intenso luglio

intenso luglio

Sinceramente pensavo di trovare più ritagli di tempo in questo mese di luglio, ma le attività che si sono rapidamente susseguite hanno preso il sopravvento.

In pratica abbiamo fatto da supporto a 2 gruppi di volontari che hanno gestito qui a Melilla la Colonia sponsorizzata dalla Caritas locale, una cinquantina di bambini che dalle 9 del mattino fino alle 18 di sera erano nei nostri ambienti (la scuola lasalliana del Carmen), rimaneva il sabato e la domenica, ma quelli erano i giorni più impegnativi perché insieme a Ventura il nostro incarico era proprio quello di provvedere …ai pasti. Così abbiamo alternato cucina italiana a cucina andalusa, ma tra le spese di approvigionamento e la preparazione il tempo libero si è ridotto abbastanza.

un po’ di avventure di questi giorni le ho inserite sulle pagine del nostro CentroFratelli

A fine mese è arrivato un terzo gruppo di volontari, che si sono dedicati a momenti di formazione (al mattino) e di animazione per il centro della Divina Infantita (bambine e ragazze segnalate dai servizi sociali), e in questo caso dovevamo provvedere anche ai pranzi. Insomma, un luglio gastronomico passato spesso in cucina, ma sicuramente ricco di incontri, volti e relazioni.

Dal primo agosto, però, stacchiamo la spina. La nostra comunità (anzi, praticamente tutta la casa, la scuola e il resto) chiudono fino alla fine del mese. Sicuramente ci saranno occasioni interessanti per vivere in pienezza questo mese d’estate.

A spruzzi di colore

A spruzzi di colore

Difficile negare il fascino del colore; ne basta poco per accendere lo spettacolo, rallegrare le persone, riempire di fascino la geometria dei volti, dei corpi e della musica… Sarà per questo che la festa hindu che si è svolta a Melilla, nella grande piazza che ospita gli eventi periodici, non si è fermata nemmeno in presenza di un vento potenzialmente fastidioso. Davvero non pensavo che in questa località il vento fosse così presente e spesso insidioso. Vai in spiaggia e respiri vento e granelli di sabbia, scuoti l’asciugamano e collezioni briciole e briciole di conchiglie, devi quasi proteggerti gli occhi per evitare intrusioni fastidiose…

Ma l’evento era previsto da tempo, il nostro amico Ramesh, anima e promotore della vivace comunità indù di Melilla, ci aveva avvisato da tempo di questa speciale festa hindu, dal nome esotico ma nemmeno troppo: Holi (riporto la sintesi da Wikipedia: L’Holi è una festa religiosa durante la quale è usanza sporcarsi con polveri colorate per omaggiare un rito di origine indiana che simboleggia la rinascita e la reincarnazione). Insomma, un’occasione di festa che ben si coniuga con l’estate, la spiaggia e un divertimento quasi infantile nel giocare coi colori.

Sapevo che avrei incontrato diverse persone e volti conosciuti, infatti, dopo aver individuato la zona dell’evento e assicurato la bici da qualche parte, ho subito incontrato alcune ragazze dei corsi del progetto Alfa (che però erano ben poco intenzionate a partecipare al coloratissimo evento!) e poi diverse ragazzine che partecipano alla nostra colonia estiva; subito mi hanno riconosciuto e chiesto dove stavano gli animatori. Hai voglia a dire che “sono per strada, stanno arrivando”; il vantaggio della bici, in questi casi, è davvero notevole!

Poi ho incontrato Ramesh, indaffarato con l’organizzazione, ma si è subito prodigato per affibbiarmi una delle magliette dell’evento (se no non puoi partecipare al gioco nel “recinto”…) e poi, verso le 19, è cominciata la festa vera e propria.

Avevo una sorta di terrore legata alla polvere che avrei incontrato; nella zona recintata c’erano scatoloni e scatoloni di colori in polvere, piccole buste pronte al massacro 😉 e stavano cominciando a distribuirle a tutte le persone dentro al recinto. Tra il sole cocente, il vento disperato, la musica a palla e il contagio del gruppo, la festa è subito decollata con allegria. Era uno spettacolo girare per catturare qualche foto, curiosare tra gli effetti del colore lanciato per aria, immaginare gli effetti tra le nuvole di colore. Interessante vedere l’approccio dei bambini, inizialmente impauriti da tanta confusione, poi, poco alla volta, sempre più partecipi e contenti, fino a razzolare allegri per terra, raccogliere manciate di colore e rilanciarle in alto. Che dire… che festa sia.

