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Crogiuolo di culture…

Crogiuolo di culture…

Momento interessante, ieri, legato all’attività che stiamo portando avanti come “sportello” delComune. Fose il nome è un po’ troppo altisonante, visto che si tratta di un’attività che faremmo comunque con il nostro centro del Ciao, ma siccome stiamo partecipando ad un progetto più ampio, dire ad un dirigente che “…mi manda il Comune”, a volte risolve alcuni problemi di fondo.

In pratica stiamo cercando di semplificare ed aiutare le persone straniere a iscrivere i propri figli alla scuola italiana e da pochissimo abbiamo anche saputo che questo “sportello” si dovrà occupare dell’emergenza Ucraina. Il tutto nella solita gestione un po’ siciliana che non sempre brilla per efficienza, chiarezza e affidabilità. Basti pensare che questo progetto è operativo da un paio di mesi ma… nessuno dei partner ha ancora potuto firmare uno straccio di convenzione! Intanto noi andiamo avanti, fornendo un piccolo supporto (anche di baby-sitting per consentire alle mamme troppo impegnate con figli piccoli di poter imparare l’italiano e dovreste vederli come si divertono).

Ma veniamo alle cose concrete. I profughi ucraini stanno arrivando anche qui, negli angoli remoti della Sicilia e Siracusa è decisamente lontana, ma le connessioni tra le persone non si preoccupano quasi mai della carta geografica. Dopo i primi due bambini iscrittti in prima media giorni fa, abbiamo aiutato un’altra mamma a iscrivere la piccola D. presso la scuola di s. Lucia. La mamma è una docente e quindi si sbroglia bene tra moduli e form da completare, a parte la lingua diversa, basta davvero un po’ di inglese per risolvere quasi tutto. E poi, in questo momento, anche se non sembra elegante dirlo, ai profughi dell’Ucraina tutti stanno offrendo facilitazioni e ponti d’oro che gli altri rifugiati non possono sognarsi! Abbiamo tutti negli occhi e nel cuore le scene di morte e distruzione della guerra in corso, forse abbiamo partecipato anche noi alle manifestazioni no-war; ma adesso si tratta di andare al concreto.

E infatti ieri mattina sono andato presso la scuola con la mamma e la figlia dell’Ucraina, ma insieme ad un atro nucleo familiare, ben diverso, proveniente dall’Afghanistan. Lo zio e il nipote in attesa da mesi, esattamente da settembre 2021, di poter mandare il ragazzo a scuola.

Si tratta in questo caso di un problema più delicato e complesso: il bambino è stato portato via dal paese durante gli ultimi disordini dell’estate scorsa; ha perso i genitori e la situazione caotica non ha certo consentito di raccogliere o chiedere i documenti necessari per l’emigrazione. Morale della favola, tra un rifiuto e la richiesta di un documento ineccepibile, a marzo il ragazzo è ancora parcheggiato in un limbo kafkiano, senza poter fare nulla, senza incontrare coetanei, senza poter iniziare un percorso di integrazione, di apprendimento della lingua, niente. L’unico tramite linguistico è lo zio, in Italia ormai da anni, ma il ragazzino a malapena si presenta con un “ciao”.

E per finire in bellezza dovevo anche presentare l’ultima richiesta, per una ragazzina di 12 anni del Marocco, arrivata da pochi giorni qui in Italia; relativamente fortunata perché il fratellino era arrivato in precedenza ed è già regolarmente iscritto alla scuola primaria. Un pizzico di francese (ma davvero poco), per chiarire i vari aspetti con la mamma.

Insomma, quando la dirigente mi ha visto per l’ennesima volta (ma ormai ci conosciamo e quindi capisce subito di cosa si tratta) avrà pensato: “Ancora un altro?”. Invece no, questa volta sono tre.
Per fortuna che la disponibilità anche in questo caso è stata molto cordiale e disponibile.

Anche le maestre e le insegnanti che si incontrano lungo le scale, e con alcune ormai c’è una discreta conoscenza, si ritrovano tutte d’accordo che i “ponti d’oro” per gli Ucraini non possono farci dimenticare le difficoltà degli altri, spesso apparentemente insormontabili.

