Le armi i cavalieri e le cattedrali

Le armi i cavalieri e le cattedrali

Per togliermi lo sfizio di soppesare con le mani questo mattone dovrò cercarmi una libreria. Meno male che adesso sono a Melilla, fossi ancora a Giugliano, dove le librerie sono negozi praticamente sconosciuti, non saprei come fare.

Le indicazioni vanno dalle 1300 alle 1056 pagine, davvero un volume impegnativo. E tutto perché a maggio, durante la visita della vecchia cattedrale di Vittoria-Gasteiz, in territorio basco, mi ero imbattuto nella statua di Ken Follet che proprio dalla struttura della cattedrale antica, tuttora in corso di restauro, aveva preso spunti e ispirazione per il suo libro. A parte la diatriba con U. Eco sulla “qualità” delle rispettive opere, penso che i livelli da considerare siano diversi, anche se Il nome della Rosa ha contribuito notevolmente ad una ripresa di quella passione medioevale che forse alberga in tutti coloro che hanno masticato un po’ di storia europea. A fasciare i contorni della cattedrale di Vittoria c’era uno striscione tra il provocatorio e il suggestivo “Aperto per restauro“, e la visita iniziava quasi come un tour dentro una fabbrica, con tanto di vestizione del cavaliere che in questo caso prevedeva, in alcuni passaggi, anche il casco di sicurezza. In effetti il percorso si articolava proprio nel cantiere, tra ponteggi, cavi volanti e travi di legno per pavimento, consentendo di vedere così dietro le quinte e dentro il cuore stesso della cattedrale, i passaggi interni, le colonne viste dall’alto, le crepe e i cedimenti inflitti dal tempo. Al termine della visita, tra i ritagli e le immagini da affidare alla memoria, era nato anche il desiderio di conoscere questo autore.

E così, sfidando la mia pigra inclinazione verso i libri di saggistica, ad agosto, quando un po’ di tempo libero in più si poteva trovare, ho preso finalmente questo libro, ma ho iniziato a leggerlo solamente giunto qui a Melilla, approfittando del primo periodo ancora molto “leggero” e dello splendido parco Hernandez che spesso diventa il mio salotto di lettura all’aria aperta (difficile poterlo fare da qualche parte, in Italia, nel mese di novembre!). Ho cercato persino di vedere se esiste un modo per capire in quanti giorni ho letto il libro, ma a quanto pare tramite il Kindle non è ancora possibile. In compenso mi sono reso conto che ormai sono praticamente 11 anni che mi sono completamente votato al digitale; gli unici libri di carta che ho preso nel frattempo o erano quelli di Massimo (sempre comodo avere un fratello con la passione per i libri di carta) o erano quelli che regalavo alle maestre e ai docenti della scuola!

Ed effettivamente la lettura dei Pilastri della terra si è rivelata molto interessante. Il libro affascina, attrae e si fanno le ore piccole per vedere come avanza la storia; lo stile è scorrevole, accessibile e pur giocando con molti termini tecnici legati all’architettura e alla costruzione di un grande edificio non si rivela troppo ostico (a parte il termine cleristorio che proprio non conoscevo). La storia si dipana nell’arco di 50 anni e segue una discreta platea di personaggi, che crescono man mano che la storia avanza. I protagonisti principali sono meno di una decina e numerose altre comparse entrano ed escono dalla storia nei vari momenti, il tutto senza creare un’eccessiva confusione. La storia è quindi molto ampia, si inizia dall’Inghilterra ma si arriva fino a Toledo, passando per la Normandia, Parigi e occhieggiando fino a Gerusalemme. Inevitabile scorgere qua e là un ammiccamento alla possibile versione filmica del romanzo, come di fatti è poi successo.

Tutto ruota intorno alla costruzione della grande cattedrale di Kingsbridge, nei pressi di una abbazia benedettina. Assistiamo alle vicissitudini di Tom, il costruttore, della sua famiglia “allargata”, dei suoi figli e del suo sogno, di realizzare una grande cattedrale, se non la più grande almeno la più bella. Sogno che poi viene ripreso dal figlio (o meglio, il figliastro) che riuscirà non solo a coronare questa impresa ma ad inserire nello stile romanico, allora imperante, i primi vagiti (e non solo) del gotico. Il tutto sotto lo sguardo paziente e paterno dell’abate Philip, forse il protagonista più coerente di questa grande saga. Gli antagonisti sono numerosi e vanno dal vescovo corrotto al conte violento, senza risparmiare frati ambiziosi ed arrivisti. La storia si conclude inserendo nel romanzo anche il martirio del vescovo Thomas Becket, che si opponeva al Re per limitare le sue pretese di controllo in ambito religioso. Siamo intorno al 1170 e la cura dei particolari, la coerenza storica e la concordanza con i fatti reali rende l’opera abbastanza verosimile.

Assistiamo alla nascita e crescita di un piccolo convento, allo sviluppo di un villaggio che ruota intorno all’Abbazia fino a diventare una grande città con svariate cerchie di mura, mercati e fiere importanti, osserviamo la crescita di giovani e ragazze che dall’adolescenza passano alla vita adulta, al formarsi di una famiglia, alla nascita dei figli, amori, inganni, vendette e violenze varie. Uno spaccato credibile della vita in Inghilterra in questo scorcio di anni, tra carestie e annate grasse, commercio della lana e diritti feudali, cavalieri senza scrupoli e donne ribelli… un campionario di esistenze che ricorda i dipinti di Pieter Bruegel.

Gli unici rilievi che mi sento di fare sono sulla “modernità” di alcuni personaggi che popolano il romanzo. Alcuni sono decisamente troppo attuali, indipendenti e autonomi per essere davvero credibili. Giovani donne emancipate e troppo sicure di sè, in un’epoca dove questi atteggiamenti sono davvero rari. Costruttori così intuitivi da saper gestire cantieri ed opere senza praticamente nulla di più che un forte intuito e qualche rudimento pratico, giovani abati che sembrano reduci da un master di public relation di Harvard per come sono accorti e sofisticati.

Sicuramente anche il quadro religioso che fa da sfondo al romanzo, realistico per molti aspetti, mi sembra spesso allineato su stereotipi un po’ stantii: una visione cupa della religiosità, l’insistenza sulla minaccia dell’inferno, un’adesione spesso di facciata da parte di preti e frati…. Manca in effetti un afflato religioso “vero”, che non sia l’arrivismo dell’abate, il desiderio di primeggiare, di erigere la cattedrale più imponente… Un solo episodio si distacca e si illumina di vangelo, quando l’abate Philip, quasi a fine romanzo, perdona un frate che a suo tempo gli era stato di grave intralcio e che lo aveva pesantemente tradito; accoglierlo nuovamente nel convento, ora che il frate si era ridotto a mendicare, è una delle poche luci che ricordano il senso della vita monastica.

Che dire, Ken Follet è tornato di recente alla ribalta e il suo ultimo libro è già un best-seller. Non era difficile da prevedere!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *