In fin dei conti lo slogan marista di quest’anno era “CAMBIA“, e manca ancora un po’ di tempo prima di adottare il nuovo (tranquilli, niente spoiler 😉 E da domani ci proviamo decisamente…
A conti fatti sono passati qualcosa come 40 anni di insegnamento, se ripenso al mio percorso; ho iniziato come maestro di 1a elementare al SLM, era il mese di settembre del 1979; per far capire ai genitori la differenza tra il maestro e il loro figli usavamo ancora la tonaca! Dopo il primo mese di scuola e forse la seconda uscita ai campi sportivi di Prato Lauro ho pensato che la lezione fosse sufficiente e mi è sembrato più normale usare abiti “normali”… I ricordi di quegli anni, un intero corso di scuola elementare, sono ancora belli freschi, anche senza ricorrere a FB; poi nel 1984 a Genova, dove sono rimasto 12 anni e quindi si passa a Cesano, ma questa volta come preside ; mezzo anno di pausa, dal gennaio al luglio del 2004 (decisamente un ottimo “stacco”) per spostarmi poi nel bel mezzo della terra dei fuochi, tra l’altro erano proprio gli anni intensi delle faide di Scampia, dei disastri ecologici… nel 2012 il pendolo mi ha riportato in terra brianzola, di nuovo a Cesano per giungere ancora una volta a Giugliano. Insoma, 40 sono un bel traguardo biblico (mi viene da pensare al buon Mosè, ma qui si esagera in accostamenti biblici…) E adesso? Ovvio che i miei alunni della futura 3mediaA avranno un guizzo del tipo “un altro cambio?” ma conoscendoli so come apprezzeranno chi mi dovrà sostituire.
Ho finito da poco l’intenso libro del medico di Lampedusa; ammetto di essere un po’ di parte 😉 e con gli interessi emergenti di questi miei ultimi periodi si tratta di sfondare una porta più che aperta: anzi, sto proprio cercando di allargare un po’ i confini conoscitivi su queste tematiche, proprio per non accontentarmi di informazioni generiche e sbrigative…
Ecco le righe che ho preparato… sperando che vengano poi pubblicate (mi è già successo che alcune recensioni su Amazon NON venissero accettate, forse per il tono troppo personale? Se non altro vuol dire che qualcuno le controlla… il che non guasta).
Il tema dei migranti e dei continui sbarchi continua a interessare la nostra società . L’approccio che ne fa l’autore è molto concreto e senza sterili polemiche. Anche il suo impegno politico rimane sullo sfondo, senza nessuna forzatura o invadenza.
Come medico di Lampedusa ha un punto di osservazione particolarmente significativo, essendo spesso tra i primi a dove incontrare le persone che giungono coi barconi sul suolo italiano. Il libro nasce dopo il film Fuocammare del 2016 (Leone d’oro al Festival di Berlino), ma l’autore non trasforma le pagine in un trampolino promozionale. Traspare dalle storie che vengono raccontate l’estrema umanità del personaggio, con i suoi entusiasmi, le sue emozioni e talvolta le sue decisioni impetuose, sulle quali in seguito dovrà ricredersi lo stesso autore. Come filo conduttore del libro si intravede la storia di una bambina africana, giunta da sola in Italia, alla ricerca della mamma che l’ha dovuta abbandonare da piccolissima; l’autore si affeziona a questa bimba, si interessa al suo caso, smuove personaggi, uffici e amici per aiutarla, con tenacia e ostinazione; non tutto procede secondo i desideri, si giunge a rintracciare la madre, anche lei clandestina ma in Francia, ma i tempi per il ricongiungimento si dilatano, incontrano l’ostacolo grigio della burocrazia, scatenano nella bimba reazioni pericolose ed inquietanti. Ma il lieto fine, che sostiene l’impegno umanitario del dottore, ripaga alla fine di tutto quanto. Molto umano e toccante.
E così arriviamo anche al nostro ultimo giorno di tour libanese. Oggi l’itinerario è verso sud, a una manciata di km dal confine con Israele. Quando si pronuncia questo nome bisogna sempre fare un po’ di attenzione, per capire con chi si sta parlando; i nostri amici e fratelli libanesi hanno un bel da fare a spiegarci le differenze, la storia, i problemi intercorsi.
Per noi è complicato e capire come mai qualche cristiano preferisca Israele (scottati per il problema dei tanti profughi palestinesi che hanno invaso il sud del paese) oppure si appoggi ad Hezbollah, la forza musulmana che comunque si è distinta nella resistenza contro l’Isis. Ma a quanto pare qui le liti e i problemi hanno radici lontanissime.