I risultati sono positivi e rapidi. Oggi, venerdì, la ragazzina ucraina è già entrata a scuola; per il ragazzino afghano dobbiamo completare la documentazione ma la determinazione della dirigente è chiara: si tratta di un diritto del ragazzino da rispettare e mettere in atto. Per la ragazzina del marocco è solo questione di recupero dei documenti necessari per avviare l’inserimento. Per tutti loro sarà una bella sfida, perché entrare in una classe nuova è sempre un’avventura piena di incognite: affascinante ma anche difficile.

Quando usciamo dalla scuola siamo tutti un po’ più sollevati. Parlo con lo zio afghano che ha accompagnato il nipote, lasciando letteralmente a metà il suo lavoro: è un muratore, specializzato in muretti a secco, uno di quei lavori dove di siciliani ormai non se ne vedono più, mani segnate dalla polvere, dal lavoro. Commenti irripetibili sulla situazione del suo paese, segni di stanchezza per l’attesa così lunga, la burocrazia da seguire… lungo la strada incontro il papà eritreo di un altro bambino che conosco bene. Sarà così il nostro futuro, molto variopinto, pieno di lingue e di confusione, ma sicuramente più variegato. E’ l’occasione che abbiamo per costruirlo come dovrebbe essere, senza paure e timori di perdere qualcosa di “esclusivamente nostro”. Un crogiuolo di culture, insomma, dal risultato migliore della somma delle parti.

E comunque l’avventura è solo all’inizio, perché dopo servirà il supporto, l’aiuto per i compiti, un sostegno per le tante attività e pratiche collegate alla scuola. Di scontato e facile è rimasta solo la forza di gravità, tutto il resto è fatica e conquista… Ma so che ne vale la pena.

Parole in corso

Parole in corso

Avevo letto tempo fa, sfogliando un libro di Carofiglio, un passo davvero illuminante, sulla pregnanza delle parole.

Parole che incidono sulla vita più di una lama, più di un evento.

Dopo un inesorabile momento di oblio quel piccolo passo ha cominciato a riaffiorare saltuariamente, poi è riemerso a brandelli nella memora, ma in modo sempre poco chiaro. Sapevo insomma di aver letto un testo che spiegava l’importanza del conoscere le parole ma non riuscivo più a far quadrare le righe e il contenuto.

Ero giunto persino al punto di scrivere una mail all’indirizzo dell’autore (quanto è difficile trovare la mail “vera” di qualcuno che vorresti davvero contattare!), ovviamente senza mai ricevere una risposta.

E poi, quando si dice il caso, eccolo qui il pezzo che stavo cercando, nel testo La manomissione delle parole, e proprio nelle pagine iniziali.

Il piccolo riferimento è questa citazione illuminante di uno studio di tanto tempo fa

Il fatto che nel linguaggio ci fosse un vuoto, mancasse un elemento così importante, causava addirittura il disgusto della vita, spingendo al suicidio le persone. Perché non si era in grado di esprimere quello che si stava covando dentro, come una gestazione indigesta che ha bisogno di uno sfogo.

E’ l’idea che questo fenomeno possa ripetersi in altri contesti, che la mancanza o la non conoscenza del termine giusto potrebbe impedire una vita migliore, la conoscenza chiara delle cose. Pensiamo spesso alla conoscenza come un cumulo di righe accatastate, una sull’altra, una immensa biblioteca. Difficilmente ci concentriamo sulla stabilità di questo edificio, sulla consapevolezza che ogni elemento sia al suo posto. Forse mancano mattoni importanti per l’edificio e l’insieme potrebbe traballare o crollare. Forse non abbiamo ancora trovato alcuni elementi importanti che invece servirebbero a dare maggior senso.

Serve tempo per riflettere, per lascia sedimentare le cose, ma anche per andare alla ricerca e tentare di dare uno sguardo completo, per capire se il panorama è finalmente in grado di dare una risposta esauriente.

A volte un libro serve anche solo per queste poche righe, per questo messaggio che trasmette. E per quei meccanismi che innesca nella mente, alla ricerca di senso e significati.