E qui l’album con le foto e un paio di video di questo evento

e qui l’articolo da Melilla Oggi

3 lettere senza francobollo

3 lettere senza francobollo

Quando è stata l’ultima volta che ho scritto una lettera, ripiegato il lembo della busta dopo aver inserito il foglio, leccato con cura la parte collosa e sigillato la busta?

E quando è stata l’ultima volta che mi sono fermato a leggere una lettera arrivata per posta, non recapitata via mail?

O quando ho dedicato del tempo alla carta, alla penna, ai pensieri, da stendere con calma sulla superficie della memoria?

Ho trovato per lo meno interessante leggere uno degli ultimi libri di Susanna Tamaro, questo particolare “Il vento soffia dove vuole“; nella mia libreria digitale ho aggiunto come tag “romanzo epistolare”, anche se come classificazione fa davvero un po’ acqua. Ma in pratica è proprio un libro formato da lettere, tre per la precisione. Lunghe, intense e impegnative.

Nella prima la scrittrice, perché in fin dei conti sempre lei che parla, si rivolge alla figlia adottiva, una ragazza ormai ventenne, originaria dell’India, dal carattere solare, serenamente integrata in una famiglia che non era la sua, ricca di energie, di voglia di vivere, di accondiscendente partecipazione alla vita di una famiglia ormai pienamente sua.

La seconda è decisamente più tempestosa, sofferta e tortuosa; si rivolge alla figlia naturale, arrivata quasi per caso dopo l’adozione della prima figlia, decisa perché sembrava ormai improbabile una nascita naturale. Ragazza dal carattere difficile, scontrosa e quasi aristocratica, quasi a racchiudere un’eredità ingombrante, quella della nonna, che per tutta la vita trascina un rapporto conflittuale con la propria figlia, una difficoltà che sembra riemergere e definire anche nel susseguirsi delle generazioni.

Infine una lettera al marito, una figura apparentemente agli antipodi della sensibilità, esperienza e tradizione dell’autrice; tanto fine, snob e delicata lei quanto semplice, energico e immediato lui.

Addentrandosi nel romanzo si comincia a svelare il quadro di questa famiglia italiana che raccoglie tante situazioni, sensibilità, avventure, impostazioni della nostra attuale società.

Si parla di scuola, di letteratura, di vita normale, di formazione al lavoro, la salute e la presenza del medico, il rapporto tra nord e sud, tra famiglie reduci da una certa aristocrazia e l’impatto con le famiglie del centro-sud italiano, persone asettiche e impregnate di una modernità che sfocia nel quasi isolamento delle persone di oggi alla sussistenza di un tessuto familiare allargato, intriso di religiosità semplice e popolare, di rapporti che si instaurano sulla cornice di una tavola e di un bicchiere di vino; si parla dell’invadenza e onnipresenza del cellulare e della comunicazione onnivora che ormai ci pervade.

E alla fine fa capolino anche l’ultimo arrivato, il figlio inatteso e insperato, quasi un sussulto della vita in tempo limite, con quel suo nome che evoca brezze bibliche.

Qualche dubbio mi sorge nel leggere gli episodi in cui rimane coinvolto, anzi, invischiato, il marito medico, per un episodio che sembra un tantino improbabile, ma la cronaca ci fornisce spesso storie apparentemente insolite eppure avvenute.

In ogni pagina si avverte chiaramente la passione per una vita non banale, la ricerca di un senso che non sia già ricevuto e solo da subire; interessanti anche le aperture che conducono persino a cambi di mentalità, di considerazione e, in fondo, di stili di vita. Il tutto senza toni enfatici o pretese assolute. un atteggiamento mite però deciso e determinato.

Per salutare un amico

Per salutare un amico

Uno pensa sempre che le cose e le persone restino lì per sempre, in attesa, semplicemente accantonate. Invece con il tempo passa anche la vita e ogni tanto restiamo scossi da questa quotidianità.

