Ci mancava proprio una bella guerra…

Ci mancava proprio una bella guerra…

Settimana strana e cruciale quella che stiamo vivendo. Per me è stata anche una settimana di forti distacchi da alcune persone.

Qui eravamo insieme a Romena, nel 2016

Sabato scorso è mancato un grande amico, Carlo Molari, teologo di spicco della realtà italiana (uno che quando lo ascoltavi ti faceva sognare e desiderare le cose proprio nel modo con cui lui le presentava) con il quale ho vissuto i miei 5 anni a Roma; insieme abbiamo mosso i primi passi nel mondo del computer. Era davvero una persona attenta, curiosa, capace di apprezzare quello che la vita ci offre come risorsa, con lo sguardo aperto e positivo. Sicuramente era “troppo avanti” su molti aspetti, a cominciare dal suo convinto impianto evoluzionista, preso talmente sul serio da diventare un paradigma da applicare a tutti gli aspetti importanti della vita, dalla socialità alla tecnologia, soprattutto alla cultura e alla fede. Ricordo un incontro tenutosi all’Abbazia di Casamari, forse nel 1982, per un convegno degli scout della FSE (Federazione Scout d’Europa, era il nostro riferimento per gli scout del SLM, è la federazione che continua con l’educazione separata tra maschi e femmine e per quei tempi era un po’ giocoforza, visto che la prima classe mista nella storia del SLM era proprio la mia prima elementare del 1979-80!), a quei tempi l’Agesci veniva considerata fin troppo “di sinistra”, ma l’FSE sicuramente era dalla sponda opposta. Pertanto veniva ritenuta molto tradizionalista e reazionaria. Al convegno parlò un carmelitano, toni seri e quasi apocalittici, indicazioni necessarie e obbliganti, insomma, una conferenza dai toni piuttosto cupi. Poi parlò don Carlo, che già a quei tempi navigava su spazi molto più aperti e luminosi. Poteva criticare il relatore precedente, mettersi agli antipodi e favorire una sorta di spaccatura. E invece… con il suo modo mite e colloquiale ha semplicemente proposto una differente visione, una modalità per andare oltre, senza critiche o prese di posizione intransigenti. Così era e così mi piace ricordarlo, sapendo che i confini che lui ha esplorato e raggiunto sono oggi un territorio condiviso da molti cristiani e anche da molte persone che non hanno bisogno (o desiderio) di etichette sotto le quali distinguersi. Su don Carlo ho scritto alcune righe sul sito dei Maristi.

E dopo pochi giorni ha finito di combattere la sua corsa contro un tumore la mia amica Delia; avevamo stabilito quasi un patto, che ogni sabato, ormai da un paio di anni, ci eravamo consegnato a vicenda: un breve saluto al telefono, dai posti belli in cui mi ritrovavo. Di solito durante un giro in bici nei dintorni di Siracusa, dal mare, dal fiume, dalle saline. Proprio sabato scorso, in mezzo ai papiri del Ciane, l’ho sentita per l’ultima volta e capivo che le cose andavano male. Delia ci ha lasciati martedì 22 febbraio al mattino presto. I funerali ci sono stati il 24. La prima volta che ci siamo incontrati mi divertiva prenderla un po’ in giro: era una baby-pensionata coi fiocchi, avendo lasciato regolarmente l’insegnamento poco dopo i 37 anni, ma la scelta di dedicare il suo tempo alla famiglia si è rivelata una grande opportunità, visto che dopo i figli (e Ricky non me ne vorrà male se nel suo caso posso dire che era una scelta azzeccata, visto che le dava un bel po’ da fare 🙂 poi ha iniziato a dare una mano alla nostra scuola di Cesano, poi alla Famiglia Marista, buttandosi nel volontariato, poi è diventata lei il riferimento del gruppo e il sostegno infaticabile per il centro Diurno dell’Albero. Abbiamo condiviso insieme il sogno del capannone che ora è la sede definitiva del Centro Diurno e le tante attività di contorno: gli incontri in Comune, con la Fondazione Monza e Brianza, la stesura dei bandi (e almeno uno è andato proprio a buon fine), i rapporti con gli assistenti sociali… insomma, il nostro era un tandem affiatato. Doveroso per lei queste righe di ringraziamento. Questo sabato sarà diverso, senza il consueto appuntamento con lei.

Ma naturalmente non ci facciamo mancare nulla; dopo la pandemia (anzi, durante), una bella guerra per scaldare gli animi può galvanizzare l’opinione pubblica e vivacizzare la scena, ormai stanca di grafici e di indici RT. L’invasione dell’Ucraina ci lascia ancora attoniti e senza la capacità critica di vederla come una tragedia dai contorni ancora più ampi dei suoi confini.

alcuni palazzi di Sarajevo, dopo 5 anni dalla fine del conflitto… (foto del 2001)

Ho visto le macerie umane della guerra in Bosnia anche se solo di riflesso, nel campo profughi di Debrecen, giusto alla fine del conflitto e poi a Sarajevo, a inizio secolo; eravamo andati per un campo di solidarietà e vedere come era ancora conciata la città simbolo della Bosnia, la splendida Sarajevo (abbiamo ancora visto i cartelloni delle olimpiadi invernali di pochi anni prima della guerra) dopo più di 5 anni dalla fine del conflitto. Le immagini che stiamo ricevendo in questi giorni sono una ferita di oggi, ma resterà una tragedia per anni.

Pensavo a come davvero la storia ci ha insegnato poco (o siamo noi che ci ostiniamo a non imparare?); mi viene in mente che i maristi erano andati ad aprire la scuola di Giugliano su invito delle autorità perché in quel luogo c’erano ancora tanti organi. Un problema che oggi non si sente più menzionare da nessuna parte. Almeno qui da noi. Vedremo alla fine della conta quanti passi indietro avremo fatto come umanità.

Ora basta righe, vado a dare un’occhiata alla manifestazione no-war che si tiene qui in Siracusa, in piazza Archimede, dalle 10.

Intanto, ecco qui una carrellata molto colorata di foto di questo evento quasi “spontaneo”

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