Dopo aver faticosamente attraversato gli ingorghi di Beyruth, che al mattino presto assomiglia a tutte le congestionate città dell’occidente, aver superato l’immenso cumulo di spazzatura in attesa di trattamento (anche da queste parti i problemi sono seri, soprattutto in questi mesi), aver cercato inutilmente turisti e ombrelloni sulle spiagge (che strano, sembrano accoglienti e selvagge, ma le nostre guide ci dicono che solo poche spiagge sono pulite e con acqua non inquinata…), ecco finalmente giungere alla biblica città di Sidone, l’attuale Sayda. E… diamo spazio alle crociate, ai francesi, ai genovesi, ai veneziani, che in questi porti hanno vissuto e lavorato per secoli. La prima tappa è proprio un antico castello francese, fatto costruire dal santo re Luigi; rimangono poche macerie, curiose tra l’altro (avete mai visto un muro dove al posto dei mattoni si usano “fette” di colonne romane?), ogni tanto passa un barcone con allegri gruppi di ragazzini, i grest estivi funzionano anche qui!
E poi entriamo nel cuore della vecchia Sidone, nel souk arabo a prevalenza musulmana, ben diverso dal pittoresco souk di Biblos, molto più signorile. Iniziamo dal caravanserraglio costruito dai francesi (ospita ancora il centro culturale francofono), semplice e ben conservato, sede di convegni e incontri. Ma appena si esce e si entra nei vicoli… si sperimenta veramente l’apoteosi del caos: portoni da cui straripano pacchi e prodotti, vetrine infarcite di mercanzia, sciami di donne velate che ondeggiano quasi a cullare le borse ripiene, venditori ambulanti di foglie di vite (!) da preparare e friggere in cucina (!!), viuzze monotematiche (prima tutti i ciabattini poi i meccanici, poi i macellai, con tanto di sciorinamento di frattaglie e interiore di animali penzolanti…). Talmente affascinante che riusciamo a perderci! Meno male che poi raggiungiamo in un modo o nell’altro la prossima meta, il museo del sapone della famiglia Audi, una pausa di fresco e di relax…
L’appuntamento per il pranzo è a pochi passi dal mare, una riva impervia, onde consistenti, e anche qui nessuno in spiaggia. Nel ristoranti abbiamo l’appuntamento con tutto lo staff del Progetto Fratelli, arrivano fr. Migueles (fms) e Andrès (fsc) insieme a tanti volontari. Incontriamo volti noti, amici, qualcuno incontra ragazzi spagnoli a cui ha fatto scuola anni fa. Fa piacere vedere che oltre alle materie insegnate è passata anche la passione per qualcosa di più. Il Progetto Fratelli, che ormai ha 3 anni di esperienza, vede la collaborazione dei maristi e dei fratelli delle scuole cristiane, il target è molto concreto: i minori siriani in fuga dalle zone di guerra. Il piccolo Libano conta poco più di 6 milioni di abitanti ma ha accolto, a partire dal 2012, circa 1 milione di profughi dalla Siria in guerra, un numero imponente (mi fermo per non scivolare in critici confronti con la nostra Italia di oggi, situazione che sfiora se non il ridicolo sicuramente la perdita di ogni proporzione). Nei dintorni di Sidone c’è anche il più grande campo profughi palestinese ma le condizioni dei siriani sono davvero drammatiche. Sulle colline di Sidone i Maristi avevano costruito negli anni 60 una grande scuola, con l’inizio del conflitto, nel 1975, l’edificio si trovava proprio nel centro dei combattimenti, diventò impossibile continuare. L’edificio abbandonato venne occupato dall’esercito libanese; proprio grazie a questo non venne distrutto o saccheggiato. Ci sono stati restituite alcune zone della scuola (altre rimangono sotto il controllo militare, ma la scuola è decisamente grande e non si nota quasi). In questi locali, gradualmente riparati e ristrutturati, si svolgono oggi le attività di formazione e di alfabetizzazione.
La situazione non consente di avviare una scuola regolare, ma in questo modo si offre un’alternativa sensata a tutti quei minori che altrimenti resterebbero segregati e persi nei campi profughi senza un’occupazione e senza uno scopo. Quanti sono? Attualmente frequentano il campo oltre 500 minori, nei mesi estivi sono previste inoltre attività ricreative e più vacanziere, molti i volontari che giungono a dare una mano a questa realtà di frontiera. Chiediamo a fr. Andrès che ci accompagna nel tour della scuola come sono le relazioni con i musulmani (che sono la maggioranza dei bambini): “nessun problema, ovviamente non si fa un annuncio esplicito del vangelo, le famiglie e tutti i nostri ospiti sanno che siamo cristiani ma i valori e i contenuti che presentiamo e cerchiamo di vivere sono validi per tutti”; d’altra parte la Siria era già uno dei pochi paesi arabi dove i cristiani potevano liberamente vivere.
E’ incredibile come ogni 20 o 30 m. lungo le strade, i sentieri, le rocce, i giardini, si incontrino nicchie con statue di santi, madonne, monaci oranti e profeti col braccio levato. I fratelli ci tenevano ogni tanto a segnalarcelo: “Questa è una zona quasi completamente cristiana… qui ci sono i Drusi, qui la maggioranza è sunnita…” e per marcare il territorio i cristiani hanno disseminato ovunque segnali ben evidenti (i musulmani si prendono la rivinciata con i muezzin amplificati a tutto volume!): edicole votive e statue di santi.