Con Giorgio Stracquadanio ci eravamo fatti solo questa foto, quasi alla fine della mia permanenza a Siracusa, nell’agosto dello scorso anno, a suggellare un incontro, quasi un sodalizio, che durava da almeno 3 anni. Eravamo una coppia domenicale affiatata, si potrebbe dire, lui alle tastiere e io alla chitarra, presso la parrocchia di san Martino, per dare una mano con i canti. Nel coro quasi sempre l’infaticabile amica Anna, spesso Laura (ed era inevitabile il refrain di Nek nelle domeniche in cui mancava: “Laura non c’è…”), ultimamente il buon Stefano che tentava in tutti i modi di guadagnarsi una sorta di prelatura per poter finalmente accedere allo scanno dell’organo… Qualche volta al duo si affiancava anche Sandro, con la fisarmonica (e l’effetto era davvero interessante); tanti bei momenti, alcuni matrimoni (in particolare quello di Chiara, figlia di Giorgio), abbiamo accompagnato don Salvo Musso e poi don Gianluca Belfiore. Insomma, pezzi di vita sparsi nel tempo, nel nostro tempo. La musica, si sà, è anche bella da realizzare al momento, condita con qualche inevitabile stecca, qualche ritardo per l’attacco (un sogno irrealizzato, regalare a Giorgio uno di quegli specchietti da bicicletta per consentirgli di vedere l’andamento della celebrazione senza dover continuamente girare il collo…).

Bello anche l’organo, del 1800, ristrutturato da non molto. Che si faceva sentire anche (e soprattutto) quando le note tacevano, per colpa del compressore che doveva provvedere a dare fiato alle canne! A scanso di equivoci avevo portato anche la tastiera che ci avevano regalato al Ciao per le poche occasioni in cui si doveva suonare “dal basso” (penso che sia ancora lì, riporta in qualche angolo della sacrestia), ma niente da fare, lui preferiva l’organo antico, con la sua piccola tastiera, i suoi scarsi ma efficaci effetti.

Sul nome oltre che sulla provenienza (un siracusano nato a Sanremo, i casi della vita…) scherzavamo, ed era facile. Giorgio uno e Giorgio due, senza problemi di classifica e di ordine; una consuetudine settimanale senza pretese. Ci si vedeva qualche minuto prima della messa, uno sguardo al don e poi si stilava la scaletta dei canti. Alla fine, spesso, si divertiva a chiudere con qualche pezzo classico, un po’ di Bach, una melodia arcinota, un giro di accordi ad effetto. Era la nostra domenica.

E qualche rara volta che non arrivavo in bici (tempaccio o foratura, càpitava anche questo) mi dava un passaggio, facendomi vedere con quel pizzico di orgoglio locale, dove era riuscito ad infilare la macchina, nonostante le difficoltà di parcheggio di Ortigia.

La notizia del suo decesso, per il peggiorare rapido del tumore che da dicembre lo aveva assediato, mi è arrivato quasi per caso, sfogliando come ogni tanto capita le pagine di Facebook. Due rapide conferme da don Gianluca e Anna per fugare qualche dubbio e poi rimane la dura realtà: i funerali si sono svolti nel pomeriggio del 17 maggio…

Arrivederci Giorgio, per la prossima scaletta ti lascio carta bianca.

a proposito del “Salto”

a proposito del “Salto”

In Spagna è uscito da poco il film “El Salto” (poco dopo Pasqua, il 12 aprile), che racconta una storia tutta centrata sul tema dei migranti, ambientata in gran parte qui a Melilla. La recinzione che ci “avvolge” e ci separa dal Marrocco è il traguardo finale del protagonista. Riuscire a “saltarla”, superarla in qualche modo, significa mettere piede in Europa.

Domenica scorsa il mio amico, Juan Antonio, che ama passeggiare nei pochi spazi “naturali” della piccola enclave di Melilla, è tornato con un “oggetto speciale”, trovato per caso nella zona vicino alla grande recinzione. ci abbiamo messo un po’ a capire di cosa si trattava. Eccolo qui:

Solo collegandolo al film e alla recinzione siamo riusciti, dopo un po’, a capire di che si tratta, è un gancio per aiutarsi nella scalata di questa grande recinzione.