Dire parole può modificare il corso delle cose, ma per capire le cose abbiamo necessità di trovare parole nuove, diverse, che raccontino in modo più esauriente e vero quanto si incontra. In questi giorni tragici di guerra che vediamo moltiplicarsi ad ogni schermo, assistiamo anche al tentativo, difficilissimo, di convincere molti che la guerra sia ormai una parola da demolire, per lasciar spazio a quanto ormai sembri solo più un volto efferato della barbarie. Come se la guerra autorizzasse una concezione possibilista della realtà, la difendesse quasi e ne manifestasse una sorta di necessità, quasi nobilitando il termine. Oggi siamo in grado di rifiutare questi compromessi e di far emergere l’assurdo che è già sotto i nostri occhi anche se ogni giorno siamo costretti a fare slalom culturali tra news, fake, modi di annunziare capziosi, evidenti forzature e reticenti confessioni.

Quanto ancora ruota intorno alle parole…

Primi arrivi dall’Ucraina…

Primi arrivi dall’Ucraina…

Che la guerra fosse un tale disastro era proprio difficile da immaginarlo. Tra gli strascichi di una pandemia (che sta rialzando la testa, grazie alla superficialità di molti) e le incertezze di una ripresa, ci siamo visti nuovamente travolgere, quasi nel cuore dell’Europa, da una nuova tragedia.

Ripenso ancora agli scenari di Sarajevo e vedo che il confronto è quasi timido. E’ vero, siamo circondati da tanti conflitti, dallo Yemen all’Etiopia, dal Sudan al Myanmar e serve a poco fare una classifica del peggio.

Qui a Siracusa, al momento, si cerca giusto la classifica del “noi siamo i primi ad accogliere”; cominciano a spuntare gli articoli sui giornali locali per attestare la disponibilità e il buon cuore di tanti, come in questo video; ma è una gara comprensibile, sull’onda delle emozioni.

Lavorando nel Ciao abbiamo avuto modo di dare una mano concreta e verificare la grande disponibilità dell’istituto comprensivo di S. Lucia. Dopo aver contattato la Dirigente per la possibilità di un inserimento di un ragazzo di 11 anni, in pochissimo tempo si è verificato un sano “accanimento” solidale. Nel giro di pochi giorni un paio di articoli su La Sicilia, un paio di telefonate per chiarire gli aspetti formali dell’iscrizione (perché mancano ancora documenti che di solito sono necessari, come il CF dei genitori e del futuro alunno), poi la preparazione dei moduli per l’iscrizione, e subito la notizia che gli alunni da iscrivere non sono solo uno ma sono già due, della stessa età e alloggiati nello stesso quartiere. Anche la fortuna ci dà una mano, perché proprio lì vicino c’è la succursale della scuola e ci sono persino dei posti liberi! Insomma, questi due ragazzi sono arrivati in Italia il 5 marzo e domani, lunedì 14, riusciranno ad entrare in classe. Una sola settimana di attesa. Questa è una bella notizia.

la Dirigente scolastica alle prese con l’iscrizione dei primi 2 ragazzi arrivati dall’Ucraina

Ma domani so che ci metteremo a chiarire anche la situazione di Alì, un ragazzo afghano che ha perso i genitori nei disordini della scorsa estate, e dal mese di ottobre è qui a Siracusa con lo zio, ma fino ad oggi non si è riusciti ancora ad inserirlo in nessuna scuola. Qui la burocrazia assesta sciabolate e colpi bassi. Speriamo di riuscire a dipanare questa matassa di obblighi e poche luci.

Giovedì scorso abbiamo avuto anche alcuni ragazzi del Quintiliano (4° linguistico) per il nostro appuntamento di alternanza scuola e lavoro (o qualunque altra sigla si voglia utilizzare). Sono ormai diversi anni che si ripetono queste attività, in vari contesti, e ne ho viste un po’ di tanti colori. Dai penosi parcheggi in ambienti del Comune per svolgere lavori altrettanto penosi (mi ricordo che a Giugliano i nostri ragazzi del liceo giungevano al Comune, su indicazione dei referenti, quando ancora i referenti non erano arrivati al Comune e la cosa più esaltante che gli toccava fare era qualche …fotocopia) a quelli molto più interessanti (a Cesano abbiamo avuto numerose esperienze di ragazzi che si sono immersi nel lavoro didattico con entusiasmo…). Qui presentiamo la nostra realtà del Ciao, spieghiamo come è nato questo centro, come funziona il progetto degli appartamenti, quali sono gli aspetti importanti da conoscere del fenomeno delle migrazioni. I ragazzi ci sembrano davvero attenti e partecipi. Manca persino il tempo per presentare le cose. Meglio così, resta un po’ di acquolina in bocca! E oltre al Ciao i ragazzi passano in rassegna anche il ruolo dell’associazione Accoglierete e le attività del CPIA.