Ci rimettiamo subito in cammino per visitare un’altra chiesa, molto vicina a questa basilica, ma di fattura totalmente diversa: è una chiesa greco-cattolica e al suo interno ha un tesoro di icone e mosaici spettacolari. Piccolo dettaglio: tutta l’opera artistica è realizzata… in Italia 😉
La visita è ancora lunga, ci spostiamo sulla costa, verso nord e giungiamo fino a Jbeil, dove ci sono 2 scuole mariste molto vicine (e vengono gestite come un’unica entità ). Alla nostra guida Pascale si aggiunge anche Anika, la segretaria tuttofare di questa scuola (stiamo parlando di un centro con oltre 2000 alunni!), donna appassionata del Libano e soprattutto della sua città . Una di queste è la più antica, risale al 1904, quando i maristi devono fuggire dalla Francia e disseminarsi per ogni dove. Qui si conserva anche il piccolo cimitero dei fratelli libanesi e… che sorpresa nel leggere anche vari nomi italiani, soprattutto di fratelli valdostani.
data astrale: domenica 28 luglio: meta: la valle della Bekaa. E’ un nome che spesso associo a guerre, sconfinamenti, beduini in rivolta, scontri culturali. E forse non basta nemmeno… Scollinando dalla zona di Faraya ci arriviamo dopo una scarrozzata abbondante, che passa dagli chalet quasi-svizzeri della Libano bene (anzi, benissimo, prati rasati, costruzioni in legno, piste da sci e skilift, ordine e disciplina…) agli scenari di mezza montagna, con tende di pastori e greggi di capre che si accapigliano per i pochi arbusti presenti.
Poi, dopo aver superato le cime aride di questa catena del Monte Libano si scende rapidamente verso un’ampia valle, delimitata dai monti dell’antilibano (dopo c’è già la Siria). Qui i due fiumi importanti fanno pari e dispari, uno andrà a nord e l’altro proseguirà verso il sud, per infilarsi poi nelle acque di quei Tigri&Eufrate di biblica memoria. E cominciano i campi, patate, pomodori, ortaggi, una strana pianta (ehm, dovrebbe essere qualcosa che ad Amsterdam si può vendere liberamente e quella libanese sembra una delle migliori…), putroppo osserviamo anche tanta plastica e sporcizia un po’ ovunque, nonostante si debba spesso fare lo slalom tra un posto di blocco e l’altro (in questa giornata ne incontreremo almeno 6). Giunti a metà vallata si prende la grande strada che la solca tutta e si va in direzione nord, verso la grandiosa Baalbeck.
Baalbeck: uno viene dall’Italia, conosce Roma, ha girato per le vie di Pompei, ammirato l’anfiteatro di Capua, pensa di averle viste un po’ tutte le meraviglie romane. Ma poi arriva qui, a Baalbeck e la matassa si ingarbuglia. Prima ti portano a vedere una pietrona, immensa, impossibile quasi da muovere, lasciata ancora nella cava. Ma poi trovi le pietre sorelle, altrettanto immense, a fare da basamento ai templi di questo spettacolare sito archeologico. Dimensioni colossali, colonne che nemmeno a Roma si incontrano, misure da capogiro, tetti e costruzioni impressionanti.
Ti muovi tra le rovine e ti chiedi che impatto potevano avere in quel tempo certe opere colossali. E l’ammirazione cresce. Tempio di Giove, di Bacco e ovviamente di Venere (con tutte le declinazioni possibili), oggi ancora utilizzati e fruibili per concerti e spettacoli. Dall’epoca Fenicia fino a quella Ottomana (ma la nostra guida, il solerte fr. Georges Trad ci faceva notare che le aggiunte di matrice araba erano molto limitate…). Innovazioni tecnologiche di grande impatto, scalinate scavate nella pietra viva, non per sovrapposizione di gradini, statue e colonne gigantesche (quelle di granito, poi, una pietra del tutto assente dai territori limitrofi, giunte via nave dall’Egitto), frontoni innalzati a oltre 20 metri di altezza (chissà con quali macchinari, vien da chiedersi). Si resta a bocca aperta e si pensa alle buche di Roma, oggi, ai problemi a volte meschini e alle difficoltà burocratiche nel costruire ponti e strade. Veramente qui si avverte una Roma spettacolare.
Poi continuiamo la nostra scorribanda lungo la valle, per giungere fino a Ksara, una zona agricola molto vivace. Qui visitiamo una cantina rinomata, i vini Ksara. Era un’antica proprietà dei Gesuiti e, si sa, il vino da messa serviva anche qui. Il terreno era adatto, importarono i vitigni dalla Francia e iniziò la produzione. Oggi l’azienda è passata in altre mani e produce annualmente oltre 2 milioni di bottiglie di vino di alta qualità ; per l’invecchiamento si sfruttano le cantine realizzate nel sottosuolo, circa 2 km di sotterranei a temperatura costante. Insomma, in vino veritas!
E capiamo che in queste terre non si tratta tanto di giochi di parole, il contrasto e lo scontro religioso c’è stato e le conseguenze si trascinano ancora, ma la figura di Maria è almeno un elemento che avvicina cristiani e musulmani, quasi in egual misura! Forse è la soluzione migliore per tentare il dialogo, senza troppe parole.