Il film è stato presentato a Melilla la settimana scorsa, nell’ambito del 16 festival del cine, nella sala del Perellò, il cinema “storico” della cittadina, tra l’altro anche il più vecchiotto, c’è ancora la maschera che ti accompagna a scoprire il tuo posto e all’ingresso meglio fare attenzione agli scalini, ben poco invitanti. Nella sera di martedì, quando hanno proiettato la pellicola, c’era persino coda per l’ingresso e non è che abbiano aspettato che tutti fossero entrati, nemmeno per sogno. Alle 21:30, come da programma, si spengono le luci e parte il film. Però dopo quasi mezz’ora si ferma tutto e qualcuno chiede al pubblico se non è forse meglio vedere la versione con i sottotitoli, visto che molti dialoghi sono in francese e per molti non è certo facile capire… E così, incredibilmente, si riparte da zero, la proiezione inizia nuovamente da capo. Con il mio vicino, Josè Luis, il parroco gesuita di Nador commentiamo che nemmeno nei cinema più scalcagnati di provincia succedono ‘ste cose. Ma forse basterebbe ricordare il prezzo del biglietto: 3 euro! E’ tutto dire.

Il film è ben fatto, semplice, bastano i fatti a spiegare la tragicità della situazione. Non so se e quando arriverà anche in Italia nel caso, scusate l’eccessivo spoileraggio…
Un migrante senza documenti che lavora da tempo in Spagna, come muratore, con i documenti di un altro, ovviamente in nero, ma è laborioso e tranquillo, sta già pensando a come sistemare il suo futuro; la sua donna è già in attesa di un bambino, anche se neppure lei è in regola con i documenti. Per un accanimento della sfiga il protagonista viene fermato dalla polizia, controllo della sua situazione e immediato trasferimento in carcere (dico sempre al mio vicino: in 4 anni di Sicilia mai ho visto o sentito di un intervento simile sui migranti in Italia…); l’accanimento prosegue e l’uomo viene immediatamente espulso e rispedito al paese di origine (Senegal). Con un decreto di espulsione le sue possibilità di riunirsi con la moglie e il figlio sono praticamente cancellate. Ma è comprensibile il suo desiderio di tornare quanto prima possibile. Dall’Africa è dura, lo ritroviamo dopo alcuni mesi nei pressi di Melilla. C’è un bosco alle spalle della città, sulle pendici del monte Gurugù; vi si ritrovano in tanti i migranti che stanno tentando “il salto”, pur sapendo che è un’impresa tra il disperato e l’impossibile. La recinzione è costantemente vigilata, altissima, piena di ostacoli, filo spinato… La polizia marocchina spesso perlustra la montagna rastrellando i migranti che vi si nascondono; a suon di manganellate dissuadono i fuggitivi. Prima del grande evento assume un senso quasi di redenzione la preghiera della guida musulmana e del responsabile sub-sahariano, cristiano; si alternano le invocazioni ad Allah e i richiami alla vita di Cristo. Alla fine solo in pochi riusciranno nel folle progetto.

A dire il vero pensavo che il film volesse raccontare il tragico episodio avvenuto nell’estate del 2022, il tragico “incidente” (o massacro) di Melilla… Invece niente di tutto questo, semplicemente una storia emblematica, senza altri approfondimenti o temi politici, diplomatici, sociologici. Ma ciascuno sa, se vuole, approfondire anche queste cose.

Dopo il Covid, Melilla, su questi aspetti, è completamente cambiata. Abbiamo un centro di accoglienza rifugiati quasi pieno (il CETI), ma pieno di sudamericani, non di africani. Perchè la frontiera e la recinzione sono ancora più intoccabili e controllati. Sul lato marrocchino ogni centro metri vedi una guardia, una garitta, i rotoli di filo spinato sono aumentati, gli ostacoli ancora più difficili da superare. Sono anni che nessuno tenta più questa strada. Al massimo qualche disperato tenta la via del mare, ma in tutto il 2023 ne sono arrivati… solo 13. Se ripenso ai numeri che vedevo lo scorso anno per l’Italia questi dati non rientrerebbero nemmeno nelle statistiche. Ma è anche vero che le statistiche attuali sono notevolmente cambiate dallo scorso anno. A dare uno sguardo qui (cliccando sul cruscotto del giorno) ci si rende conto dei rapidi mutamenti e di come possano cambiare dall’oggi all’indomani questi flussi. Se poi si approfondisce un po’ e si scopre che l’Italia ha allargato il novero dei “paesi sicuri”, i conti vengono presto fatti e si rimane per lo meno sconcertati.

Purtroppo, una risposta seria, concreta e realistica al problema dei flussi migratori sembra essere costantemente evitata. Si cercano rimedi provvisori e inconcludenti per “nascondere” e rinviare il problema. Ma la strategia dello struzzo non servirà certo a risolvere le cose.

Il trailer del film è visibile qui (con i sottotitoli in spagnolo, molti dei dialoghi del film sono in francese)