ecco i ragazzi del Quintiliano, durante le attività di ASL

E nel pomeriggio mi è anche capitato di partecipare ad un tavolo di lavoro che vedeva presenti molte organizzazioni del 3 settore, gli ETS come si dice oggi. Il Comune di Siracusa deve elaborare progetti per la corretta finalizzazione dei fondi per il PNR; le associazioni si sono incontrare per mettere a disposizione del bene comune le rispettive competenze. Si andava dai sindacati alle associazioni di disabili, dai centri psicopedagogici alla Caritas, dall’Arci agli amici LGBT. Un panorama variegato e ampio, un segno di partecipazione e di concreta speranza. Anche se la pista da seguire è in salita, con pochi tempi per elaborare quanto serve (ma è sempre così… la Regione Sicilia non è certo un esempio in quanto a rapidità, i documenti sono della fine di febbraio e sul sito del Comune di Siracusa sono arrivati entro il 3-4 marzo, con una scadenza per la presentazione di eventuali progetti fissata al 15 marzo, poi prorogata al 21!).

Infine venerdì abbiamo ricevuto una visita speciale. E’ venuto a trovarci padre Gigi Maccalli. Il nome forse non è di quelli che identificano subito l’esperienza, perché siamo molto veloci nel dimenticare, ma si tratta di quel missionario che nel 2018 è stato rapito da un manipolo di jihadisti in Niger e per due anni è rimasto prigioniero come ostaggio. Due anni! Nel deserto, a volte legato ai piedi con una catena, nel totale isolamento, in mano ad una banda di persone che lui definiva quasi come più prigionieri di lui. Liberato nel 2020, ora fa parte di una particolare comunità intercongregazionale di missionari che si trova a Modica; insieme a lui c’era anche sr. Rachele, della Consolata. Una comunità con molti tratti in comune con la nostra. Anche loro saranno impegnati per alleviare i tanti problemi che riguardano i migranti della loro zona ed era venuto proprio per dare un’occhiata e prendere qualche spunto dall’esperienza del Ciao. Per questo abbiamo presentato le nostre attività e condiviso la mensa. E’ bello vedere che da un’esperienza che potrebbe essere devastante per molti, sia sgorgata la forza per superare il legittimo risentimento e il senso di sconfitta. Ci sono altri da liberare e questa adesso è la sua “missione”. Resteremo in contatto, sicuramente.

Per adesso può bastare, ho ancora un bel po’ di scartoffie da rivedere. Proprio in questi giorni stiamo terminando un bando del Fami (che scade tra 15 giorni, relativo al Comune dei Popoli), poi ne abbiamo iniziato un altro a gennaio, della Regione Sicilia (Polo Sociale Supreme, non ha molta visibilità sul web, ma ne parliamo qui!). E domani scadono i termini per la presentazione di un altro bando ancora… Staremo a vedere cosa giungerà in porto.

Quanto sarà freddo l’inverno?

Quanto sarà freddo l’inverno?

Son giorni in cui parlare del gas è un azzardo; in poche settimane il suo costo è salito alle stelle; la guerra scoppiata in Ucraina ha mandato in tilt ogni previsione e scenario. Non siamo ancora usciti dal baratro del covid ed eccoci precipitati in altri burroni…

Intanto la vita va avanti e il tempo detta le sue leggi.

Semplicemente volevo inserire su queste pagine gli ultimi dati della piccola stazione meteo che abbiamo sul terrazzo; ormai è quasi un anno che fa il suo dovere e i numeri aiutano a capire tante cose; dall’andamento agli estremi, dalla media alle possibili previsioni. La tabella è molto semplice… il freddo si fa ancora sentire, visto che l’inverno è ancora saldamente al timone del tempo.

