questo cosa si può utilizzare? Rosa mi ha consigliato IFTTT, una piattaforma che consente di interconnettere numerosi servizi digitali. Il nome è l’acronimo if this than that, insomma, “se succede questo deve avvenire quest’altro”. Per chi invece è più fedele al brand Microsoft si può ricorrere all’applicazione Flow (che ho usato un paio di volte e poi lasciata sopire…). Entrambi sono applicativi che probabilmente ci consentiranno di districarci nel web e mettere d’accordo i vari protocolli. Del tipo: quando pubblico un articolo (come questo) sul sito, in automatico viene creato un post anche su Twitter e sulla pagina Facebook. Se funzionasse alla prima sarebbe una figata, ma se solo uno si ferma a considerare i tanti diversi protocolli, linguaggi, piattaforme hardware. funzionalità, problemi tecnici, ecc… hai già capito che ci passerai mezzo pomeriggio a tentare e ritentare. Un po’ come smontare e rimontare gli ingranaggi di un vecchio orologio, come quello della cattedrale di Lione (che funziona dal 1300!).
Ed è proprio quello che sto facendo. Ma questo è il bello dell’informatica, dico bene?

E per la cronaca, dopo un po’ di smanettamenti, sembra che qualcosa funzioni e dopo aver creato questa pagina si è automaticamente creato un nuovo post su Twitter, ovviamente con il solo titolo e il link al messagggio. Il bello sarà riuscire a fare la stessa cosa su FB e poi su Instagram, cercando di evitare qualche loop infinito 🙂