E’ vero, capita che a metà gennaio ci siano turisti in spiaggia a godersi il sole, e la cosa prosegue anche a febbraio, ma questo non capita proprio tutti i giorni… L’andamento della temperatura di febbraio è abbastanza tranquillo, senza scossoni particolari, senza punte estreme. Bene, vedremo tra un paio di settimane, quando ufficialmente inizierà anche la primavera.

Per chi fosse curioso di navigare tra i dati “grezzi”, questo è il file che contiene “quasi” un anno di andamento meteo qui a Siracusa: meteo-siracusa21 – a partire dal mese di aprile 2021

Il tempo e l’acqua e altre storie…

Il tempo e l’acqua e altre storie…

Ho finito da poco la lettura di questo testo, non so nemmeno io perché mi ha colpito in modo particolare fin dall’inizio, vuoi per l’immagine in copertina, vuoi per l’impronunciabile nome dell’autore, vuoi, sicuramente, per il modo diretto e personale di toccare il tema del cambio climatico in modo diretto, personale e convincente.

Il tempo e l’acqua, dell’autore islandese Andri Magnason
Difficile inquadrare questo libro in un genere specifico; una via di mezzo tra il saggio, la narrazione frammentata di una saga familiare islandese, il recupero di tradizioni antiche e suggestioni moderne, la riflessione e la narrazione poetica.

Ma lo scopo è molto diretto: l’autore manifesta un’accorata necessità di dare un preciso contributo al tema del cambio climatico che, ormai lo sappiamo, condizionerà la vita di tutti gli uomini sulla terra nei prossimi decenni: l’innalzamento delle temperature, la perdita dei ghiacciai, il tentativo coraggioso e disperato di ridurre le emissioni di CO2 per non compromettere in modo definitivo la vita umana dei nostri discendenti… sono le tematiche intorno al quale si sviluppa il testo, con una visione che sembra inizialmente troppo legata alla terra dell’autore, l’Islanda, ma che rapidamente abbraccia tutti i continenti.

Si legge con passione e si rimane rapidamente avviluppati dalle vicende della famiglia dell’autore e si rimane per lo meno stupiti che partendo da un luogo considerato periferico sotto vari aspetti come è l’Islanda, si arrivi invece rapidamente nel cuore di vicende e personaggi centrali e ben conosciuti, dal Dalai Lama a Tolkien, dai fratelli Wright al chirurgo di Oppenheimer…

Il drammatico tema del cambio climatico si snoda per tutto il testo e l’autore si domanda spesso come faccia l’uomo ad essere così ottuso e superficiale da sottovalutarlo in modo così sbrigativo (si prova quasi una sensazione simile a quella che può suscitare il film Don’t look up). Nei vari capitoli, legati da un filo geografico o biografico, presenta molte sfaccettature di questo problema e delle possibili soluzioni, a livello personale. Dalle escursioni sui ghiacciai islandesi compiute dai nonni alla passione sfrenata per i coccodrilli di uno zio, ogni argomento riconduce l’attenzione al fatto che la nostra responsabilità di persone potrà essere l’unica carta vincente per affrontare questa situazione.

Molti i dati forniti (e la bibliografia sulla quale l’autore si è documentato è davvero interessante e vasta), alcuni dei quali originali e pungenti, tanto da richiamare l’attenzione su fenomeni spesso affrontati in modo molto superficiale. Basterebbe questo libro a sfatare e demolire molte posizioni negazioniste; il tono è sempre personale, ragionato e partecipe. Interessante al proposito l’intervista con il Dalai Lama, incontrato quasi per caso a inizio libro e ricercato poi, su suo esplicito invito, nella parte finale. Dalla scienza alla religione, dalle tradizioni ai dati di fatto, tutto viene presentato in modo coerente e appassionato.

Ne emerge un testo prezioso, interessante, con molte sfaccettature e tonalità, utile per una riflessione personale su quanto possiamo noi fare, già da adesso, per guardare a questo problema ormai ineluttabile, con uno sguardo più attento e preparato.